Roso da sogni
non compiuti, per tracce
insonni percorso, il paese del pane
fa montare
il monte della vita.
non compiuti, per tracce
insonni percorso, il paese del pane
fa montare
il monte della vita.
Tu dalla sua briciola impasti
i nostri nomi un’altra volta,
i nostri nomi un’altra volta,
io li vado tastando – ad ogni dito
un occhio che il tuo somiglia -,
e cerco un varco
perché a forza di veglie
io possa giungere a te, in bocca
l’asta chiara: la candela
della mia fame.
un occhio che il tuo somiglia -,
e cerco un varco
perché a forza di veglie
io possa giungere a te, in bocca
l’asta chiara: la candela
della mia fame.
(Paul Celan, da Atemwende, Svolta del respiro)
Certezza che queste poesie dicano cose molto importanti, geroglifici da decifrare, sostitutivo, unico possibile di preghiere non più pronunciabili.
Ci sono sogni non compiuti che “rodono”, scavano dentro l’anima. E se si compissero smetterebbero di angosciare? Ci sono tracce che vanno seguite, sacrificando alla ricerca il sonno. Esse conducono al paese del pane che sorge sul monte della vita. Basta una briciola di quel pane, di quel nutrimento per impastare di nuovo – come Dio fece con il fango per Adamo – i nostri nomi. Chi è il tu di questa poesia? È forse quel Dio così risolutamente negato, il Dio che sorge dal Nulla? I nostri nomi vengono impastati un’altra volta, di nuovo. E continua la queste di un varco che consenta di giungere, vincendo ancora una volta il sonno, quel “tu” evocato, invocato, portando nella bocca un asta, una lancia non più assassina ma luminosa, una candela che testimonia la fame di pane, la fame di vita…
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