domenica 27 maggio 2018

La quiete dopo la tempesta

«Come stai?» «Sereno». È anche vero che, ad esempio oggi, il mio corpo (che è sempre più profondo dei mio io cosciente) mi ha dato segnali di (in)sofferenza. Dunque nel profondo la “tempesta” c’è stata. Ho dovuto modificare lo stile di vita, le priorità, i pensieri degli ultimi due, che a loro volta si innestavano sui due di militanza attiva nel M5S. E poi le interviste, le polemiche social non aiutano ad archiviare questa stagione così importante della mia vita.
Si sono rigenerati spazi di silenzio, di ascolto, di relazione familiare, di lettura, di godimento di una Natura sempre madre, soprattutto in questa primavera che tanto ha tardato ad arrivare, ma finalmente è giunta con il suo fiorire d’erbe e rose.
Due cose però le voglio dire.
La prima ad alcuni amici. Mi hanno scritto in pubblico che, insomma, era meglio che stavo zitto, «la mia occasione» l’avevo avuta, basta chiacchiere. Dico, in amicizia, a costoro che la parola e la scrittura sono gli unici “arnesi” a mia disposizione. Continuerò ad usarli e tutti saranno liberi di non leggere o addirittura di eliminarmi dai propri contatti. Non me ne adonterò. Lo faccio anch’io quando trovo inutile interloquire con qualcuno. Io continuerò ad esercitare un pensiero che è sempre stato libero, anche quando si metteva al servizio di una causa condivisa. Continuerò ad esercitare un “pensiero divergente”, tanto più necessario al tempo del “pensiero unico” (qualunque sia la sua matrice). Spesso sarò frainteso. Lo metto in conto. È accaduto spesso anche in passato quanto, ad esempio, Giancristiano Desiderio mi accusava di essere inconsapevolmente uomo di destra. È il mio destino. Oramai devo farmene una ragione.
La seconda, pare difficile da capire. Uscire dal Movimento 5 Stelle non significa rinnegarne la “visione” del mondo, che trovo tutt’ora condivisibile quasi integralmente, né tanto meno “ritornare” alle mie origini politiche. Quand’anche lo volessi fare (e non lo voglio) troverei una cittadella semidiroccata, che i suoi stessi abitanti devono abbandonare per sopravvivere. E dunque? Considero prioritario studiare e capire questo tempo a livello planetario, europeo ed italiano. Però devo anche continuare, con strumenti da creare, a capire la mia comunità (e questo mi mancherà dolorosamente del consigliere comunale). La semidiroccata “sinistra” italiana ha perso di vista la realtà, si è rifugiata in una “ideologia” cieca anche perché non abita più comunità e territorio. Esiste una formula per quello che auspico? Un populismo eco-comunitario: attento all’ambiente, alla giustizia sociale, alla democrazia partecipata (e digitale). La difficoltà, come sempre, sarà costruire questa nuova casa mentre la storia procede, non in vitro o partendo da sedicenti “classi dirigenti” senza popolo ma da bisogni reali, senza avere paura del tempo che ci vorrà ma anche sapendone l’urgenza. Soprattutto senza cercare facili scorciatoie. 

P.S.
Voglio ringraziare qui alcune persone che mi sono state particolarmente vicine in queste settimane "difficili": Vittoria Falvella, Antonello Rapuano, Angelo Varricchio, Paolo Parrella e Domenico Porcaro. Tutti sono stati un «riparo sotto l'albero».

