Caro Nicola,
la tua
poesia mi sembra una poesia religiosa, consapevole che oggi la nostra crisi
prima che economica è teologica. I tuoi versi sono meditati, sofferti,
messi in forma con grande misura e perizia. Forse c’è un eccesso di
sapienza, forse in qualche caso le parole stanno con la testa ferma sul rigo,
tese ad ascoltare e farsi ascoltare.
Non so, ma
ogni volta che leggo una raccolta di versi, comprese le mie, ovviamente, sento
sempre che dovremmo fare altro. Sento che oggi la poesia sta meglio se è
nascosta in organismi più vasti, se non avanza a volto scoperto, tutta
circondata dal bianco degli accapo. Abbiamo bisogno di sacro ma non in forma
cerimoniale, in forma di fenditure, di incrinature. Mi sarebbe piaciuto leggere
queste tue poesie mischiate al libro in cui parli degli autori a te cari. Mi
emoziona l’idea di una poesia che si fonde con la riflessione saggistica. Forse
siamo chiamati a servire la poesia, più che a servircene. Il difetto delle
raccolte di versi forse è proprio nel presentare solo i filetti, i lacerti
della nostra esperienza, tralasciando le budella, i tendini le vene, il sangue
nero dello squartamento.
Io credo che
tu abbia una straordinaria capacità di lettura, nella lettura sai essere
spericolato, sai cercare con ardore il cuore di chi scrive. Nei tuoi versi,
invece, è come se fossi un po’ frenato dalla tua stessa sapienza, dal tuo
rigore. Comunque il tuo lavoro è tra i pochi che vale la pena veramente di
seguire. Nel tuo scrivere c’è una straordinaria lucidità e un filo cordiale,
accorato. Essere acuti senza essere gentili non serve a niente. E tu sei acuto
e gentile.
Franco Arminio
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