Ti
confesso che anch’io sono arrivato - dopo molti anni - alla conclusione che il
“pessimismo” sia una scelta di comodo. Potrei stare giorni a scrivere di questo
termine, che impariamo nelle nostre ore forzate di scuola e associamo a
Leopardi o Schopenhauer. Per molti anni mi è sembrata l’unica possibile verità.
Ho letto avidamente questi autori e l’Ecclesiaste. «Vanità di vanità». Io credo
che ci sia una profonda verità in questa visione del mondo (così come in ogni
eresia c’è una verità che l’ortodossia dimentica o mette troppo in sordina). La
verità è questa: il mondo è il luogo dell’incompiutezza; il mondo è pervaso di
sofferenza.
Divenni ateo (e vegetariano) perché non riuscivo a sostenere il
pensiero della sofferenza “inutile” degli animali. Ritrovai questi passaggi in
alcune pagine di Dostoevskij sulla sofferenza “inutile” e non redimibile dei
bambini, obiezione radicale ad ogni teodicea. Poi nel corso degli anni, pur
continuando a vedere le stesse cose, ho iniziato a decentrarmi: a immaginare,
cioè, che il mio sguardo non fosse
l’unico possibile: «un uomo guarda un uccello morente e pensa che la vita non
sia altro che dolore senza risposta, ma la morte che ha l’ultima parola ride di
lui. Un altro uomo vede lo stesso uccello e sente la gloria, sente nascere la
gioia eterna dentro di sé». Questa è una frase de La sottile linea rossa, un film che ti consiglio vivamente di
vedere e meditare. Questa frase sintetizza l’atteggiamento “dialettico” che
bisogna avere nei confronti del reale, un atteggiamento, cioè, che non voglia
cancellare alcuni aspetti a vantaggio di altri ma si sforza di coglierli
insieme. Da questo punto di vista ho rivalutato il pensiero dell’Ecclesiaste: libro della desolazione
universale mi pare ora un meraviglioso omaggio alla maestà di Dio. È il
deserto che facciamo dentro di noi nella certezza che mai nulla di “umano”
potrà saziare la nostra brama di infinito. È l’atteggiamento conclusivo di uno
spirito che desidera Dio: fare il vuoto perché Dio “accada” in noi, nasca Gesù
Cristo - come scriveva il più grande dei mistici occidentali, Meister Eckhart
Ci sono poi altre tappe anch’esse importanti: la benedizione del creato è una
di queste. Francesco l’ha insegnata con il Cantico. E questo canto di
benedizioni (per il creato e attraverso il creato, come ci dice un altro uso
della particella “per” nel testo) è infinito, come ha scritto Borges: ogni uomo
può aggiungere qualcosa per cui è giusto bene-dire, cioè dire bene e non
male-dire. La maledizione è stata la cifra dominante della letteratura
occidentale a partire dal secondo Ottocento. Pensa che Leopardi ha scritto un
inno terrificante e poco conosciuto ad Ariman, la divinità mazdaica del Male.
Tutto il nostro secolo è discesa agli Inferi. Ora dobbiamo non risalire ma
“capovolgere l’abisso a partire dal suo fondo”, come ha scritto Heidegger. Per
ciò è necessario attraversare il male, il Nulla, la negazione, la sofferenza.
Per questo un pensatore come Nietzsche va sempre letto e riletto: per primo ha
capito che il “pessimismo” era una categoria troppo ristretta nei termini in
cui l’aveva pensata il suo maestro. La sofferenza del mondo non impedisce la
gioia più piena. Questo dovrebbe saperlo anche un cristiano, che troppo spesso
indugia in un nichilismo mortuario e mortifero. Questi sono due momenti che ti
auguro di vivere: il primo è quello di vedere la bellezza della creazione (e di
ringraziare benedicendo: questo è uno dei significati della preghiera); il
secondo è quello di scoprire che, malgrado questa bellezza, la tua anima anela
alla totalità, all’infinito e che nulla di creato può soddisfare questo
bisogno. Quando farai quest’esperienza ti collocherai al di là della preghiera,
al di là di Dio stesso, come dice Eckhart. E non sarà la fuga dal mondo ma solo
la percezione che esiste un salto qualitativo tra l’al di qua e l’al di là
(questa è la profonda verità dell’ebraismo). Attraverserai, infatti, nel corso
degli anni la tentazione di una spiritualità panteistica. Anch’essa contiene,
evidentemente, una verità, come ti dicevo delle eresie, ma il suo errore è
credere di essere tutta la verità. Che Dio esista nella creazione è mistero che
il cristianesimo esprime in forma altissima nel sacramento dell’Eucaristia. Dio
stesso si fa nuovamente materia, ma questo non deve mai portare alla
convertibilità di finito e infinito: l’infinito può farsi finito senza mai
coincidere integralmente con esso. Esiste sempre una “trascendenza” che rende
vano qualunque tentativo solamente “umano” di compiutezza e felicità. Esiste un
“peccato originale” che impedirà sempre di raggiungere la salvezza da soli. Ma
questo significa solo che dobbiamo - riconosciuta la nostra impossibilità a
salvarci da soli - aprirci all’infinita bontà di Dio. Questa, ripeto, è la
verità di ogni pessimismo: la sua pars destruens. Ma Leopardi lì è rimasto e
anche il suo titanico tentativo finale non fa altro che prefigurare le
catastrofi ecologiche e politiche del secolo XX. Altra era la via: ed era il
canto, era la semplice constatazione dell’aspirazione del suo animo
all’infinito, della bellezza divina del canto degli uccelli, della rimembranza
come custodia di coloro che sono scomparsi e vivono in noi, nelle nostre
azioni.
Dunque,
prega: benedici, metti insieme tutte le cose meravigliose che hai vissuto e
stai vivendo, malgrado tutta la
sofferenza, anch’essa reale, che stai vivendo. L’una cosa non esclude
l’altra. La vita continua qui, intorno a
noi, malgrado le morti che si susseguono, aperture su altre dimensioni
dell’essere. Noi siamo esseri immortali: questa è una delle tappe di un cammino
che si concluderà solo quando Dio sarà tutto in tutti, come dice S. Paolo. Fino
ad allora attraverseremo vite innumerevoli, memori di ciò che siamo stati, come
le anime del Paradiso dantesco, ma anche rinnovati ogni volta. Fino a quando
saremo di carne (meravigliosa efflorescenza dello spirito) dovremo vivere
benedicendo il creato.
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