lunedì 3 marzo 2014

(Auto)Intervista politica



Professore, come mai questa adesione al Movimento 5 Stelle, che ha suscitato un vespaio di polemiche, in virtù della sua storia politica, sempre a sinistra?

È stata una scelta, le confesso, difficile, dolorosa per certi versi. Ha significato per me abbandonare le bandiere, i simboli nei quali mi sono riconosciuto per quasi trent’anni e andare verso volti, storie, proposte assolutamente nuove per me... Anche ieri, in una convention (in realtà un  Tavolo tecnico, devo ancora abituarmi ad un linguaggio nuovo per me) molto affollata del Movimento mi rendevo conto che ero, quasi corpo estraneo, in un mondo nuovo.

Quali i motivi che l’hanno spinta alla scelta?

La consapevolezza della definitiva fine di un’intera storia politica, iniziata nel dopoguerra. Probabilmente il momento decisivo è il 2008, quando la cosiddetta sinistra radicale viene espulsa dal Parlamento, per insipienza soggettiva e per le scelte di Veltroni. Fu un vero e proprio lutto per me. Già allora mi interrogavo sul rapporto fra il fenomeno Grillo, guardato con disprezzo da molti, e la sinistra. Oggi si compie quella duplice storia: l’elaborazione di un lutto “politico” e l’auspicio che una parte (si badi: una parte!) delle battaglie che sono state storicamente della sinistra italiana possa trovare nuove forme nel Movimento 5 Stelle.

Quali?

In primis, quella per una maggiore giustizia sociale. Io credo che non sia ulteriormente rinviabile un serio progetto di redistribuzione delle ricchezza (che c’è) attraverso strumenti da vagliare, anche se io sono da sempre favorevole al reddito di cittadinanza.

Quali gli elementi di novità che coglie nel Movimento?

Due in particolare. Prima di tutto il superamento della forma classica, novecentesca di organizzazione, in nome di una valorizzazione dell’attivismo civico (e, dunque, il rifiuto del professionismo politico). Il Movimento non chiede delega ma impegno diretto a partire da istanze territoriali. Poi un ecologismo “radicale” ma capace anche di tradursi in scelte concrete (ieri c’era, all’incontro, una macchina ibrida all’idrogeno... cose di cui Grillo parlava nei suoi spettacoli già dieci anni fa).

Non le sembrano fondate le accuse di chi vede nel Movimento un soggetto politico “carismatico” e “personalistico”?

Siamo di fronte ad un’esperienza politica innovativa. Vorrei non lo si dimenticasse prima di dare giudizi tanto definitivi quanto sommari, in itinere, vorrei dire. Inevitabili, dunque, le contraddizioni. Per quanto mi riguarda, ritengo il ruolo di Grillo, in questa fase (ribadisco: in questa fase “adolescenziale” del Movimento) una sorta di “male necessario” per evitare l’esplosione di un arcipelago composito in tanti pezzi ininfluenti... Grillo è il “caglio”, il “volto” di un soggetto politico che, però, alla sua base opera secondo logiche movimentiste. Altri movimenti, come quello dei Girotondi o il Popolo viola, proprio per la mancanza di questo “caglio” si sono dissolti senza lasciare tracce durevoli, senza intaccare il sistema dei partiti.

Grillo è stato accusato di essere, però, un autocrate che impone ai Meetup locali le sue decisioni, come nel caso delle recenti espulsioni...

Se avessi potuto, avrei votato anch’io a favore delle espulsioni. Pur non riconoscendomi nel linguaggio bellicoso di Messora («Siamo in guerra»), anch’io ritengo che ci si trovi di fronte ad un momento drammatico della storia italiana (probabilmente mondiale, visti i venti di guerra che spirano dalla Crimea...). E, dunque, sono giustificate anche decisioni apparentemente estreme. Anche in questo caso siamo di fronte ad un’innovazione che ci vorrà tempo per capire (anche se ben presente nella storia della sinistra europea): l’idea che i “delegati” siano portavoce della base e che, quando viene meno il rapporto fiduciario, la delega venga ritirata. Sono elementi di democrazia “diretta”, resi possibili, su larga scala, anche dall’innovazione tecnologica. Cose che Rifkin, spesso invitato da Grillo in Italia, dice da almeno dieci anni.

Lei sarebbe stato favorevole ad un’apertura di credito prima a Bersani poi a Renzi?

Assolutamente no. Il PD rappresenta ai miei occhi l’estrema degenerazione della partitocrazia, una macchina strutturata per l’occupazione del potere e per la costruzione di carriere personali, fatte salve tante persone che credono ancora in una dimensione ideale della politica, votate all’insignificanza. Tra l’altro, sarebbe il caso di non dimenticare il rifiuto di eleggere un Presidente di altissimo profilo come Rodotà, il meglio che la sinistra ha prodotto, probabilmente, e il “tradimento” nei confronti di Prodi. Penso, poi, ad una città come la mia, Benevento, dove il PD si identifica con un politico scafato e gattopardesco (qualcuno ricorda il suo appoggio a Berlusconi nel 1994 e D’Alema che al Calandra dovette “sdoganarlo”?) come Umberto Del Basso De Caro, dominus incontrastato, uomo solo al comando, e Fausto Pepe, ex mastelliano, campione di trasformismo politico in nome della semplice gestione del potere... Con questo PD bisognava immaginare una nuova Italia? E il “giovane” Renzi, campione di retorica sofistica, uomo di “smisurata ambizione”, quanto margine di manovra ha sulle questioni decisive, quelle economiche? E quanto, invece, come il “giovane” Letta, è eterodiretto da istituzioni non democratiche e sovranazionali? No, mi dispiace. L’ambizione smisurata sì ma degna di essere perseguita del Movimento deve essere guidare, in nome degli esclusi dal banchetto del potere e della ricchezza, una maggioranza di italiani verso altri lidi, verso tempi meno oscuri.

Che contributo pensa di dare al Movimento?



In prima battuta, il mio voto, a partire dalle Europee... Per il resto, sono a disposizione, come ho sempre fatto, con l’umiltà di chi si sente in debito. L’alternativa per me era la clausura nella dimensione privata. Sarebbe stato non solo il riconoscimento di una sconfitta definitiva ma anche un gesto comodo e pavido, di un privilegiato (tale sono consapevolmente). Mi auguro che la mia città e il mio paese vengano “liberati”, che sia possibile ricominciare a sperare soprattutto per i ragazzi che guardo spesso con sgomento nelle aule, i miei allievi, molti dei quali destinati, se non cambieranno radicalmente le cose, ad essere etichettati come “choosy” o “bamboccioni” perché i loro padri o i loro fratelli maggiori hanno creato un disastro.

1 commento:

Claudio De Pietro ha detto...

Come si fa a trovare un difetto, uno solo, in questo ragionamento? Complimenti Prof!