martedì 26 dicembre 2017

dal Diario del 2017


Purtroppo la prevalenza della dimensione “social”, effimera almeno fin quando non inventeranno un programma che consenta di conservare tutto quello che vi andiamo scrivendo, rende questo diario obsoleto. Ovviamente non si tratta solo di un fatto tecnico. Facebook ha modificato il nostro modo di pensare e di vivere. Infatti, quando pensiamo e viviamo “in pubblico” veniamo modificati immediatamente. Non vedo solo aspetti negati in tutto ciò, al contrario, ma mi piacerebbe non disperdere un patrimonio che è sempre stato importante nella mia vita (9 giugno).

Mi rendo conto, invecchiando, che le certezze diminuiscono. Aumentano, di contro, perplessità ed interrogativi, sbiadendosi i grandi ideali nei quali abbiamo creduto, talvolta con piglio millenaristico. Sicuramente mi manca un centro ordinatore della mia esperienza esistenziale. Ho detto, nel giorno dei mio cinquantesimo compleanno, che noi siamo una storia. Consapevolezza maturata negli anni, di cui ho scritto in queste pagine (sempre più rade). Noi siamo solo, dunque, una storia? Non c’è più alcun residuo, alcuna apertura all’ignoto, all’incerto, al nuovo che si incardini a quanto già fatto? E tutto questo non potrebbe facilmente essere scambiato per rassegnazione? Non è un modo nobile per nominare l’atteggiamento rassegnato dei vecchi, incapaci di sognare, di emozionarsi e di mettersi in gioco? Non lo so… Dovrei ricreare un “centro spirituale”, ma so quanto tale impresa sia ardua in questa fase, al limite dell’impossibile. Io produco solo dentro “strutture”. Ma è impensabile l’ennesimo ritorno in una struttura, la Chiesa, lontanissima dalla mia spiritualità attuale [...].
Malgrado l’incompiutezza della mia vita, ringrazio il Signore per tutti i suoi doni, per il canto della cicala e il rumore lontano dei trattori in questa estate arida. In me sono destinate a convivere insoddisfazione e benedizione, sorelle (12 luglio).

Non scrivo più che è un tempo strano. Più procedo negli anni più la mia vita, nel rispetto di una strada tracciata, mi appare difficilmente comprensibile.
Se dovessi provare una sintesi degli ultimi anni direi che è venuto meno un progetto di sintesi complessiva alla luce di una risoluzione e di una rivoluzione, se è consentito un gioco di parole. Insomma, le domande diventano sempre più impellenti delle risposte, i dubbi si moltiplicano, le certezze vengono meno. Altri potrebbe chiamarla saggezza? (23 luglio)

Per tutta la vita sono stato prigioniero. Le sbarre del carcere però erano anche una salda presa perché io potessi raggiungere degli scopi. A 50 anni molti degli ideali per i quali sono vissuto mi paiono ingannevoli. Di qui la rielaborazione della mia esperienza esistenziale, riletta come “storia”, con un τέλος, dunque, che non si dà come fine ma come causa efficiente, potremmo dire. Apparentemente un passo in avanti. In realtà resto dentro una “gabbia” che continua a postulare un “senso”, che sia esso alla fine di un processo o che si dia nel dipanarsi di una storia poco cambia. Riflettevo sul fatto che la maggior parte dei titoli delle raccolte poetiche degli anni scorsi allude ad un processo alla fine del quale dovrebbe darsi un disvelamento (Nell’attesa d’un compimento, Per aspera). Insomma, la verità e il senso della vita si darebbero sempre alla fine… Introiettare seriamente Nietzsche significherebbe allora superare una volta per sempre questa struttura mentale che si è sempre trasformata per sopravvivere. Ma questo non significa tornare a vivere consapevolmente l’assenza di Dio? Lo scrivo per la prima volta in maniera inattesa anche per me. Dio non c’è nella mia preghiera perché non c’è nella mia vita. E il sapore di polvere che avverto quotidianamente e l’attaccamento animale alle meravigliose cose dei corpi e del mondo me lo ripete ogni giorno. Non si tratta semplicemente di trovare parole nuove. Manca il destinatario. Non si tratta di mettersi in accordo con un Logos cosmico che è pressoché identico al… Nulla. Bisogna allora faticosamente tornare a costruire “senso” non dando per scontato che esso scaturisca naturalmente dalla storia vissuta fino ad ora né che si dia per miracolo alla fine. E bisogna assegnare un nuovo posto a persone e cose. Con fermezza, senza paura, soprattutto senza viltà, sapendo che ci sono cose e persone inevitabilmente morte che non possono occupare alcun posto in questo nuovo ordine (27 luglio).

