lunedì 18 novembre 2013

Per aspera - Elide Apice


Colpisce la copertina, una foto antica, in primo piano una bimba che bacia il suo papà, intuisci e poi hai conferma che quella bimba è sua madre ed è sempre difficile immaginare una mamma da bambina e che quel papà è un nonno, e non si riesce quasi mai ad immaginarli giovani.
Questa la prima impressione per il nuovo lavoro di Nicola Sguera, Per Aspera edito da Delta 3 nella collana “Pugillaria”, curata da Paolo Saggese, presentato ieri all’Auditorium Giovanni Paolo II dove l’autore è stato circondato da parenti, amici, allievi «parti della mia vita».
Dopo i ringraziamenti a chi lo ha accompagnato in questo percorso, Giuseppe Iuliano, Paolo Saggese, l’editore Silvio Sallicandro, e Giovanna Lizza «che materialmente e spontaneamente ha permesso questo momento includendolo nella serie di incontri con gli autori», si è entrati nella poesia che è anche musica e da musica è stata introdotta, quella che ha accompagnato gli anni della  ricerca di Nicola Sguera. 
È la prima raccolta di poesie,  produzione di un ventennio,  dal 1990 anno in cui scomparve la madre, Caterina, il cui passato si riflette nel futuro della figlia che porta lo stesso nome, al 2010 quando, nel suo luogo dell’anima, San Cumano, Sguera capisce che è alla fine di un processo di ricerca, che è arrivato il momento di mettere un punto fermo e provare a ricominciare.
Quattordici le composizioni scelte  e lette dallo stesso autore «non per narcisismo, ma perché compito di chi scrive è riuscire a mettersi a nudo di fronte a chi ascolta», più la prima, Andros, letta da un amico, e per ognuna una parola a dire, a spiegare  per aiutare a scendere nei meandri di versi  che si rincorrono e si intrecciano a trattenere sensazioni. «Ho pensato a questa serata coma ad una liturgia breve - aveva esordito Nicola Sguera - perché a me sta a cuore che questo sia un momento religioso ed è per questo che ho volto essere proprio io a leggere le mie parole perché ho sentito che la mia poesia reclamava attenzione  il mio coraggio di mettermi a nudo di fronte a voi».
«La tua poesia mi sembra una poesia religiosa, consapevole che oggi la nostra crisi prima che economica è religiosa. I tuoi versi sono meditativi, sofferti, messi in forma con grande misura e perizia», si legge nella prefazione di Franco Arminio e nell’introduzione di Luca Rando si legge che «queste poesie trattano dell’uomo che nella distruzione che lo circonda vuol resistere.»
Il tema centrale è quello degli ultimi, degli sconfitti [...].
Il punto di partenza è la famiglia, quella di ieri, alla madre «radice e matrice», quella di oggi,  alla moglie cui è dedicato il libro, alla figlia. 
Cinque le sezioni in cui il libro [...] è diviso.
“Matrix”, la prima parte, in cui l’autore si riporta alle «benigne presenze», i morti e al ricordo di sua madre, morta troppo presto, e di Marilena «che mi piace pensare prima lettrice di questo libro in un altrove in cui spero ardentemente di ritrovarci».
“Cronache”, la seconda parte, «incontro dei destini generali» - racconta Sguera, mentre in sottofondo si ascoltano le note di Fischia il vento, e si scusa per qualche parola forte in alcuni versi in La puttana contadina.
“Bestiario” è la terza parte che raccoglie parole dedicate al mondo animale, alla speranza  che «verrà un giorno in cui tutto ciò cui gli animali sono sottoposti sarà inimmaginabile», al racconto del come, circa 30 anni fa, la riflessione sulla sofferenza animale lo abbia fatto diventare vegetariano.
“Percorsi d’esodo” nella quarta parte, «la sezione più complessa perché raccoglie versi degli anni della mia ricerca spirituale iniziata nel 1984 con l’abbandono della religione cattolica».
«Non so dirvi dove sono ora - si è come confessato Sguera - e forse la recente scomparsa di Marilena ha messo  in discussione le mie certezze e mi ha fatto formulare una domanda: chi è Dio per me?»
La quinta sezione, “Il seme”, introdotta da musica barocca, è dedicata al presente, al futuro.
«Il titolo è certamente polisemico e ognuno potrà dare la propria interpretazione. Per me ha il significato soprattutto di sbocco di  questa lunga relazione con mia moglie, sigillo di questo libro, nel seme che è mia figlia Caterina, la cui nascita è stata un percorso aspro e lungo, ma che mi ha fatto riconciliare con l’altra Caterina, mia madre, scoprendomi albero frondoso capace di dare frutti». 

«Nessuna risposta alle domande fatte.  Nessuna domanda più», questo l’incipit di Epitaffio che conclude la raccolta che è quindi  percorso travagliato che dalle asperità dell’esistenza può portare alla luce, ed è un discorso che parte dal personale per arrivare all’universale, perché le vicende dell’autore possano servire da esortazione per compiere un proprio percorso di ricerca in se stessi.

Il servizio completo di Elide Apice su Sannio Teatri e Culture.


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