Sono entrato nel Movimento 5 Stelle nel 2014,
dopo anni di disaffezione rispetto alla politica (e il solo avvicinamento ad
ALBA).
Nel mio passato la militanza in Rifondazione
Comunista (alla fine degli anni Novanta) e la candidatura a Sindaco in una
lista civica (nel 2001).
Sono stato eletto portavoce al Comune di
Benevento nel 2016 con 800 voti.
Ho affrontato con impegno, lealtà ed entusiasmo
tutte le campagne elettorali: quella per le Europee del 2014, quella per le
Regionali nel 2015, le Amministrative del 2016, quelle politiche del marzo
scorso, che hanno visto eletti quattro parlamentari sanniti.
Ho seguito la discussione politica di questi due
mesi con qualche perplessità (anche sulle strategie comunicative).
Ritengo doveroso ora intervenire per un’onestà
intellettuale che devo prima di tutto a me stesso.
Al di là di quanto fatto fino ad ora, ritengo
inaccettabile continuare il dialogo con una forza politica (la Lega, ex Lega
Nord) in base all’assunto che essa sia una “potenziale” forza di cambiamento.
Basta ripercorrere la storia di quella che è la più “vecchia” forza presente in
Parlamento per rendersi conto che siamo di fronte ad un inganno: nata negli
anni Ottanta, sotto ispirazione di un pensatore (di spessore) come Gianfranco
Miglio (studioso di Schmitt), la Lega di Umberto Bossi era secessionista e
antimeridionalista.
Al grido di «Roma ladrona», ha contribuito all’eclisse della “questione meridionale”, sostituita nelle parole d’ordine dalla “questione settentrionale”. Accordatasi con Berlusconi (il cui ruolo in quel giro di anni, all’inizio dei Novanta, appare sempre più ambiguo nel legame con poteri oscuri) e, per proprietà transitiva, con un partito post-fascista come Alleanza Nazionale (nata dalle ceneri del MSI), la Lega condivideva le istanze ultraliberiste del primo berlusconismo, incarnato dal ministro Antonio Martino, formatosi alla scuola di Friedman. Gli uomini-immagini erano rozzi predicatori dell’odio razziale come Mario Borghezio.
Al grido di «Roma ladrona», ha contribuito all’eclisse della “questione meridionale”, sostituita nelle parole d’ordine dalla “questione settentrionale”. Accordatasi con Berlusconi (il cui ruolo in quel giro di anni, all’inizio dei Novanta, appare sempre più ambiguo nel legame con poteri oscuri) e, per proprietà transitiva, con un partito post-fascista come Alleanza Nazionale (nata dalle ceneri del MSI), la Lega condivideva le istanze ultraliberiste del primo berlusconismo, incarnato dal ministro Antonio Martino, formatosi alla scuola di Friedman. Gli uomini-immagini erano rozzi predicatori dell’odio razziale come Mario Borghezio.
Da allora la Lega, svolgendo la
funzione speculare a Rifondazione Comunista per il centro-sinistra, ha
puntellato i governi di centro-destra o li ha fatti cadere, annacquando a
seconda delle circostanze il proprio messaggio politico, trasformando la
secessione in richiesta di federalismo spinto, divenendo partito di riferimento
della piccola e media borghesia dell’Italia del Nord ma radicandosi anche nei
ceti operai. Divenuta parte integrante del sistema, viene travolta dallo
scandalo del 2012. La vicenda segna la fine politica di Umberto Bossi e del suo
cerchio magico e vede l’ascesa come segretario di Matteo Salvini, che ha
trasformato la Lega Nord in Lega con l’ambizione, originariamente in
competizione con Forza Italia, di farla divenire il Front National italiano e
facendola volare prima nei sondaggi, poi nelle elezioni.
Se dovessimo sintetizzare l’ideologia della Lega
salviniana, diremmo che essa si fonda sul rifiuto dell’Europa (e dell’Euro), su
politiche antimigratorie con pesanti venature razziali (che arriva addirittura
ad ammettere il “piano Kalergi”), rimanendo espressione di quell’individualismo
proprietario che è patrimonio genetico del partito.
L’attuale Presidente della Camera, Roberto Fico,
ebbe a dire pochi mesi fa: «Vi
garantisco che mai noi saremo alleati con la Lega anche dopo il voto: siamo geneticamente
diversi». Condivido in pieno tale affermazione («Siamo geneticamente diversi»),
che per me rimane valida senza se e senza ma per due motivi che spero siano
chiari:
1) che la Lega sia una
forza del cambiamento (potenzialmente) sarebbe tutto da dimostrare: una sorta
di scommessa pascaliana che sinceramente non credo abbia una contropartita per
cui valga la pena farla. Al contrario, a partire dal 1994 essa è stata, in
maniera ondivaga, puntello del berlusconismo (e lo è tuttora nel governo dei
territori);
2) l’ideologia della Lega è
intrisa di valori che a mio avviso sono incompatibili con l’approccio del M5S:
volere un’altra Europa (e chiedere il referendum sull’Euro) non significa
rinnegare l’europeismo in nome delle “piccole patrie”; chiedere una soluzione
razionale e umana del problema dell’immigrazione non significa diventare
razzisti; la rivendicazione di un nuovo legame sociale che è alla base del M5S
(«Nessuno deve rimanere indietro») è incompatibile con l’individualismo
proprietario.
Quello che
chiedo al mio Movimento è chiarezza. Io posso impegnarmi (e l’ho fatto) fino a
stare male fisicamente. Mi dono totalmente ad una causa quando credo in essa.
Ma non sono più disposto a deleghe in bianco a nessuno. L’altro ieri Luigi Di
Maio ha detto che iniziava la campagna elettorale. Benissimo. Preferirei non si
votasse a luglio, ma è vicenda marginale. Ciò che conta è che non si metta in
discussione, per l’ennesima volta, questa decisione. Il M5S è una forza essa sì
potenzialmente rivoluzionaria, portatrice di un cambiamento di modi e contenuti
della politica, come ci sta ripetendo un pensatore a me carissimo come Marco
Guzzi in seminari rivolti ai nostri parlamentari. Si rimanga fedeli a tale
assunto (questo è il mio auspicio). Ma se si prende atto che ciò non è
possibile, in un quadro proporzionale, è che, dunque, è finito il tempo della
“purezza”, si affronti una discussione seria in tutto il Movimento e che
coinvolga tutti gli attivisti e i portavoce, e ne emerga una strategia
condivisa (e non calata dall’alto), strategia che riguardi tutti i livelli
d’azione del M5S, non solo quello parlamentare. Insomma, non è possibile
iniziare la campagna elettorale e leggere che si continua a dialogare con una
forza che puntella il potere berlusconiano e i suoi interessi. Né tanto meno,
almeno per quanto mi riguarda, è pensabile che si faccia il “ballottaggio” con
la Lega tra luglio e dicembre, per poi governare con lei. Insomma, reclamo
rigore, coerenza e, soprattutto, chiarezza.
P.S.
Il mio
incarico di portavoce è ovviamente a disposizione in qualunque momento. Non
potrei continuare a svolgerlo non condividendo le scelte di fondo del M5S o
sapendo di non goderne la fiducia.
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