Colpisce
la copertina, una foto antica, in primo piano una bimba che bacia il suo papà,
intuisci e poi hai conferma che quella bimba è sua madre ed è sempre difficile
immaginare una mamma da bambina e che quel papà è un nonno, e non si riesce
quasi mai ad immaginarli giovani.
Questa
la prima impressione per il nuovo lavoro di Nicola Sguera, Per Aspera edito da Delta 3 nella collana “Pugillaria”, curata da
Paolo Saggese, presentato ieri all’Auditorium Giovanni Paolo II dove l’autore è
stato circondato da parenti, amici, allievi «parti della mia vita».
Dopo
i ringraziamenti a chi lo ha accompagnato in questo percorso, Giuseppe Iuliano,
Paolo Saggese, l’editore Silvio Sallicandro, e Giovanna Lizza «che
materialmente e spontaneamente ha permesso questo momento includendolo nella
serie di incontri con gli autori», si è entrati nella poesia che è anche musica
e da musica è stata introdotta, quella che ha accompagnato gli anni della ricerca di Nicola Sguera.
È
la prima raccolta di poesie, produzione
di un ventennio, dal 1990 anno in cui
scomparve la madre, Caterina, il cui passato si riflette nel futuro della
figlia che porta lo stesso nome, al 2010 quando, nel suo luogo dell’anima, San
Cumano, Sguera capisce che è alla fine di un processo di ricerca, che è
arrivato il momento di mettere un punto fermo e provare a ricominciare.
Quattordici
le composizioni scelte e lette dallo
stesso autore «non per narcisismo, ma perché compito di chi scrive è riuscire a
mettersi a nudo di fronte a chi ascolta», più la prima, Andros, letta da un amico, e per ognuna una parola a dire, a
spiegare per aiutare a scendere nei
meandri di versi che si rincorrono e si
intrecciano a trattenere sensazioni. «Ho pensato a questa serata coma ad una
liturgia breve - aveva esordito Nicola Sguera - perché a me sta a cuore che
questo sia un momento religioso ed è per questo che ho volto essere proprio io
a leggere le mie parole perché ho sentito che la mia poesia reclamava
attenzione il mio coraggio di mettermi a
nudo di fronte a voi».
«La tua
poesia mi sembra una poesia religiosa, consapevole che oggi la nostra crisi
prima che economica è religiosa. I tuoi versi sono meditativi, sofferti, messi
in forma con grande misura e perizia», si legge nella prefazione di Franco
Arminio e nell’introduzione di Luca Rando si legge che «queste poesie trattano
dell’uomo che nella distruzione che lo circonda vuol resistere.»
Il
tema centrale è quello degli ultimi, degli sconfitti [...].
Il
punto di partenza è la famiglia, quella di ieri, alla madre «radice e matrice»,
quella di oggi, alla moglie cui è
dedicato il libro, alla figlia.
Cinque
le sezioni in cui il libro [...] è diviso.
“Matrix”,
la prima parte, in cui l’autore si riporta alle «benigne presenze», i morti e
al ricordo di sua madre, morta troppo presto, e di Marilena «che mi piace
pensare prima lettrice di questo libro in un altrove in cui spero ardentemente
di ritrovarci».
“Cronache”,
la seconda parte, «incontro dei destini generali» - racconta Sguera, mentre in
sottofondo si ascoltano le note di Fischia
il vento, e si scusa per qualche parola forte in alcuni versi in La puttana contadina.
“Bestiario”
è la terza parte che raccoglie parole dedicate al mondo animale, alla
speranza che «verrà un giorno in cui
tutto ciò cui gli animali sono sottoposti sarà inimmaginabile», al racconto del
come, circa 30 anni fa, la riflessione sulla sofferenza animale lo abbia fatto
diventare vegetariano.
“Percorsi
d’esodo” nella quarta parte, «la sezione più complessa perché raccoglie versi
degli anni della mia ricerca spirituale iniziata nel 1984 con l’abbandono della
religione cattolica».
«Non
so dirvi dove sono ora - si è come confessato Sguera - e forse la recente
scomparsa di Marilena ha messo in
discussione le mie certezze e mi ha fatto formulare una domanda: chi è Dio per
me?»
La
quinta sezione, “Il seme”, introdotta da musica barocca, è dedicata al
presente, al futuro.
«Il
titolo è certamente polisemico e ognuno potrà dare la propria interpretazione.
Per me ha il significato soprattutto di sbocco di questa lunga relazione con mia moglie,
sigillo di questo libro, nel seme che è mia figlia Caterina, la cui nascita è
stata un percorso aspro e lungo, ma che mi ha fatto riconciliare con l’altra
Caterina, mia madre, scoprendomi albero frondoso capace di dare frutti».
«Nessuna
risposta alle domande fatte. Nessuna
domanda più», questo l’incipit di Epitaffio che
conclude la raccolta che è quindi
percorso travagliato che dalle asperità dell’esistenza può portare alla
luce, ed è un discorso che parte dal personale per arrivare all’universale,
perché le vicende dell’autore possano servire da esortazione per compiere un
proprio percorso di ricerca in se stessi.
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