I versi, parole messe insieme,
parole spesse volte divise da un abisso che inspiegabilmente si fondono o si
susseguono in maniera impeccabile, danno vita ad una poesia. La poesia,
concedetemelo: uno straordinario mezzo comunicativo. Sì, è vero, di frequente
banalizzato e mercificato, impiegato in maniera semplicistica e addirittura
maltrattato. Nonostante tutto resta pur sempre un singolare e raro modo
di raccontarsi e raccontare, spiegarsi e spiegare, un costante processo di darsi
e ricevere. Detto questo, credo sia una interessante lettura la nuova
raccolta di Nicola Sguera, ormai noto nome beneventano, una raccolta, appunto,
di poesie comprese nel ventennio 1990-2010. Per
aspera, il titolo del suo ultimo lavoro, nasce proprio come una necessità,
come lui stesso spiega: «Ho avvertito il bisogno di mettere un punto fermo in
un percorso molto lungo» [...].
Il 1990 è la data della
scomparsa della madre cui è dedicata la prima sezione di poesie, comprese sotto
il titolo generale di “Matrix” [...].
Il titolo della raccolta è
chiaramente di derivazione latina, «Per aspera sic itur ad astra», un percorso
attraverso le asperità per giungere alla luce o, più letteralmente, alle
stelle. [...]
«Poiché io mi reputo un homo viator, quindi un pellegrino, in
quieta ricerca, vorrei che le persone empaticamente, leggendo i miei versi,
avvertissero questa dinamica trasformativa, itinerante e venissero aiutate,
semmai, a fare il loro percorso».
Dunque è vero si che si parla
di vicende personali , ma tale soggettività dovrebbe servire come invito,
un’esortazione a ciascun lettore a compiere un proprio percorso e, di
conseguenza non leggere la persona–autore di quei versi. Un legame saldo in
tutto il lavoro svolto, una consecutio
tra titolo, immagine di copertina, componimenti e finale che vanno a chiudersi
a cerchio, custodendo quel ventennio sì, ma puntando verso la luce.
Vicende personali si alternano
anche ad avvenimenti di attualità e sociali, raggruppati sotto la voce
“Cronache”, seguite da “Bestiario” e “Percorsi d’Esodo”, inteso nella sua
accezione biblica, un sinonimo di ritorno alla fede ed infine “Seme”, in cui si
parlerà della moglie e della figlia. Uno scrigno prezioso questa raccolta, che
ha tanto da comunicare.
Per quanto riguarda l’aspetto
più propriamente tecnico, Nicola afferma: «Personalmente ritengo di avere, come
dire, una mia musica. Che non è una musica codificabile, ma cerco sempre di
ascoltare quella musica che in quel momento mi risuona nella testa attraverso
le parole e limarla sempre si più» [...].
Nel 2010, proprio nel “luogo
dell’anima” ovvero la casa in campagna tanto cara a Nicola, lui stesso, durante
le meditazioni estive, ha avvertito che si fosse chiuso un percorso di ricerca
poetica e ne stesse iniziando un altro su cui non ha grandi certezze, ma ne
menziona i punti di riferimento come le letture delle poesie di René Char
o la scoperta dirompente di Eraclito ed in genere il pensiero presocratico,
linee guida di questa sua nuova fase.
La prefazione di Franco
Arminio e l’introduzione di Luca Rando lasciano intendere ancora
meglio il significato del lavoro di Nicola Sguera, figlio della poesia del ’900
[...].
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