lunedì 25 dicembre 2017

lettera sul pessimismo

Ti confesso che anch’io sono arrivato - dopo molti anni - alla conclusione che il “pessimismo” sia una scelta di comodo. Potrei stare giorni a scrivere di questo termine, che impariamo nelle nostre ore forzate di scuola e associamo a Leopardi o Schopenhauer. Per molti anni mi è sembrata l’unica possibile verità. Ho letto avidamente questi autori e l’Ecclesiaste. «Vanità di vanità». Io credo che ci sia una profonda verità in questa visione del mondo (così come in ogni eresia c’è una verità che l’ortodossia dimentica o mette troppo in sordina). La verità è questa: il mondo è il luogo dell’incompiutezza; il mondo è pervaso di sofferenza

Divenni ateo (e vegetariano) perché non riuscivo a sostenere il pensiero della sofferenza “inutile” degli animali. Ritrovai questi passaggi in alcune pagine di Dostoevskij sulla sofferenza “inutile” e non redimibile dei bambini, obiezione radicale ad ogni teodicea. Poi nel corso degli anni, pur continuando a vedere le stesse cose, ho iniziato a decentrarmi: a immaginare, cioè, che il mio sguardo non fosse l’unico possibile: «un uomo guarda un uccello morente e pensa che la vita non sia altro che dolore senza risposta, ma la morte che ha l’ultima parola ride di lui. Un altro uomo vede lo stesso uccello e sente la gloria, sente nascere la gioia eterna dentro di sé». Questa è una frase de La sottile linea rossa, un film che ti consiglio vivamente di vedere e meditare. Questa frase sintetizza l’atteggiamento “dialettico” che bisogna avere nei confronti del reale, un atteggiamento, cioè, che non voglia cancellare alcuni aspetti a vantaggio di altri ma si sforza di coglierli insieme. Da questo punto di vista ho rivalutato il pensiero dell’Ecclesiaste: libro della desolazione universale mi pare ora un meraviglioso omaggio alla maestà di Dio. È il deserto che facciamo dentro di noi nella certezza che mai nulla di “umano” potrà saziare la nostra brama di infinito. È l’atteggiamento conclusivo di uno spirito che desidera Dio: fare il vuoto perché Dio “accada” in noi, nasca Gesù Cristo - come scriveva il più grande dei mistici occidentali, Meister Eckhart Ci sono poi altre tappe anch’esse importanti: la benedizione del creato è una di queste. Francesco l’ha insegnata con il Cantico. E questo canto di benedizioni (per il creato e attraverso il creato, come ci dice un altro uso della particella “per” nel testo) è infinito, come ha scritto Borges: ogni uomo può aggiungere qualcosa per cui è giusto bene-dire, cioè dire bene e non male-dire. La maledizione è stata la cifra dominante della letteratura occidentale a partire dal secondo Ottocento. Pensa che Leopardi ha scritto un inno terrificante e poco conosciuto ad Ariman, la divinità mazdaica del Male. Tutto il nostro secolo è discesa agli Inferi. Ora dobbiamo non risalire ma “capovolgere l’abisso a partire dal suo fondo”, come ha scritto Heidegger. Per ciò è necessario attraversare il male, il Nulla, la negazione, la sofferenza. Per questo un pensatore come Nietzsche va sempre letto e riletto: per primo ha capito che il “pessimismo” era una categoria troppo ristretta nei termini in cui l’aveva pensata il suo maestro. La sofferenza del mondo non impedisce la gioia più piena. Questo dovrebbe saperlo anche un cristiano, che troppo spesso indugia in un nichilismo mortuario e mortifero. Questi sono due momenti che ti auguro di vivere: il primo è quello di vedere la bellezza della creazione (e di ringraziare benedicendo: questo è uno dei significati della preghiera); il secondo è quello di scoprire che, malgrado questa bellezza, la tua anima anela alla totalità, all’infinito e che nulla di creato può soddisfare questo bisogno. Quando farai quest’esperienza ti collocherai al di là della preghiera, al di là di Dio stesso, come dice Eckhart. E non sarà la fuga dal mondo ma solo la percezione che esiste un salto qualitativo tra l’al di qua e l’al di là (questa è la profonda verità dell’ebraismo). Attraverserai, infatti, nel corso degli anni la tentazione di una spiritualità panteistica. Anch’essa contiene, evidentemente, una verità, come ti dicevo delle eresie, ma il suo errore è credere di essere tutta la verità. Che Dio esista nella creazione è mistero che il cristianesimo esprime in forma altissima nel sacramento dell’Eucaristia. Dio stesso si fa nuovamente materia, ma questo non deve mai portare alla convertibilità di finito e infinito: l’infinito può farsi finito senza mai coincidere integralmente con esso. Esiste sempre una “trascendenza” che rende vano qualunque tentativo solamente “umano” di compiutezza e felicità. Esiste un “peccato originale” che impedirà sempre di raggiungere la salvezza da soli. Ma questo significa solo che dobbiamo - riconosciuta la nostra impossibilità a salvarci da soli - aprirci all’infinita bontà di Dio. Questa, ripeto, è la verità di ogni pessimismo: la sua pars destruens. Ma Leopardi lì è rimasto e anche il suo titanico tentativo finale non fa altro che prefigurare le catastrofi ecologiche e politiche del secolo XX. Altra era la via: ed era il canto, era la semplice constatazione dell’aspirazione del suo animo all’infinito, della bellezza divina del canto degli uccelli, della rimembranza come custodia di coloro che sono scomparsi e vivono in noi, nelle nostre azioni.
Dunque, prega: benedici, metti insieme tutte le cose meravigliose che hai vissuto e stai vivendo, malgrado tutta la sofferenza, anch’essa reale, che stai vivendo. L’una cosa non esclude l’altra.  La vita continua qui, intorno a noi, malgrado le morti che si susseguono, aperture su altre dimensioni dell’essere. Noi siamo esseri immortali: questa è una delle tappe di un cammino che si concluderà solo quando Dio sarà tutto in tutti, come dice S. Paolo. Fino ad allora attraverseremo vite innumerevoli, memori di ciò che siamo stati, come le anime del Paradiso dantesco, ma anche rinnovati ogni volta. Fino a quando saremo di carne (meravigliosa efflorescenza dello spirito) dovremo vivere benedicendo il creato. 





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