giovedì 31 ottobre 2013
domenica 27 ottobre 2013
Heaney - Zappando
Tra il mio dito e il mio pollice
la penna tozza sta; comoda come una pistola.
Sotto la mia finestra, un suono stridente
quando la vanga affonda nel terreno ghiaioso.
È mio padre che zappa. Io lo guardo in basso
fino a che con le reni affaticate tra aiuole
si piega, si rialza venti anni dopo
curvandosi con ritmo, tra le buche delle patate
dove stava zappando.
Lo stivale grezzo appoggiato sul manico, l’asta
faceva leva con forza contro il ginocchio interno.
Sradicò le parti esterne, interrò profondamente le estremità
per seminare le nuove patate che raccogliemmo
godendo della fresca durezza nelle nostre mani.
Per Dio, il vecchio poteva maneggiare una vanga.
proprio come il suo vecchio.
Mio nonno tagliava più erba in un giorno
che chiunque altro nella palude di Toner.
Una volta gli ho portato latte in una bottiglia
tappata trascuratamente con carta. Si raddrizzò
per berlo, poi si curvò
tagliando e affettando con cura, lanciando zolle
dietro le spalle, andando giù e giù
nella terra buona. Zappando.
L’odore freddo delle patate, i suoni dello schiacchiare
e dello sbattere sul terreno fradicio, il secco penetrare di una vanga
attraverso radici vive risvegliate nella mia mente,
ma non ho vanghe per seguire uomini come loro.
Tra il mio dito e il mio pollice
La penna tozza sta.
Zapperò con lei.
diario 2013 (3)
25 agosto (San
Cumano)
Un senso “sovrano” di sereno controllo. Anche sulla fame.
Ho finito di rileggere i Fogli
d’Hypnos, del maestro/guida della stagione che continua a dischiudersi di
ricerca e scrittura.
Ferma decisione di ridurre il tempo in rete.
26 agosto (San
Cumano)
Stanchezza, “tentazioni”, pigrizia. So che questa è la sfida
da vincere ritornato in città. Cosa ne sarà dell’equilibrio sovrano trovato in
alcuni giorni di questa estate? Nel profluvio di parole e immagini? La candela
brucia anche stasera. Falene, Icaro. Si fondono con cera e fiamma.
28 agosto (San
Cumano)
Ho contemplato la pioggia torrenziale che nutriva la terra.
Non dire più: “il mio corpo” ma “io, nella complessità
psicofisica. La grande scoperta di questa estate: quando curo il mio “corpo”
curo la mia “anima”. Non è uno strumento al servizio di un bene maggiore ma
fine in sé. Sogno di portare alla luce il mio corpo “guerriero”. Estate
illuminante. La sfida dell’inverno è ardua, ma val la pena accettarla.
29 agosto (San
Cumano)
Per la prima volta la “volontà” progettuale non mi pone
scadenze. Ho la “direzione”, il senso dei giorni, ma ogni cosa ha fine in sé,
finanche queste lettere a mano che mi costringono a concentrarmi. E come se
avessi capito finalmente che vari ambiti delle mie “vite” vanno integrati, ma
non ancillarmente a presunti scopi superiori. E come se avessi capito, nelle
fibre più intime di me, che ogni attimo va abitato compiutamente in sé. E
quindi non c’è il pathos “della fine” delle altri estati. Al contrario, avendo
ritrovato un percorso non vincolante, finalmente vari momenti della vita mi
appaiono connessi. Non vorrei più “nuovi” inizi ma un consapevole abitare il
fluire dei giorni fatti di attimi.
giovedì 24 ottobre 2013
Domenica Zanin: un modello
Ho
conosciuto Domenica Zanin da bambino. L’appuntamento al Supercinema (a Piazza
Bissolati, per i più giovani) per il cineforum era uno dei momenti più attesi
della settimana. Lì abbiamo incontrato un cinema lieve ma anche fortemente
pedagogico. Ho ereditato l’ambizione di mettere questa arte potente al servizio
dell’educazione morale ed estetica. Lo faccio quotidianamente a scuola, memore
di quell’insegnamento.
