sabato 30 novembre 2013
venerdì 29 novembre 2013
martedì 19 novembre 2013
lunedì 18 novembre 2013
Per aspera - Elide Apice
Colpisce
la copertina, una foto antica, in primo piano una bimba che bacia il suo papà,
intuisci e poi hai conferma che quella bimba è sua madre ed è sempre difficile
immaginare una mamma da bambina e che quel papà è un nonno, e non si riesce
quasi mai ad immaginarli giovani.
Questa
la prima impressione per il nuovo lavoro di Nicola Sguera, Per Aspera edito da Delta 3 nella collana “Pugillaria”, curata da
Paolo Saggese, presentato ieri all’Auditorium Giovanni Paolo II dove l’autore è
stato circondato da parenti, amici, allievi «parti della mia vita».
Dopo
i ringraziamenti a chi lo ha accompagnato in questo percorso, Giuseppe Iuliano,
Paolo Saggese, l’editore Silvio Sallicandro, e Giovanna Lizza «che
materialmente e spontaneamente ha permesso questo momento includendolo nella
serie di incontri con gli autori», si è entrati nella poesia che è anche musica
e da musica è stata introdotta, quella che ha accompagnato gli anni della ricerca di Nicola Sguera.
È
la prima raccolta di poesie, produzione
di un ventennio, dal 1990 anno in cui
scomparve la madre, Caterina, il cui passato si riflette nel futuro della
figlia che porta lo stesso nome, al 2010 quando, nel suo luogo dell’anima, San
Cumano, Sguera capisce che è alla fine di un processo di ricerca, che è
arrivato il momento di mettere un punto fermo e provare a ricominciare.
Quattordici
le composizioni scelte e lette dallo
stesso autore «non per narcisismo, ma perché compito di chi scrive è riuscire a
mettersi a nudo di fronte a chi ascolta», più la prima, Andros, letta da un amico, e per ognuna una parola a dire, a
spiegare per aiutare a scendere nei
meandri di versi che si rincorrono e si
intrecciano a trattenere sensazioni. «Ho pensato a questa serata coma ad una
liturgia breve - aveva esordito Nicola Sguera - perché a me sta a cuore che
questo sia un momento religioso ed è per questo che ho volto essere proprio io
a leggere le mie parole perché ho sentito che la mia poesia reclamava
attenzione il mio coraggio di mettermi a
nudo di fronte a voi».
«La tua
poesia mi sembra una poesia religiosa, consapevole che oggi la nostra crisi
prima che economica è religiosa. I tuoi versi sono meditativi, sofferti, messi
in forma con grande misura e perizia», si legge nella prefazione di Franco
Arminio e nell’introduzione di Luca Rando si legge che «queste poesie trattano
dell’uomo che nella distruzione che lo circonda vuol resistere.»
Il
tema centrale è quello degli ultimi, degli sconfitti [...].
Il
punto di partenza è la famiglia, quella di ieri, alla madre «radice e matrice»,
quella di oggi, alla moglie cui è
dedicato il libro, alla figlia.
Cinque
le sezioni in cui il libro [...] è diviso.
“Matrix”,
la prima parte, in cui l’autore si riporta alle «benigne presenze», i morti e
al ricordo di sua madre, morta troppo presto, e di Marilena «che mi piace
pensare prima lettrice di questo libro in un altrove in cui spero ardentemente
di ritrovarci».
“Cronache”,
la seconda parte, «incontro dei destini generali» - racconta Sguera, mentre in
sottofondo si ascoltano le note di Fischia
il vento, e si scusa per qualche parola forte in alcuni versi in La puttana contadina.
“Bestiario”
è la terza parte che raccoglie parole dedicate al mondo animale, alla
speranza che «verrà un giorno in cui
tutto ciò cui gli animali sono sottoposti sarà inimmaginabile», al racconto del
come, circa 30 anni fa, la riflessione sulla sofferenza animale lo abbia fatto
diventare vegetariano.
“Percorsi
d’esodo” nella quarta parte, «la sezione più complessa perché raccoglie versi
degli anni della mia ricerca spirituale iniziata nel 1984 con l’abbandono della
religione cattolica».
«Non
so dirvi dove sono ora - si è come confessato Sguera - e forse la recente
scomparsa di Marilena ha messo in
discussione le mie certezze e mi ha fatto formulare una domanda: chi è Dio per
me?»
La
quinta sezione, “Il seme”, introdotta da musica barocca, è dedicata al
presente, al futuro.
«Il
titolo è certamente polisemico e ognuno potrà dare la propria interpretazione.
Per me ha il significato soprattutto di sbocco di questa lunga relazione con mia moglie,
sigillo di questo libro, nel seme che è mia figlia Caterina, la cui nascita è
stata un percorso aspro e lungo, ma che mi ha fatto riconciliare con l’altra
Caterina, mia madre, scoprendomi albero frondoso capace di dare frutti».