giovedì 24 maggio 2018

Congedo

Francesco De Gregori canta in A passo d’uomo: «Povero cuore, con la mano sul cuore, giuro, che mai non ti vedrò accompagnare il male e voltare la testa». Questo basterebbe a spiegare le ragioni della mia uscita dal Movimento 5 Stelle e le mie dimissioni dal Consiglio comunale. Si parva licet, il Δαίμων, l’ultima istanza della coscienza, mi ha “comandato” imperativamente di essere coerente con valori pre-politici, con l’umanità che è in me. Non avrei mai potuto dormire sereno sapendo che il movimento che ho abitato per quattro anni e rappresentato per due si era alleato con il portabandiera italico dello sciovinismo xenofobo (erede di un disgustoso antimeridionalismo ora annacquato per motivi elettoralistici). Sono stato confortato da autorevoli pareri, come quello di Zagrebelsky: «Dall’insieme [del “Contratto”], emerge uno Stato dal volto spietato verso i deboli e i diversi, dall’autodifesa all’uso del taser, fino alle misure contro l’immigrazione clandestina». Dalla lunga crisi (i cui massimi responsabili mi paiono Napolitano e Renzi) si esce con una svolta preoccupante.
Ovviamente la decisione non è stata indolore. Mi mancherà il rapporto con Marianna Farese (che sono certo continuerà ad essere un baluardo di legalità a Palazzo Mosti). Mi mancherà la sensazione di rappresentare un’opposizione intransigente alla “vecchia” politica. Mi mancherà la possibilità di capire i problemi cittadini dall’interno e di provare ad ipotizzare soluzioni. Ho imparato tantissimo svolgendo il mio personalissimo “servizio civile”. Ma non ho mai avuto esitazioni.
Perché non rimanere in Consiglio, come molti suggerivano? Anche su questo nessun dubbio: ero portavoce del M5S. Avevo preso impegni. Li ho mantenuti. Chiedo scusa agli ottocento elettori che nel giugno 2016 espressero un voto per me. Sono certo che capiranno e apprezzeranno le ragioni del mio gesto.
Ma come è possibile non aver intuito prima la direzione del M5S, mi hanno detto alcuni? Rispondo loro che mi sento sconfitto non ingenuo. Nel Movimento fino ad ora c’era un po’ di tutto: cose meravigliose e autentiche porcherie, utopisti concreti e piccoli roditori razzisti alla ricerca di poltrone e prebende. Non rinnego niente di questi quattro anni intensi e belli. Ritengo che il M5S abbia svolto una funzione storica importante. La “pars destruens” è stata perfetta. Si è archiviata la Seconda Repubblica. Abbiamo “aperto la scatoletta di tonno”, ma il tonno con le schiacciatine è veramente indigesto...  L’esito lepenista-bannoniano, una politica che sarà inevitabilmente intrisa di elementi securitari e xenofobi, non era inevitabile. C’erano altre vie da percorrere, rimanendo coerenti al progetto originario: essere maggioritari in un sistema proporzionale (che è quello sempre auspicato dal M5S: tutti lo dimenticano!).
Ho consapevolezza di una nuova fase della vita repubblicana, non legata tatticamente all’esito del 4 marzo. Insomma, quella tra Lega e M5S è un’alleanza strategica (i cui riferimenti teorici potrebbero essere De Benoist, Tarchi, Veneziani e Fusaro). Per citare Salvini: il popolo contro le élite.. Io resto “populista” (e quindi mi riconosco in una parte corposa del programma del Movimento), ma credo fermamente che esistano vari populismi. Per usare una metafora cinematografica, il M5S è un cavaliere Jedi che sta passando, ascoltando le sirene leghiste, al “Lato Oscuro” della Forza, tradendo la sua missione. Che per me resta una “rivoluzione gentile” senza compromessi e gioiosa. Ha scritto un teologo americano: «Il compromesso non è altro che il sacrificio di una cosa buona o giusta fatto nella speranza di conservarne un’altra; tuttavia troppo spesso si finisce per perderle entrambe». Non mi auguro che accada ma lo temo. Sarò ben felice di aver avuto torto.
Un bilancio del mio operato non tocca a me. Posso solo dire che ho sempre cercato di mettermi in ascolto dei bisogni cittadini, di fare un’opposizione all’Amministrazione che fosse sempre propositiva. Sono contento, in particolare, di andar via quando il Sindaco ha preso impegno a contrastare l’azzardopatia.
In molti chiedono cosa farò ora. Sicuramente riprenderò a fare il docente a tempo pieno, poi mi riposerò tanto perché dal 2016 sono sulle montagne russe, con l’esperienza straordinaria delle Amministrative, quella memorabile del referendum (che ritengo il momento più alto e nobile del mio impegno) e la vittoria alle politiche di marzo, senza mai una pausa per riprender fiato. Poi mi rimetterò a studiare per mappare la “terra incognita” in cui siamo entrati. Poi... si vedrà. Per me la politica è servizio e passione. Non ha a che fare con ruoli e poltrone. Ma necessita di “fede” e “speranza”.
Mi sia consentito, infine, nel congedarmi, ringraziare in primis gli amici che mi sono stati accanto in queste settimane travagliate, poi i cittadini che mi hanno scritto parole spesso bellissime che custodirò gelosamente e tutti coloro che hanno voluto spendere in Consiglio e sulla stampa una frase per me (dal Sindaco al Presidente De Minico, da Lepore a Paolucci, da Peppino a Giovanni De Lorenzo, e il Meetup “Grilli Sanniti) e infine la stampa che ha sempre guardato con attenzione (spesso critica, mai malevola o preconcetta) al mio operato. 