Ho
avuto il piacere di approfondire quella conoscenza nel corso degli anni. Ho
scoperto una donna atipica per la nostra città, anche in virtù della sua
origine “nordica”. Stimata universalmente come Direttrice didattica, portatrice
di un’innovazione che non era mai fine a se stessa, “levatrice” di schiere di
ottime “maestre” (lo dico sottolineando la bellezza di questa parola), fino
alla fine, mi piace ricordare, oltre a questo aspetto che già ha prodotto
frutti importanti, quanto, della sua eredità rischia di andare disperso perché
poco compreso. E il fatto che si tratti di una donna, in un luogo dove ancora
molto c’è da fare per una parità (nella realtà e nell’immaginario) non può che
amplificare i suoi meriti.
Domenica
Zanin è stata una cristiana “radicale”. Capace costantemente di attingere la
radice stessa della fede, andando oltre gli aspetti superficiali che, invece,
nella nostra città appaiono predominanti. Nel 2009 scrivevo a proposito di chi
«spesso in solitudine ha testimoniato nella nostra città la possibilità di un altro cristianesimo, non bigotto, non
superstizioso, non “pio” (nella oramai duplice accezione della carità tipica
dei beneventani, che ha bisogno di ostentarsi, e del culto idolatrico di Pio da
Pietrelcina)». Ecco, la Zanin ha testimoniato, anche qui fino alla fine, se
l’anno scorso mi chiamò per donarmi il prezioso libro di un mistico interamente
dedito al dono di sé, un modo rarissimo a Benevento d’essere cristiani, capace
di coniugare “ascesi” e “impegno”, senza che l’una diventi fuga dal mondo e
l’altro compromesso con il “princeps huis mundi”, come nella peggior incarnazione
del cattolicesimo politico. Ed era donna capace di permanente dialogo con chi,
come me, viveva il cristianesimo in maniera complessa, mai aderendovi
acriticamente. Come usò dire una volta Romano Prodi, insomma, «un cristianesimo
adulto». Che poi sarebbe l’unico viatico disponibile alla nostra città per una
maturazione complessiva, non solo morale ma anche politica. Guardare
all’esempio della Zanin significherebbe, dunque, immaginare un cristianesimo
impegnato ma autonomo rispetto alle gerarchie ecclesiastiche, curioso
intellettualmente, aperto al dialogo con le culture diverse. Soprattutto
significherebbe credere nell’impegno politico, e qui giungo all’ultima sua
grande eredità che rischia di andar perduta, ma senza compromessi di sorta.
Troppo spesso la “fede” è stata, per i professionisti della politica nostrani,
scorciatoia per brillanti carriere. La Zanin, quando decise di spendere la sua
competenza e la sua credibilità nell’agone politico, lo fece con spirito di
reale servizio. Non fu un’esperienza fortunata. Ma, anche in questo caso, sono
convinto che solo da persone che guarderanno al suo esempio potrà nascere una
svolta profonda nella sempre più deprimente scena della politica beneventana.
Un’autrice
che la Zanin amava molto, Simone Weil, scrisse che avremmo bisogno di una
santità all’altezza del nostro tempo. Ebbene, io credo che lei abbia sempre
tenuto fede a questo appello, cercando di essere una donna di fede e
un’educatrice integrale all’altezza dei bisogni del proprio tempo. È per questo
che molti di noi la ricorderanno con gratitudine e guarderanno a lei come un
modello da imitare.
(Articolo apparsa su «Il Vaglio» nel 2013)
domenica 20 ottobre 2013
diario 2013 (2)
16 agosto (San Cumano)
Integrare il monaco e il guerriero.
17 agosto (San Cumano)
La vita, le sue asperità, le sue “resistenze” ai nostri
(generosi) slanci progettuali. Ciò nonostante, continuare a fare progetti,
generosamente. [...]
