Ho
conosciuto Domenica Zanin da bambino. L’appuntamento al Supercinema (a Piazza
Bissolati, per i più giovani) per il cineforum era uno dei momenti più attesi
della settimana. Lì abbiamo incontrato un cinema lieve ma anche fortemente
pedagogico. Ho ereditato l’ambizione di mettere questa arte potente al servizio
dell’educazione morale ed estetica. Lo faccio quotidianamente a scuola, memore
di quell’insegnamento.
Ho
avuto il piacere di approfondire quella conoscenza nel corso degli anni. Ho
scoperto una donna atipica per la nostra città, anche in virtù della sua
origine “nordica”. Stimata universalmente come Direttrice didattica, portatrice
di un’innovazione che non era mai fine a se stessa, “levatrice” di schiere di
ottime “maestre” (lo dico sottolineando la bellezza di questa parola), fino
alla fine, mi piace ricordare, oltre a questo aspetto che già ha prodotto
frutti importanti, quanto, della sua eredità rischia di andare disperso perché
poco compreso. E il fatto che si tratti di una donna, in un luogo dove ancora
molto c’è da fare per una parità (nella realtà e nell’immaginario) non può che
amplificare i suoi meriti.
Domenica
Zanin è stata una cristiana “radicale”. Capace costantemente di attingere la
radice stessa della fede, andando oltre gli aspetti superficiali che, invece,
nella nostra città appaiono predominanti. Nel 2009 scrivevo a proposito di chi
«spesso in solitudine ha testimoniato nella nostra città la possibilità di un altro cristianesimo, non bigotto, non
superstizioso, non “pio” (nella oramai duplice accezione della carità tipica
dei beneventani, che ha bisogno di ostentarsi, e del culto idolatrico di Pio da
Pietrelcina)». Ecco, la Zanin ha testimoniato, anche qui fino alla fine, se
l’anno scorso mi chiamò per donarmi il prezioso libro di un mistico interamente
dedito al dono di sé, un modo rarissimo a Benevento d’essere cristiani, capace
di coniugare “ascesi” e “impegno”, senza che l’una diventi fuga dal mondo e
l’altro compromesso con il “princeps huis mundi”, come nella peggior incarnazione
del cattolicesimo politico. Ed era donna capace di permanente dialogo con chi,
come me, viveva il cristianesimo in maniera complessa, mai aderendovi
acriticamente. Come usò dire una volta Romano Prodi, insomma, «un cristianesimo
adulto». Che poi sarebbe l’unico viatico disponibile alla nostra città per una
maturazione complessiva, non solo morale ma anche politica. Guardare
all’esempio della Zanin significherebbe, dunque, immaginare un cristianesimo
impegnato ma autonomo rispetto alle gerarchie ecclesiastiche, curioso
intellettualmente, aperto al dialogo con le culture diverse. Soprattutto
significherebbe credere nell’impegno politico, e qui giungo all’ultima sua
grande eredità che rischia di andar perduta, ma senza compromessi di sorta.
Troppo spesso la “fede” è stata, per i professionisti della politica nostrani,
scorciatoia per brillanti carriere. La Zanin, quando decise di spendere la sua
competenza e la sua credibilità nell’agone politico, lo fece con spirito di
reale servizio. Non fu un’esperienza fortunata. Ma, anche in questo caso, sono
convinto che solo da persone che guarderanno al suo esempio potrà nascere una
svolta profonda nella sempre più deprimente scena della politica beneventana.
Un’autrice
che la Zanin amava molto, Simone Weil, scrisse che avremmo bisogno di una
santità all’altezza del nostro tempo. Ebbene, io credo che lei abbia sempre
tenuto fede a questo appello, cercando di essere una donna di fede e
un’educatrice integrale all’altezza dei bisogni del proprio tempo. È per questo
che molti di noi la ricorderanno con gratitudine e guarderanno a lei come un
modello da imitare.
(Articolo apparsa su «Il Vaglio» nel 2013)
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