Il saluto al Consiglio (23.05.2018)



Repubblica
Nextquotidiano
I motivi (Anteprima24)
Le dimissioni (NTR)
Un tentativo di analisi (LabTV)
Una posizione critica (Il Vaglio)
Gazzetta di Benevento
Le dichiarazioni: Lepore
Le dichiarazioni: Giovanni De Lorenzo
Le dichiarazioni: Paolucci
Le dichiarazioni: Peppino De Lorenzo
Le dichiarazioni: Meetup "Grilli Sanniti"
Il Mattino (24.05.2018)

Il post di Marianna Farese



* * *

Una poesia, indegno calco caproniano.

L'"omaggio" della Boldrini...





mercoledì 16 maggio 2018

Speranza vs. paura

«O Freunde, nicht diese Töne!»
Il celebre verso venne ripreso da mio amato Hesse. Lo dico ai miei compagni di viaggio, quasi ex, a quelli che vorrebbero gentilmente ma con decisione accompagnarmi anzitempo alla porta, a chi mi considera un «cretino», a chi mi definisce una «zecca rossa», a chi ritiene che non la mia adesione al M5S sia stata un grande inganno (per me, vorrei chiedere, o per voi, e poi... a che pro?).
Mi piacerebbe, come già detto, che, se anche questo fosse il mio ultimo contributo alla vita di un movimento cui ho dedicato gran parte dei miei ultimi quattro anni, potesse servire se non altro a creare forme e modi degni di una grande e plurale forza politica. Nessun tradimento, dunque. Tutto alla luce del sole. Le mie dimissioni già pronte, in attesa solo della nascita di un governo penta-leghista che, per questioni non ideologiche ma valoriali (pre-politiche in buona parte) non potrà che vedermi critico, a prescindere dal “contratto” sottoscritto che il buonsenso suggerisce essere, alla bisogna, carta straccia.
Nel rovello di questi giorni vorrei aggiungere un ulteriore elemento di riflessione. 
Tutti ricorderanno la presentazione della squadra di eventuali ministri che Luigi Di Maio presentò in campagna elettorale. Erano nomi non notissimi ma sicuramente di grande spessore. Tra essi spiccavano i nomi di Pasquale Tridico e Andrea Rovantini, entrambi economisti neo-keynesiani. 
Il primo in particolare si è speso moltissimo per mostrare come il reddito di cittadinanza fosse misura possibile, oltre che doverosa in questa fase di crisi. Ebbene, il professore, dopo l’avvio della trattativa con la Lega, ha fatto più di un passo indietro: 
«Troppe differenze, inconciliabili, con il programma della Lega su questioni fondamentali come il fisco, l’Europa, il Mezzogiorno, gli investimenti, i migranti e i diritti civili». Mi chiedo (e chiedo ai miei amici): un Ministro in pectore (e che Ministro) fa un passo indietro e un umile portavoce di una piccola città di provincia di un Meridione vessato dalla Lega (ex Lega Nord), colonizzato dai Piemontesi, non può nutrire perplessità enormi su un accordo così gravido di rischi?
All’epoca si disse che quasi tutta quella squadra guardava (secondo vecchie categorie) “a sinistra”
Lo stesso Tridico, nelle interviste, non ha mai nascosto la sua formazione. 
Qualcuno arrivò a scrivere: «Il cuore del M5S batte a sinistra».
Repetita iuvant. Non mi interessano le vecchie categorie se non per rimettere al centro della discussione la questione delle questioni: la giustizia sociale, disertata da chi doveva farsene garante in un'epoca in cui le differenze sociali si moltiplicano paurosamente. La Lega sarà il partner per realizzare questa rivoluzione? Ne dubito seriamente, come credo Tridico. 
Dove vado a parare? È vero che Di Maio ha sempre detto in campagna elettorale che si sarebbe dialogato con tutti, ma, mi chiedo, quella squadra di governo era o no un segnale forte di quale direzione privilegiata si volesse percorrere?
Vengo, con questa premessa, alla conclusione della breve nota odierna, mentre seguo l’evolversi della vicenda, e rispondendo alla domanda di molti: quale l’alternativa? Per me, e l’avevo scritto tre post fa, chiarissima: andare al voto entro l’anno, profittando per altro di un PD in disarmo (e dal cui elettorato è provenuto gran parte del surplus elettorale nel Sud del 4 marzo). Sono certo che si sarebbero aperti scenari nuovi. A quel punto si sarebbe potuto intavolare una trattativa senza remore – nel caso in cui non si fosse raggiunta la piena autonomia parlamentare - con forze costrette a cambiare dai propri stessi elettori. Ora, invece, stiamo trattando con un politico scaltro, che non ha mai rotto con Berlusconi, che con lui anzi governa interi territori, che nulla perderebbe nel rompere in un qualunque momento il patto che sta stringendo (rimanendo leader di una coalizione di centro-destra comunque forte se non addirittura egemone). 
Gli amici arrabbiati per le mie esternazioni mi dicono: fidati e lasciali lavorare. Ma, rispondo, se non ora quando dovrei parlare? Quando dire che secondo me è un vicolo cieco? Spes ultima dea, ho scritto qualche giorno fa. Nelson Mandela ha detto: «Possano le tue scelte riflettere le tue speranze, non le tue paure». Ricordo ancora che Dario Fo, il “nostro” Dario, ha detto che Salvini cavalca le paure delle persone. Il M5S per me è (è stata?) la speranza di una “rivoluzione gentile”: dei modi, delle forme, dei contenuti della politica. L’abbraccio con un partito fondato sulla paura e la regressione identitaria temo possa soffocare questa fiamma bella. Mi auguro di cuore che non accada. 
Se dovesse accadere, comunque, non sarà stato tutto vano. Sono persuaso che il M5S abbia meriti straordinari. A prescindere dalla sua evoluzione non saranno cancellati. Ma di questo scriverò un’altra volta.

