venerdì 29 dicembre 2017

La rivoluzione gentile 17 (Politica e filosofia)


Per circa un anno la domanda più frequente che mi facevano le persone era: perché non sei stato tu il candidato del M5S? La mia risposta era articolata: evocavo la democrazia interna (checché ne dicano i detrattori) e, soprattutto, dicevo loro che era stato un bene (col senno di poi), consentendo di misurare la mia credibilità (e avendone una risposta che superava qualunque ottimistica previsione). Aggiungevo che era positivo che per me e Marianna (con la quale è nato intanto un bellissimo rapporto fondato sulla complementarità e la fiducia reciproca) è estremamente positivo fare esperienza. L’amministrazione è prima di tutto pratica. Confesso che ho imparato tantissimo in un anno e mezzo. Stare “dentro” ti dà una prospettiva completamente diversa.
Ora quella domanda è stata (per fortuna!) archiviata, sostituita da un’altra, altrettanto ricorrente: come fai a sopportare tutti gli attacchi che ti fanno? Li prendo con filosofia! Può sembrare banale, ma ritengo che una politica nuova debba essere nutrita di filosofia, spiritualità e di poesia. Provo a spiegarmi.
La filosofia (o almeno una parte di essa) è, come mi ha insegnato Hadot, uno stile di vita, un continuo esercizio per migliorarsi. Sopportare i rovesci, non lasciarsi trascinare dall’ira, essere tollerante con chi getta fango sul nostro agire e sulla nostra vita, ma anche perseguire il bene collettivo, essere fedeli ad un’etica pubblica, non cedere ai compromessi. Il punto decisivo è capire le “passioni” che spesso ci agiscono, guardarle con occhio distaccato, sapendo che la “volontà di potenza” (le cui manifestazioni più elementari hanno a che fare con potere, denaro e sesso ma che sa essere anche sottile e camuffarsi con forme elevate) agisce in tutti, anche, anzi, direi soprattutto, in me. La filosofia è lo strumento fondamentale affinché io sia sempre consapevole di ciò che accade dentro di me, facendo scattare spie d’allarme quando l’Io vuole egemonizzare tutto. Il governo delle passioni: so che pare anacronistico nel trionfo (culturale) del berlusconismo (che vive la sua coda parodistica politicamente) che eleva addirittura l’immoralità e le “cene eleganti” a regola. Eppure mi pare una delle priorità del nostro tempo malato.
E senza una vita spirituale ricca non rischiamo di essere dei vasi rotti, delle pile scariche? Come potrei agire in un ambiente così radicalmente “polemico” e spesso ostile senza avere una fonte energetica a cui collegarmi, facendo silenzio dentro e fuori di me, e ricercando l’origine stessa del senso del mio agire? «Senza di me non potete far nulla» (Gv. 15,5) ricorda Bonhoeffer nella sua mirabile Etica parlando dell’azione. Senza una qualsivoglia forma di preghiera e di nutrimento spirituale ogni agire politico diventa nel migliore dei casi “tecnica”, ragione strumentale, nel peggiore ricerca del proprio tornaconto.
La poesia, infine, è il linguaggio che, andando al cuore stesso del dire umano (è l'insegnamento imperituro del grande rimosso, Martin Heidegger), mi indica continuamente la necessità di rinnovare le parole morte della politica, mi incita a curare ogni frase pronunziata o scritta, ricordando che resterà, e che la sfida, come insegnatomi dalla Arendt, è compiere nobili gesta e pronunziare grandi discorsi.
In questo anno e mezzo ho avuto a che fare con tipi umani i più vari (e avariati).
1. Alcuni vivono la frustrazione di non essere riusciti ad entrare nell’agone politico per la porta principale e si inventano improbabili sodalizi che, nel proclamarsi espressione della società civile, pretendono di pontificare su tutto, dettando agende a chi, invece, la sfida l’ha accettata, la faccia ce l’ha messa e ha vinto.
2. Altri, senza esporsi direttamente, vorrebbero dirti cosa fare e come farlo. Sono i peggiori: nel momento in cui mostri qualche perplessità o non segui i loro consigli diventi un colluso, un venduto al nemico.