Riflessioni di questi giorni: io ho sbagliato e sbaglio tanto. Le critiche che spesso mi vengono mosse, anche da mia moglie, sono spesso giuste. Devo smettere di pensare la mia vita come possibilità inesperite per colpa di qualcuno. Io sono stato ciò che volevo. Ogni qual volta vivo un disagio non devo scaricarne le responsabilità su qualcuno, in primis mia moglie. L’alternativa non è tra una “storia” data e già scritta e un nuovo inizio. Ogni novità, che posso scegliere, se lo voglio davvero, deve essere coerente con la storia costruita fino ad ora, che però non deve diventare la giustificazione dell’inerzia (10 agosto).

23 anni di matrimonio… Strano scriverlo, strano pensarlo. Ricordo ancora il 25° anniversario di nozze dei miei genitori, celebrato nella Chiesa oramai diroccata di San Cumano da don Giovanni Giordano. Eravamo giovani… Se non faccio male i calcoli doveva essere il giugno del 1987. Ci eravamo da un anno trasferiti qui. 

Mi capita spesso di pensare cose del tipo: com’era mio padre quando aveva la mia età di adesso. I 50 anni di mio padre: 1988. Io ero all’università, e i diari mi conservano i pensieri di quell’anno, tra ossessioni sessuali, amore, cupio dissolvi, amicizie, scoperte intellettuali che mi plasmavano [...]
Il quantitativo di energia a mia disposizione è elevato ma non illimitato. Ogni qual volta uso energia per qualcosa devo sapere che la toglierò ad altro.
Rosaria ha ragione quando dice che la mia vita è fatta di cicli pieni di passione per qualcosa. Intuizione di questi giorni: tale passione è stata sempre “relazionale”. A partire dall’Università. Che cos’era la mia capacità di creare un gruppo di lavoro che trascriveva le lezioni e creava favolose dispense di studio? Quando non c’era neanche internet e neanche i cellulari. E poi “la rosa necessaria”, e poi il ruolo avuto in “promemoria”, e poi “soglie”, l’impegno politico, il mio modo di agire nelle scuole dove ho lavorato. 
Insomma: io vivo in questa continua tensione tra bisogno di solitudine e bisogno di relazione, esattamente come quando ero bambino in cui erano forti sia il bisogno di avere i miei spazi di gioco e svago solitario, con soldatini, bambolotti, disegno e fumetti della Marvel, sia il bisogno di stare con i miei cugini e poi con Luca e gli amici della Parrocchia. Le strutture fondamentali dell’esistenza restano immutate. Mutano i contenuti. 

Immutata è rimasta pure la “paura” del grande mondo. Ho viaggiato e visto molto, soprattutto con la mia famiglia, ma anche dopo (Russia, Provenza, Barcellona, Ungheria…). Ma resto una pianta che si muove malvolentieri dal suo luogo di radicamento. Non c’è nulla da fare (27 agosto).

Di molto positivo: il conflitto, che per anni ho temuto, non mi fa più paura. Anzi, inizio a considerarlo il sale stesso della vita. Il mio eraclitismo teorico inizia ad innervare le pratiche quotidiane. Insomma: non scapperò più! Resterò dentro l’agone, nel conflitto (2 settembre).
Condividevo in questi giorni (stranamente!) anche con mia moglie il senso di serenità che domina questo tempo della mia vita. I problemi sono sempre gli stessi, ma il mio modo di affrontare la vita, a partire dalle piccole cose, mi pare totalmente diverso. Potrebbe essere la consapevolezza di aver raggiunto gli obiettivi esistenziali che mi ero prefisso? Non lo so, al netto dell’autoinganno per cui, probabilmente, tendiamo a costruire una “storia” il cui compimento inevitabile ci appare quello che abbiamo realizzato. Escludo sia “saggezza”. La mia personalità, malgrado le fascinazioni hessiane subite dalla prima giovinezza e i conati vari, difficilmente troverà la propria incarnazione definitiva nella figura del “vecchio saggio”. Fatto sta che alcune “strutture” che hanno dominato la mia vita per più di quarant’anni sembrano indebolirsi: il senso di colpa, la paura di deludere le persone intorno a me e, dunque, la necessità di sforzarmi in ogni circostanza di essere – a modo mio e fuori dai percorsi consueti – il migliore. In fondo, mi sono sempre sentito responsabile di tutto quanto accadeva, dalle guerre in paesi lontani alle vicende familiari. “Lasciare che sia”. Ecco da cosa nasce la mia serenità, sperimentata prima solo per brevissimi periodi in vece di un’ansia «che insegue se stessa» (per citare uno dei versi scritti a me più cari) o di una rabbia senza causa o di una paura del futuro (25 settembre).



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