martedì 15 maggio 2018

Perché questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai


Mentre continuano le trattative tra M5S e Lega per la stipula di un “contratto” e di un patto di legislatura, continuo ad elaborare in pubblico e dialogicamente i motivi per cui questa scelta è profondamente sbagliata per l’Italia e per il Movimento.

1) Con una logica che già Vincenzo Cuoco criticava (col senno di poi), ripensando all’esperienza della Repubblica napoletana, si vuole importare uno strumento elaborato in Germania, dove esiste un presupposto fondamentale totalmente assente da noi: il reciproco rispetto tra due forze politiche che data almeno quaranta anni. Quando nei post precedenti ho messo in fila esternazioni di Fo, Grillo, Di Battista, Fico, lo stesso Di Maio, ne emergeva un giudizio desolante sulla Lega (che per me rimane immutato). Come è possibile un accordo duraturo con chi non stimi? Davvero è pensabile che un “contratto”, per quanto dettagliato, possa surrogare una reciproca disistima?
2) Ho elaborato un argomento che ritrovo pari pari in Alessandro Gilioli (uno dei migliori commentatori politici odierni). Uso le sue parole, ovviamente. 
Come si affronteranno le emergenze diplomatiche o economiche senza un comune “sentire”?
3) Il Vicesegretario della Lega, Lorenzo Fontana, nell’illustrare le difficoltà dell’accordo, dice: «Loro lì hanno un approccio ideologico. Ma io non voglio fare un governo a tutti i costi, e poi dovere andare dai miei elettori veneti a dire che la Pedemontana che attendono da vent'anni non la si fa perché siamo diventati tutti ecologisti. Ci inseguirebbero coi forconi». Questa frase è la spia di una (in)sensibilità inconciliabile con tutto ciò in cui credo (a questo punto devo iniziare a dubitare) creda il M5S (o comunque buona parte del suo elettorato). C’è dell’irrisione nelle parole di Fontana: non si scempia l’ambiente perché... siamo diventati tutti ecologisti.
Nella discussione in rete ci sono state quattro gruppi omogenei:
a)    chi ha apprezzato e condiviso la mia scelta;
b)    chi (non del M5S) l’ha apprezzata;
c)    chi (nel M5S) non l’ha apprezzata e non l’ha condivisa (invitandomi ad andarmene a prescindere);
d)    chi (non del M5S) non l’ha apprezzata, ritenendola tardiva e ingenua. 
Ringrazio tutti per essere intervenuti.
Rispondo:
a)    grazie: le vostre parole e i vostri messaggi mi fanno sentire meno solo in un momento difficile della mia vita;
b)    il M5S, organismo giovane, deve imparare a gestire la diversità di opinione, pena il tradimento della democrazia diretta e partecipata; non è casuale che questa fase così delicata segua l’accentuazione dell’aspetto verticistico del Movimento stesso;
c)    non ho molto da dire al gruppo c, poco rispettoso delle diversità di opinione che, se in buona fede, sono sempre ricchezza;
d)    l’esito (se sarà questo) non era (non è) scontato; molte le possibilità evolutive del M5S. Questa sicuramente la peggiore per quanto mi riguarda.
