domenica 17 dicembre 2017

La rivoluzione gentile 16 (Reddito di cittadinanza e impegno politico)


1. Lepigrafe

Partirei dall’epigrafe del libro di Valerio Pisaniello, che mi ha colpito molto:

«A una generazione che paga, non per errori propri». 

Ebbene confesso che io mi sento responsabile per quanto sta vivendo drammaticamente questa generazione. Ed è uno dei motivi per cui, sulla soglia dei 50 anni, decisi di rimettermi in gioco. Quando, con una militanza a sinistra che non rinnego, entrai nel M5S, lo feci soprattutto perché era l’unico soggetto politico che accettava le sfide del proprio tempo senza guardare al passato ma anche senza rassegnarsi all’onnipotenza del dio Mercato, reclamando una vita dignitosa per tutti: «Nessuno deve restare indietro. LItalia deve essere, prima di ogni altra cosa, una comunità. In una comunità, tra i valori più importanti vi è il senso di solidarietà. Il cittadino deve essere il centro della politica». 
Lo scriveva Beppe Grillo. Non dimentichiamo mai la scaturigine profonda del nostro agire. Nella comunità agisce il munus, il dono (reciproco). Che il M5S sia artefice di una grande e rivoluzionaria politica redistributiva capace di sanare le ferite dell’atomizzazione sociale indotta dal neoliberismo egemone dagli anni Ottanta e le lacerazioni della crisi del 2007 devastanti.

2.      Povertà

LItalia è il Paese europeo in cui vivono più poveri. Sono 10,5 milioni, su un totale a livello Ue di 75 milioni, i cittadini che hanno – per esempio – difficoltà a fare un pasto proteico ogni due giorni, sostenere spese impreviste, riscaldare a sufficienza la casa, pagare in tempo l’affitto e comprarsi un paio di scarpe per stagione e abiti decorosi. Triplicati in 10 anni. Sono dati Eurostat di pochissimi giorni fa. Come è possibile voltarsi dall’altra parte o accontentarsi di misure caritatevoli come quelle che pure Valerio analizza nel suo libro messe in campo dai governi di centrosinistra in questi anni?

3.      Realizzazione integrale

Però,  e questo mi pare il merito fondamentale del libro, Valerio ribadisce continuamente che il reddito minimo garantito non è una misura assistenziale né rientra nel paradigma del vecchio welfare state. A nome della sua generazione rivendica con forza una misura che consenta agli individui di realizzare le proprie aspirazioni, declinando in maniera non imposta la flessibilità vissuta come libertà senza essere ostaggi del bisogno o ricattabili.

4.      Reddito di cittadinanza e vita activa

A gennaio, quando Valerio presentò qui il suo primo libro, valorizzai i riferimenti filosofici del libro, in particolare Gorz e Marcuse, evocando però anche un pensatore a me assai caro, Günther Anders. Oggi, invece, molto rapidamente e solo per incuriosirvi, a disposizione per eventuali approfondimenti sempre rinviati in questi anni (lo dico agli amici attivisti di Benevento) vorrei prendere spunto da una frase del libro. Il reddito minimo di cittadinanza renderebbe possibile all’uomo «spendere le proprie energie in attività sociali e politiche». Questa sarebbe una rivoluzione straordinaria! Preconizzata dalla massima pensatrice politica del Novecento, Hannah Arendt. Vi confesso che, se mi avessero interpellato, avrei suggerito di intitolare a lei il nostro strumento di democrazia partecipata, e non a Rousseau, il cui pensiero presenta delle ambiguità (a partire dal concetto di “volontà generale”, che ripresenta l’illusione metafisica della reductio ad unum della pluralità che fonda invece il politico: gli uomini, non l’Uomo, come scrive la grande filosofa ebreo-tedesca). Ebbene la Arendt immagina un mondo che, come quello greco (ma non grazie a schiavi bensì alla tecnologia), liberi il tempo e permetta all’uomo di elevarsi al di sopra delle sue funzioni legate alla sopravvivenza (l’animal laborans e l’homo faber) per dedicarsi alla vita activa fatta appunto di attività artistiche e politiche. Insomma, il reddito di cittadinanza,  reso possibile da una civiltà capace di produrre enorme ricchezza grazie al progresso tecnologico, cui affidare buona parte dei lavori monotoni, potrebbe liberare il tempo e le energie per dedicarsi alla vita politica come coronamento e completamento della vita umana. Questa è la tesi sconvolgente della Arendt: la politica non serve a soddisfare bisogni ma deve essere praticata da tutti perché diventiamo uomini più completi, contribuendo alle decisioni comuni attraverso la consapevolezza.
Dunque, e chiudo, il reddito minimo di cittadinanza non è solo lo strumento fondamentale per ricreare communitas in un paese slabbrato ma anche per porre le basi di una politica praticata non come professione (o peggio: mestiere, e si pensi che oggi, a 40 anni dal suo ingresso in Parlamento, il nostro Sindaco part-time riprende a fare politica nazionale...) ma come realizzazione della propria umanità nell’incontro con l’altro. 

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