3. Altri ancora avrebbero voluto avere un ruolo nel M5S. La loro assoluta mancanza di credibilità li ha isolati, spingendoli a reinventarsi come ultras grillini, in servizio di denigrazione permanente dell’operato mio e di Marianna.
4. Infine ci sono i più patetici: quelli con ambizioni inversamente proporzionali alle loro capacità, personalità sofferenti di “pseudologia fantastica” che li spinge a creare una realtà parallela che consenta di ignorare la realtà. Un po’ come in Spider, il magnifico film di Cronenberg.
Nessuno di costoro, a quanto pare, ritiene la filosofia, la spiritualità o la poesia importanti. E si vede... Purtroppo per loro.
Non dimentico che, se un significato deve avere questa mia esperienza che trascenda la mia personalissima e permanente Bildung, è essere possibile exemplum per i più giovani. Di cosa? Direi sostanzialmente della possibilità di praticare la politica senza cadere nella trappola di quello che un caro amico ha definito “voto di prossimità” (pericolosamente vicino al clientelismo o al voto di scambio) e di farlo intrecciandola con altri ambiti dell’esperienza umana che ne siano nutrimento.
Ricordo che Pasquale Viespoli (che sarà probabilmente di nuovo candidato...) diceva (alla metà degli anni Novanta) che la sua ambizione era attraversare un scolo fognario uscendone pulito. Personalmente, invece, non ambisco ad uscirne “pulito” ma migliore, più completo: άνθρωπος τέλειος (per citare ancora il mio amatissimo Bonhoeffer). Che la politica sia il bagno in cui temprare il metallo della mia esistenza.
Intanto accetto la dimensione agonistica della politica (e ringrazio Eraclito per avere educata una natura fondamentalmente irenica come la mia, eredità materna, ad accettare πόλεμος come legge cosmica), sperimentando ogni giorno come gli amici (o i consanguinei) possano diventare avversari. La filosofia mi educa a separare persone e funzioni. Io non ho nessuna difficoltà ad essere intransigente con chi in quel momento sta agendo male politicamente e a continuare a stimarlo o a volergli bene. Talvolta ho l’impressione che questo esercizio di discernimento sia più difficile, invece, per gli altri. Posso solo consigliare loro l’unica terapia possibile: la filosofia! Che invece non consiglio agli hater i cui profili ho delineato sopra, memore del motto gesuano («Nolite dare sanctum canibus, neque mittatis margaritas vestras ante porcos, ne forte conculcent eas pedibus suis, et conversi dirumpant vos, Mt. 7, 6). È bene che restino irretiti nelle trame stesse che ordiscono. D’altronde l’astio che manifestano quotidianamente è già (meritata) mercede per le loro vite senza filosofia, senza spiritualità, senza poesia.
Un maestro, se ne avessi uno, potrebbe rimproverarmi, accusandomi di superbia e vanagloria. È possibile... Non lo nego. Unica scusante: la disfida in cui mi trovo. Un giorno, quando ne sarò fuori, potrò riguardare a questi anni è rispondere a molte domande: sono divenuto un uomo migliore o peggiore? Vedevo la realtà con lucidità o una forma sottile di volontà di potenza obnubilava il mio sguardo? Coloro che percepivo come nemici erano davvero tali o anche in loro c’era qualche briciola di nobiltà nell’agire? Ora, nel fuoco della controversia, non so rispondere. Posso solo ribattere colpo su colpo, senza mai lamentarmi, perché ho scelto consapevolmente di vivere questa esperienza. 

P.S.
Molti non hanno inteso che l’aggettivo “gentile” che ho, con apparente ossimoro, accostato a “rivoluzione” non ha a che fare solo con la mitezza. “Gentile”, come ben sa chi ha un minimo di conoscenze, anche scolastiche, letterarie, è sinonimo di “nobile”, in un’accezione che nulla ha a che fare con la stirpe e il sangue. Il politico odierno deve essere un cavaliere e affinare continuamente la propria anima se non vuole asservirsi e asservire al «princeps huius mundi». Anche in questo senso è improcrastinabile il ricongiungimento tra etica e politica.




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