Infine, molti amici mi stanno invitando in pubblico e in privato a rimanere in Consiglio pur uscendo dal M5S, come testimonia tra gli altri Pierino Mancini
Voglio rassicurare un po’ tutti, in particolare chi aspetta con ansia che me ne vada (poracci/e). Chi mi conosce sa bene che non potrei in nessun caso recedere da questa decisione. Sono stato eletto sotto un simbolo. Non ho mai considerato quei voti “miei”. Credo che il M5S abbia sempre affermato la “spersonalizzazione” della politica che io condivido. La via maestra è dimettersi ed, eventualmente, se e quando sarà, sottoporsi di nuovo al giudizio popolare (anche se ci ho messo dieci anni a riprendere impegno politico dopo abbandono di Rifondazione: non so quanti ce ne vorranno ora!). Quindi, grazie di cuore per gli attestati di stima, ma la coerenza per me è valore assoluto se si vuole ritessere legame tra etica e politica. In caso contrario, come è stato scritto, entrerei nel novero anonimo dei voltagabbana di ogni tempo, sarei l’ennesima incarnazione di quella maschera tutta italica del trasformista che, «per il bene della Nazione» et cetera...

P.S.

Sto rifiutando qualunque comparsata televisiva (e continuerò a farlo). Ho invece accettato un breve intervento radiofonico su «Zapping».
Il «Manifesto» di oggi ha voluto dedicare un articolo alle mie posizioni.
Ringrazio «Il Vaglio» per l'attenzione che sta riservando alla mia vicenda. Spero di dare risposta esaustiva, a cose fatte, a tutte le sollecitazioni. Ultima quella, come sempre raffinata e profonda, di Giovanni Barra.





lunedì 14 maggio 2018

La Lega è il lato oscuro della Forza

La Lega è il lato oscuro della Forza. E io voglio essere un cavaliere Jedi... Altri stabiliranno chi sono gli apprendisti, chi l'Imperatore, chi i Sith, chi i Maestri Jedi... 
Al di là della boutade, in futuro approfondirò in maniera seria questa intuizione. 
Oggi è la giornata decisiva.

In questi giorni mi hanno insistentemente cercato le televisioni nazionali. E senza tentennamenti ho rifiutato qualunque comparsata, il mio quarto d’ora di celebrità. Mi interessa promuovere una discussione nel mio Movimento. Non cercare visibilità. Vorrei che, nel caso in cui fossero le mie ultime ore nel M5S, lo si ricordasse. La lealtà per me è un valore non negoziabile (e che non necessita di reciprocità). La discussione, a partire dalla mia vicenda, almeno nel Sannio, c'è stata, e penso che chiunque (anche chi mi invita ad andarmene “a prescindere” e mi considera già un infiltrato) dovrebbe salutare la cosa con soddisfazione, considerato che la partecipazione dovrebbe essere elemento definitorio dell’identità cinque stelle.
Scrivo queste poche parole per ringraziare tutti coloro che hanno fanno attestati di stima nei miei confronti, anche lontanissimi politicamente. Tutte le parole dettemi e scrittemi resteranno. A prescindere dall'esito. 
Attendiamo trepidanti gli eventi.
In ogni caso, spes ultima dea.