Che individuo sto “costruendo”? Sicuramente c’è una “storia”,
che mi sforzo sempre di raccontarmi. Inevitabilmente essa è un’interpretazione,
la “mia” interpretazione. Parte di questa storia è la consapevolezza che ci
sono strutture psichiche profonde, che affondano probabilmente nella prima
infanzia. L’idea di fedeltà, i riti di espiazione, il rapporto con il cibo, per
dire di questioni che hanno condizionato perennemente le mie scelte. Ma anche
la compassione, la mitezza d’animo, il disinteresse per il denaro, la
repulsione per la violenza.
Evoluzione positiva: fine dell’illusione che possa esserci
una “rivelazione finale” o un “compimento”. Ovviamente questo presuppone che il
“lavoro” continui per tutta la vita, e che ogni tappa sia provvisoria, stazione
di una “via/crucis/lucis”.
Logos, che lega,
ma in sé mutevole [...].
Questo luogo meraviglioso addolcisce anche i momenti amari
che periodicamente tornano. Questa è e sarà sempre la mia dimora. In città sarò
sempre in esilio.
24 agosto (San
Cumano)
Quando leggo poesia cosa accade prima di tutto, cioè prima
del significato che, poi, può divenire ethos?
Abito e mi lascio trascorrere da parole che non comunicano informazioni (prima
di tutto) e non servono a relazionarsi (prima di tutto). È il linguaggio stesso
il centro del processo in atto. Gesto insorgente, nel tempo della chiacchiera
universale [...].
Consapevolezza di una nuova “soglia” spirituale, di una
nuova configurazione del divino, cui adeguare pratiche quotidiane e letture.
Non più il Dio Padre gesuano ma il Logos che
tutto tiene insieme, senza ordine geometrico, Fuoco eracliteo [...].
Ho fame e sono felice, alla luce della candela. Dovrebbe
essersi chiuso il “ciclo basso”. Tornare a volare alto, potando e “rinunziando”.
giovedì 17 ottobre 2013
Char - La macina emisferica
Troppo sicuri dei nostri mezzi non dovremmo denigrare ma intuire il mondo, non brutalizzarlo né certificarlo, ma dimostrargli che siamo attenti, e non sollecitarlo insidiosamente. Custodiremmo all’interno una stella nana a margine del suo nido, come un bambino della foresta nella circonferenza del suo rifugio mentre i suoi genitori abbattono con l’ascia soltanto il legno necessario ai loro bisogni.
Uomini dai vecchi sguardi, vi preghiamo: al va e vieni del duro pendolo, lasciate fermentare. Senza troppa acredine né scosse, senza troppo odio ne troppo ideale.
Mondo dagli azzurri sguardi, eccoti lavato, mentre sogni l’avvenire. E che scintillanti orecchie!
(da Lontano dalle nostre ceneri, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2003, traduzione di Elisa Bricco)
domenica 13 ottobre 2013
diario 2013 (1)
2 febbraio
Devo
accettare l’inverno del mio corpo e del mio spirito... Le stagioni sono un
evento del cosmo e dei corpi.
3 febbraio
Torna
l’antica domanda. Chi sono io? Che cosa voglio essere... ancora? Sono nel mezzo del decennio delle nuove domande di senso
[...].
Non
c’è prospettiva, studio, costruzione, progetto. C’è una pigra quotidianità che
spesso procede per sussulti, con fughe oniriche, desiderio di dormire,
chiudendo la stanza da letto a chiave per intere settimane. È improbabile
pensare ad un’uscita volontaristica da questa condizione di sofferenza fisica e
psichica. Le due cose, d’altronde, sono assolutamente correlate [...].
Non
riesco ad accettare il fatto che, in trent’anni la mia struttura sia rimasta
immutata, il nucleo del mio essere. Eppure i cambiamenti sono stati tantissimi
nella “esteriorità” della mia vita [...].
Dovrei
avere il coraggio di ridefinire le priorità. Dirmi con chiarezza cosa voglio
essere nella seconda parte della mia vita. In fondo, è questa mancanza di
chiarezza che crea danni. Cosa voglio essere? Cosa voglio essere? O dovrò
aspettare, come altre volte, che sia la vita a decidere per me? Eppure, quel
che volevo essere nella prima parte della mia vita, a fatica l’ho realizzato,
male in alcuni casi, ma l’ho realizzato [...].