«Nessuna
risposta alle domande fatte. Nessuna
domanda più», questo l’incipit di Epitaffio che
conclude la raccolta che è quindi
percorso travagliato che dalle asperità dell’esistenza può portare alla
luce, ed è un discorso che parte dal personale per arrivare all’universale,
perché le vicende dell’autore possano servire da esortazione per compiere un
proprio percorso di ricerca in se stessi.
venerdì 15 novembre 2013
Per aspera - Annalisa Ucci
I versi, parole messe insieme,
parole spesse volte divise da un abisso che inspiegabilmente si fondono o si
susseguono in maniera impeccabile, danno vita ad una poesia. La poesia,
concedetemelo: uno straordinario mezzo comunicativo. Sì, è vero, di frequente
banalizzato e mercificato, impiegato in maniera semplicistica e addirittura
maltrattato. Nonostante tutto resta pur sempre un singolare e raro modo
di raccontarsi e raccontare, spiegarsi e spiegare, un costante processo di darsi
e ricevere. Detto questo, credo sia una interessante lettura la nuova
raccolta di Nicola Sguera, ormai noto nome beneventano, una raccolta, appunto,
di poesie comprese nel ventennio 1990-2010. Per
aspera, il titolo del suo ultimo lavoro, nasce proprio come una necessità,
come lui stesso spiega: «Ho avvertito il bisogno di mettere un punto fermo in
un percorso molto lungo» [...].
Il 1990 è la data della
scomparsa della madre cui è dedicata la prima sezione di poesie, comprese sotto
il titolo generale di “Matrix” [...].
Il titolo della raccolta è
chiaramente di derivazione latina, «Per aspera sic itur ad astra», un percorso
attraverso le asperità per giungere alla luce o, più letteralmente, alle
stelle. [...]
«Poiché io mi reputo un homo viator, quindi un pellegrino, in
quieta ricerca, vorrei che le persone empaticamente, leggendo i miei versi,
avvertissero questa dinamica trasformativa, itinerante e venissero aiutate,
semmai, a fare il loro percorso».
Dunque è vero si che si parla
di vicende personali , ma tale soggettività dovrebbe servire come invito,
un’esortazione a ciascun lettore a compiere un proprio percorso e, di
conseguenza non leggere la persona–autore di quei versi. Un legame saldo in
tutto il lavoro svolto, una consecutio
tra titolo, immagine di copertina, componimenti e finale che vanno a chiudersi
a cerchio, custodendo quel ventennio sì, ma puntando verso la luce.
Vicende personali si alternano
anche ad avvenimenti di attualità e sociali, raggruppati sotto la voce
“Cronache”, seguite da “Bestiario” e “Percorsi d’Esodo”, inteso nella sua
accezione biblica, un sinonimo di ritorno alla fede ed infine “Seme”, in cui si
parlerà della moglie e della figlia. Uno scrigno prezioso questa raccolta, che
ha tanto da comunicare.
Per quanto riguarda l’aspetto
più propriamente tecnico, Nicola afferma: «Personalmente ritengo di avere, come
dire, una mia musica. Che non è una musica codificabile, ma cerco sempre di
ascoltare quella musica che in quel momento mi risuona nella testa attraverso
le parole e limarla sempre si più» [...].
Nel 2010, proprio nel “luogo
dell’anima” ovvero la casa in campagna tanto cara a Nicola, lui stesso, durante
le meditazioni estive, ha avvertito che si fosse chiuso un percorso di ricerca
poetica e ne stesse iniziando un altro su cui non ha grandi certezze, ma ne
menziona i punti di riferimento come le letture delle poesie di René Char
o la scoperta dirompente di Eraclito ed in genere il pensiero presocratico,
linee guida di questa sua nuova fase.
La prefazione di Franco
Arminio e l’introduzione di Luca Rando lasciano intendere ancora
meglio il significato del lavoro di Nicola Sguera, figlio della poesia del ’900
[...].
L'articolo completo su «BMagazine».
giovedì 14 novembre 2013
Per aspera - Giovanna Lizza
Caro Nicola, [...] dopo In
quieta ricerca non ho smesso di seguire un itinerario di domande e risposte
possibili, a partire dalle tracce che hai lasciato in quel libro.
E ora non si torna indietro dopo queste poesie, che
hanno dato corpo a paure, angosce, illusioni.
La preghiera impetrata a un Dio perché Dio sia; la Vita
tradita nelle esistenze considerate minori; il senso di protezione effimero,
eppure necessario da infondere a chi ne ha bisogno per crescere sorridendo;
l'altro che non è più ritmo di tempesta, ma di onda che culla rassicurante; il
gelo dell'ultimo respiro. Lo sguardo su chi inconsapevole è già ciò che resta
di noi. Traslati di memoria buoni e cattivi come i giorni della vita. Le tue
parole hanno scolpito le mie sensazioni, liberandole, ma legando me. I tuoi
versi hanno tracciato l'identità di un uomo che si muove nella fragilità dei
nostri tempi con trasparenza e disincanto, senza conoscere la resa, seppure
combattendo con armi da sconfitta.
martedì 12 novembre 2013
domenica 10 novembre 2013
Per aspera - Dalla Introduzione di Luca Rando
Questo libro, il primo di poesie di Nicola Sguera, è un percorso di vent’anni. Di vent’anni sia perché l’autore era poco più che ventenne quando ha iniziato il suo percorso poetico, sia perché questi testi sono stati composti nell’arco di un ventennio. Rispetto al suo primo libro (In quieta ricerca) i temi sono gli stessi ma si presentano in altra veste, scarnificati, spesso, da tanti ragionamenti e ridotti al loro nucleo originario.