Qui sotto un po’ di link e immagini , a futura memoria.
Dario Fo («Poveretto»: Salvini dixit) che cosa direbbe oggi? Caccereste anche lui? Mi sento in ottima compagnia.
Luigi Di Maio...
Alessandro Di Battista...
«Repubblica»


venerdì 11 maggio 2018

Lettera aperta a Beppe Grillo

 
Caro Beppe,
ho la testa in fiamme. Sono tre notti che dormo poco, vagando per casa tra sconforto e incredulità.
Sono un semplice portavoce del M5S nel Comune di Benevento. Ma tu ci definisti un giorno “eroi”. E quelle parole le porto nel cuore. Ogni giorno battaglio con Clemente Mastella, il politico non “biodegradabile” per eccellenza.
Mi chiedo come una forza nata con l’intento di realizzare una rivoluzione che io amo definire “gentile” (anche nel senso etimologico del termine), di trasformare l’Italia radicalmente, possa chiudere il suo volo altissimo alleandosi con una forza che, come tu stesso hai scritto poco tempo fa, ha il suo grumo concettuale in paura mista a ignoranza. Oggi pensavo a Dario Fo che, come me, si parva licet, è approdato al Movimento venendo da altre storie, e ho ricordato quello che diceva della Lega e di Salvini, rabbrividendo: «Un uomo dal cinismo assoluto, che non guarda in faccia niente e nessuno. Fa impressione, perché poi fa ben gioco tra i semplici, tra quelli senza cultura e senza conoscenza, che lo seguono sulla via della paura, dello spavento». Questo sarà l’uomo con cui il M5S cambierà l’Italia?
Certo, lo so: il M5S è post-ideologico, stiamo redigendo un contratto alla tedesca... Ma a quel tavolo c’è.... Calderoli! L’uomo che definì la sua stessa legge elettorale una “porcata”!
E nell’ombra, come ripete continuamente Travaglio, assorto vigila Silvio Berlusconi, con il quale la Lega continua a governare le regioni del Nord. E poi, mi chiedo, cosa c’entra quello che tu hai messo al centro della discussione politica (la giustizia sociale, la ritessitura del legame comunitario, la tutela dell’ambiente) con l’ideologia (sì, l‘ideologia) egoistica, protesa a tutelare l’individualismo proprietario, disinteressata alle grandi tematiche ecologiche della Lega? Che c’entrano Adriano Olivetti, Serge Latouche, Jeremy Rifkin, Ivan Illich, Simone Weil e tutte le belle eresie cui si ispira il Movimento con... Salvini? 
In nome di tutto quello che insegno ai miei allievi, non posso tacere.
Con la testa in fiamme, il cuore in tumulto, ti abbraccio.


mercoledì 9 maggio 2018

La rivoluzione gentile 38 (La Lega forza di cambiamento?)