Non
oso scrivere di un periodo “lustrale”, come mi capitava in passato. Avendo
sperimentato quasi tutte le vie spirituali cui potevo ambire, mi accontento
della piccola fedeltà mattutina ad un Dio che ringrazio, comunque, per i doni
che mi ha fatto. In fondo, come ho scritto anche in passato, se dovessi morire
ora, non potrei non dire di aver avuto una bella vita. È che sembra mancargli
il fuoco, il sale, lo “spirito” che vivifica.
15 luglio
Ho
bisogno di un mese e mezzo di lavoro su di me, di letture, di meditazione, al
limite di scrittura. Questo deve accadere contestualmente al lavoro sul corpo [...].
È
fondamentale ricominciare a focalizzare obiettivi che diano “senso” alla mia
esistenza. Navigare a vista non ripaga, ovviamente [...].
È
possibile lasciare che il lavorio interiore continui da sé, senza alcuna
disciplina? L’estate sarà decisiva anche per questo. Trovare le mie preghiere,
i miei riti [...].
Oggi
in campagna senso di profondo benessere. Solo San Cumano ristora il mio cuore
ferito o stanco.
16 luglio
In
me confliggono, spesso la dimensione “apostolica”, predicatoria, e quella
riflessiva. Per questo è necessaria una fase di “depurazione” e di pubblico
silenzio [...].
Quali
ambizioni si agitano in me? A livello immediato, epidermico, direi: stare bene
col corpo. Riuscire, finalmente, ad avere un corpo asciutto, come mai ho
percepito in vita mia [...].
Nello
stesso tempo, dovrei sempre ricordare che è inutile fare attività fisica se non
metto sotto controllo l’alimentazione. Anche qui oscillazioni abbastanza
emblematiche della mia incapacità di “radicalismo”. Ma è sempre la “testa” che
comanda... È il mio rapporto col cibo, per quanto molto addomesticato, resta
complesso, come con il sesso. Io avverto, nel corso delle giornate la mia
testa, il mio stomaco e il mio ventre. I loro dolori e i loro richiami. Avere
più cura del resto, ma anche imparare ad ascoltare sul serio, non solo
“rispondere” sì ad ogni chiamata. Sarebbe bello, ad esempio, ripristinare un
digiuno settimanale: per lo spirito e per la carne. Un momento “lustrale”.
Questo è lo schema conficcato in me dall’infanzia. Di questo non potrò mai
liberarmi. Posso solo imparare a farne buon uso. Purificarsi...
mercoledì 9 ottobre 2013
Reverdy - Viaggi troppo grandi
Viaggi troppo grandi
Forse era la prima volta che vedeva qualcosa di chiaro. Si sentiva agganciato all’ultimo vagone del treno di lusso per qualche meravigliosa destinazione e, distrattamente, guardava il paesaggio che scivolava a ritroso molto più svelto di lui. Con la somma di tutti i particolari perduti si sarebbe potuto costruire un nuovo mondo; ma lui non aveva bisogno di nulla. Del suo ruolo, che egli giuocava con la più grande serietà, gli sfuggiva il significato.
Nelle più grandi stazioni, non c’erano abbastanza frastuoni da commuoverlo; meglio comprendeva la solitudine delle bianche casette sul dorso delle colline. Quando si costeggiava il mare vedeva solo le vele delle barche che ne precisavano i confini.
Tutto è inerte e troppo grande per i suoi occhi, per il suo cuore. La sua testa deve rimanere vuota e nulla potrebbe riempirla.
Mentre finalmente – il compito eseguito, terminate la giornata – ritornava là da dove era partito, non pensava che a quel piccolo angolo di terra che conteneva la sua vita, dove avrebbe trovato il posto giusto per morire.
(da La maggior parte del tempo, Guanda, 1966, traduzione di Franco Cavallo)
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