La poesia salverà il mondo? Alla domanda non c’è una risposta se non quella di chi cerca, nei versi come nelle riflessioni quotidiane, una insurrezione ad un presente di tenebra, partendo dalla propria radice, dal proprio piccolo essere, per proiettarsi in un futuro intravisto, vivendo nell’insicurezza dell’oggi, ma percependola, questa insicurezza, non come malessere o privazione, piuttosto come opportunità per un domani diverso.
Non è un caso se tra gli autori di poesia prediletti da Nicola ci siano Bonnefoy e Char, poeti alla costante ricerca di un rapporto non concettuale o astratto tra le parole e le cose, in cui anzi la parola poetica coincide con la stessa realtà che essa suscita. Nella sua poesia tutto è vigorosamente vivo e attuale; in una parola, tutto è poesia. La forma, pur serbando il verso, ignora la rima, cercando una musicalità mai fine a se stessa.
Per aspera, attraverso percorsi oscuri, difficoltà, sconfitte, ad astra, per arrivare alle stelle. Ma il titolo si ferma solo al primo momento, quello della vita. Certo, è immediato il rimando all’intera frase latina, motto famoso ed abusato. Ma qui ci si ferma alla prima parte. Le asperità sono chiare: il mondo della poesia di Nicola è quello che ben conosciamo di violenza, indifferenza, peccato e orrori vari. Non è consolante la lettura, tutte le asperità della nostra vita, i sensi di colpa, la mercificazione dell’essere, la schiavitù del sesso... Ma ci sono anche improvvisi lampi di gioia. [...]
Non c’è conclusione. La vita
cerca ancora un senso alle domande. Le risposte, tentate, non bastano. La via
non è stata ancora trovata. Smarrito il senso, continua, però, il perenne
interrogarsi ed interrogare.
La conclusione è una visione
sulla propria morte: non si può dare un senso alla propria vita, forse altri la
daranno un domani, non noi. L’importante è svolgere, nel migliore dei modi
possibili, il compito che ci è stato affidato e che abbiamo scelto di seguire.
sabato 9 novembre 2013
Per aspera - La Prefazione di Franco Arminio
Caro Nicola,
la tua
poesia mi sembra una poesia religiosa, consapevole che oggi la nostra crisi
prima che economica è teologica. I tuoi versi sono meditati, sofferti,
messi in forma con grande misura e perizia. Forse c’è un eccesso di
sapienza, forse in qualche caso le parole stanno con la testa ferma sul rigo,
tese ad ascoltare e farsi ascoltare.
Non so, ma
ogni volta che leggo una raccolta di versi, comprese le mie, ovviamente, sento
sempre che dovremmo fare altro. Sento che oggi la poesia sta meglio se è
nascosta in organismi più vasti, se non avanza a volto scoperto, tutta
circondata dal bianco degli accapo. Abbiamo bisogno di sacro ma non in forma
cerimoniale, in forma di fenditure, di incrinature. Mi sarebbe piaciuto leggere
queste tue poesie mischiate al libro in cui parli degli autori a te cari. Mi
emoziona l’idea di una poesia che si fonde con la riflessione saggistica. Forse
siamo chiamati a servire la poesia, più che a servircene. Il difetto delle
raccolte di versi forse è proprio nel presentare solo i filetti, i lacerti
della nostra esperienza, tralasciando le budella, i tendini le vene, il sangue
nero dello squartamento.
Io credo che
tu abbia una straordinaria capacità di lettura, nella lettura sai essere
spericolato, sai cercare con ardore il cuore di chi scrive. Nei tuoi versi,
invece, è come se fossi un po’ frenato dalla tua stessa sapienza, dal tuo
rigore. Comunque il tuo lavoro è tra i pochi che vale la pena veramente di
seguire. Nel tuo scrivere c’è una straordinaria lucidità e un filo cordiale,
accorato. Essere acuti senza essere gentili non serve a niente. E tu sei acuto
e gentile.
Franco Arminio
mercoledì 6 novembre 2013
martedì 5 novembre 2013
lunedì 4 novembre 2013
Eppure
Eppure
Potresti crederlo?
Nella mora triste e avvizzita
esploderà la potenza solare
per l’estasi dei passanti,
fanciulli tornati alla fonte
d’infanzie benedette?
Potresti crederlo?
Sotto la soffice, spietata coltre
sotto la pioggia senza requie,
dei frutti più rossi
ti nutrirai di nuovo dimentica?
L’estate della nostra salute,
Caterina, si sfinisce nel fieno
d’erba medica scolpito in forme pure.
Eppure...
San Cumano, 25 agosto 2013
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