Sono entrato nel Movimento 5 Stelle nel 2014, dopo anni di disaffezione rispetto alla politica (e il solo avvicinamento ad ALBA).
Nel mio passato la militanza in Rifondazione Comunista (alla fine degli anni Novanta) e la candidatura a Sindaco in una lista civica (nel 2001).
Sono stato eletto portavoce al Comune di Benevento nel 2016 con 800 voti.
Ho affrontato con impegno, lealtà ed entusiasmo tutte le campagne elettorali: quella per le Europee del 2014, quella per le Regionali nel 2015, le Amministrative del 2016, quelle politiche del marzo scorso, che hanno visto eletti quattro parlamentari sanniti.
Ho seguito la discussione politica di questi due mesi con qualche perplessità (anche sulle strategie comunicative).
Ritengo doveroso ora intervenire per un’onestà intellettuale che devo prima di tutto a me stesso.
Al di là di quanto fatto fino ad ora, ritengo inaccettabile continuare il dialogo con una forza politica (la Lega, ex Lega Nord) in base all’assunto che essa sia una “potenziale” forza di cambiamento. Basta ripercorrere la storia di quella che è la più “vecchia” forza presente in Parlamento per rendersi conto che siamo di fronte ad un inganno: nata negli anni Ottanta, sotto ispirazione di un pensatore (di spessore) come Gianfranco Miglio (studioso di Schmitt), la Lega di Umberto Bossi era secessionista e antimeridionalista.
Al grido di «Roma ladrona», ha contribuito all’eclisse della “questione meridionale”, sostituita nelle parole d’ordine dalla “questione settentrionale”. Accordatasi con Berlusconi (il cui ruolo in quel giro di anni, all’inizio dei Novanta, appare sempre più ambiguo nel legame con poteri oscuri) e, per proprietà transitiva, con un partito post-fascista come Alleanza Nazionale (nata dalle ceneri del MSI), la Lega condivideva le istanze ultraliberiste del primo berlusconismo, incarnato dal ministro Antonio Martino, formatosi alla scuola di Friedman. Gli uomini-immagini erano rozzi predicatori dell’odio razziale come Mario Borghezio. 
Da allora la Lega, svolgendo la funzione speculare a Rifondazione Comunista per il centro-sinistra, ha puntellato i governi di centro-destra o li ha fatti cadere, annacquando a seconda delle circostanze il proprio messaggio politico, trasformando la secessione in richiesta di federalismo spinto, divenendo partito di riferimento della piccola e media borghesia dell’Italia del Nord ma radicandosi anche nei ceti operai. Divenuta parte integrante del sistema, viene travolta dallo scandalo del 2012. La vicenda segna la fine politica di Umberto Bossi e del suo cerchio magico e vede l’ascesa come segretario di Matteo Salvini, che ha trasformato la Lega Nord in Lega con l’ambizione, originariamente in competizione con Forza Italia, di farla divenire il Front National italiano e facendola volare prima nei sondaggi, poi nelle elezioni.
Se dovessimo sintetizzare l’ideologia della Lega salviniana, diremmo che essa si fonda sul rifiuto dell’Europa (e dell’Euro), su politiche antimigratorie con pesanti venature razziali (che arriva addirittura ad ammettere il “piano Kalergi”), rimanendo espressione di quell’individualismo proprietario che è patrimonio genetico del partito.
L’attuale Presidente della Camera, Roberto Fico, ebbe a dire pochi mesi fa: «Vi garantisco che mai noi saremo alleati con la Lega anche dopo il voto: siamo geneticamente diversi». Condivido in pieno tale affermazione («Siamo geneticamente diversi»), che per me rimane valida senza se e senza ma per due motivi che spero siano chiari:
1)       che la Lega sia una forza del cambiamento (potenzialmente) sarebbe tutto da dimostrare: una sorta di scommessa pascaliana che sinceramente non credo abbia una contropartita per cui valga la pena farla. Al contrario, a partire dal 1994 essa è stata, in maniera ondivaga, puntello del berlusconismo (e lo è tuttora nel governo dei territori);
2)     l’ideologia della Lega è intrisa di valori che a mio avviso sono incompatibili con l’approccio del M5S: volere un’altra Europa (e chiedere il referendum sull’Euro) non significa rinnegare l’europeismo in nome delle “piccole patrie”; chiedere una soluzione razionale e umana del problema dell’immigrazione non significa diventare razzisti; la rivendicazione di un nuovo legame sociale che è alla base del M5S («Nessuno deve rimanere indietro») è incompatibile con l’individualismo proprietario.
Quello che chiedo al mio Movimento è chiarezza. Io posso impegnarmi (e l’ho fatto) fino a stare male fisicamente. Mi dono totalmente ad una causa quando credo in essa. Ma non sono più disposto a deleghe in bianco a nessuno. L’altro ieri Luigi Di Maio ha detto che iniziava la campagna elettorale. Benissimo. Preferirei non si votasse a luglio, ma è vicenda marginale. Ciò che conta è che non si metta in discussione, per l’ennesima volta, questa decisione. Il M5S è una forza essa sì potenzialmente rivoluzionaria, portatrice di un cambiamento di modi e contenuti della politica, come ci sta ripetendo un pensatore a me carissimo come Marco Guzzi in seminari rivolti ai nostri parlamentari. Si rimanga fedeli a tale assunto (questo è il mio auspicio). Ma se si prende atto che ciò non è possibile, in un quadro proporzionale, è che, dunque, è finito il tempo della “purezza”, si affronti una discussione seria in tutto il Movimento e che coinvolga tutti gli attivisti e i portavoce, e ne emerga una strategia condivisa (e non calata dall’alto), strategia che riguardi tutti i livelli d’azione del M5S, non solo quello parlamentare. Insomma, non è possibile iniziare la campagna elettorale e leggere che si continua a dialogare con una forza che puntella il potere berlusconiano e i suoi interessi. Né tanto meno, almeno per quanto mi riguarda, è pensabile che si faccia il “ballottaggio” con la Lega tra luglio e dicembre, per poi governare con lei. Insomma, reclamo rigore, coerenza e, soprattutto, chiarezza.

P.S.

Il mio incarico di portavoce è ovviamente a disposizione in qualunque momento. Non potrei continuare a svolgerlo non condividendo le scelte di fondo del M5S o sapendo di non goderne la fiducia.



mercoledì 2 maggio 2018

La rivoluzione gentile 37 (Confusione)



In una fase di grande confusione voglio chiarire prima di tutto a me stesso cosa sta accadendo e cosa auspico accada nei prossimi mesi.
Premetto che considero questa fase caotica un male necessario e pressoché inevitabile nel passaggio da un paradigma politico ad un altro. Le elezioni del marzo 2018 hanno inequivocabilmente sancito il passaggio dalla cosiddetta “seconda Repubblica” (avviatasi nel 1994 a causa del combinato disposto di cambio dello scenario internazionale, con il crollo dell’URSS, Tangentopoli e referendum Segni-Occhetto) alla cosiddetta “terza Repubblica”. I soggetti che “dettano la linea” sono altri (latamente definibili come “populisti”), il sistema elettorale è tornato ad essere sostanzialmente proporzionale. Chi ha fatto la storia della seconda Repubblica è in crisi di consenso più o meno evidente. Insomma, stiamo pagando un obolo necessario. Quindi non drammatizzerei più di tanto.
Ho guardato con rispetto ma senza condividerla la strategia messa in campo dal gruppo dirigente del M5S. Pur ritenendo il lavoro svolto dal prof. Della Cananea una novità interessante (in prospettiva di una democrazia matura e permanendo in un quadro proporzionale e di accordo necessario ex post), ho vissuto con disagio il dialogo con una forza politica che considero viziata da una visione xenofoba e antimeridionalista. Nello stesso tempo, non ho condiviso il tentativo di dialogo con il Partito Democratico, che considero sideralmente lontano dal Movimento su questioni dirimenti. Per altro, osservandone la classe politica su scala locale, mi chiedo come avrebbero vissuto tutti i portavoce locali questo “contratto di governo”.
Detto questo, che fare? Io ritengo che la via maestra sia quella del voto quanto prima, qualunque governo dovesse nascere essendo minato da insanabili contraddizioni.
Due le strade allora. O si riesce ad accordarsi su una legge elettorale che, in particolare con un premio di maggioranza che risponda ai rilievi della Consulta, consenta la governabilità, oppure, accettando di andare al voto con il cosiddetto Rosatellum, si accetta di ragionare in un’ottica di coalizioni. Qui, io credo, bisognerà essere tutti chiari con i propri elettori. Ossia: fermo restando che si ambisce a governare da soli, nel caso in cui non fosse possibile cosa faremo dopo? Ricordo a me stesso che il M5S si è sempre espresso per un sistema elettorale proporzionale. L’ambizione alta di essere “maggioritari” in tale sistema va conservata, ma aprendo un confronto serio su un’alternativa.
Non dobbiamo aver paura di rimanere forza di opposizione, che cerca di migliorare il sistema “dal basso”. Se entriamo, però, in una logica di “coalizione” (al di là delle formule che sceglieremo, come quella del “contratto alla tedesca”) che ciò avvenga in maniera condivisa e consapevole. Questo passaggio potrebbe sciogliere alcune delle contraddizioni che probabilmente il M5S continua ad albergare dentro di sé anche a causa della sua inattesa e impetuosa crescita.