domenica 24 aprile 2022

Pensiero in sorgente V: la risposta di Teresa Simeone

 

Carissimo Nicola, rispondo (perché non vorrei far passare nell’indifferenza le obiezioni impegnative che hai fatto ai miei commenti) brevemente. Mi dispiace che tu abbia letto come una nota “velenosa” la definizione di «ultima fatica letteraria»: non credevo che potessi prenderla come una critica, conoscendo il tuo amore per le lettere.  

Per quanto riguarda l’affermazione che la filosofia è razionalità, affermazione impegnativa, come dici, è stata in risposta ai tuoi attacchi a Platone, ai pitagorici, fino al primo filosofo: «è necessario riannodare quel filo che forse Talete stesso, da cui siamo partiti, iniziò a lacerare, il filo che unisce poesia e pensiero, mythos e logos, auspicando una nuova alleanza fra la tecnica e l’arte». Ovvio che la filosofia implichi anche altro, e cioè la critica della stessa razionalità di cui si nutre e sulle cui basi è nata ma sempre con l’utilizzazione di strumenti razionali: un conto è dire che l’uomo non è solo ragione (verità talmente ovvia da non dover essere dimostrata) e un altro che si possa arrivare a tale conclusione senza utilizzare il ragionamento. E questo che noi esseri umani facciamo: ragionare, anche quando dobbiamo dimostrare che non tutto è ragione. In questo senso non si può, aristotelicamente, non filosofare. 

Quando, insieme a quel filosofo (Heidegger), che non oserei mai «espungere da una storia ‘della filosofia’» e che abbiamo amato un po’ tutti e io molto, decreti la fine della filosofia, pregustandone il funerale, lo stai facendo anche grazie a quella razionalità che contesti come essenza del filosofare e che ha permesso il passaggio dal mythos, in cui avresti voluto fissare il sapere umano, al logos. Poi è ovvio che ci siano posizioni irrazionali e che grandi filosofi, da te citati, a cui aggiungerei Hume che svegliò Kant dal suo sonno dogmatico, abbiano contestato la prepotenza di una ragione che si pensa illimitata e che, ne abbiamo discusso tante volte, non è affatto infinita. «C’è pensiero oltre la filosofia» mi ribatti: e certo che c’è! E che cos’è questo pensiero se non filosofia? D’altronde, come hai definito Kierkegaard o Nietzsche, il cui “filosofare” è un continuo decostruire un mondo logicizzato e razionale? Li hai definiti filosofi, perché è questo che sono: non “oltre pensatori”, ma filosofi. 

Per quanto riguarda il tuo “naturocentrismo” è qualcosa che ti fa onore: l’amore per la natura, il rispetto per tutto ciò che è e ci dà generosamente è da me condiviso, pienamente, come scritto in più occasioni. Non è uno scontro tra chi ama il pianeta e chi lo vorrebbe deturpato dall’arroganza umana: ciò che mi ha intristito è l’espressione di Latouche che tu riporti. Perché lo fai? Perché la condividi e leggere (a p. 31) che «l’uomo è divenuto il tumore di quella Terra-Madrepatria che dovrebbe custodire» è stato forte, ti assicuro. Quella parola rimanda a sofferenze indicibili, a un male che deve essere estirpato. Capisco che è di effetto, ma le frasi a effetto poi vanno analizzate in quello che significano e tumore significa dolore, angoscia, nel caso estremo morte. L’essere umano non può essere un tumore da estirpare. 

Evito di tornare sul rapporto poesia- filosofia: nel tentativo di contestarmi il giudizio per cui tu, per me, ma anche per tua orgogliosa ammissione, sei soprattutto un poeta (giudizio che non mette assolutamente in discussione le tue capacità dialettiche, eccellenti ed esercitate con padronanza), finisci, ancora una volta, per decretare la morte della filosofia. Ti servi della filosofia per ucciderla ma, non soddisfatto, vuoi che si suicidi, felice di farlo, riconoscendo la superiorità della poesia. Scrivi: «Io, invece, in Char o Celan, in Luzi o Bonnefoy trovo uno sguardo sul mondo che trascende l’individuo ed è capace di cogliere ciò che sfugge al pensiero “calcolante”, che lascia “accadere la verità». Appunto!

In riferimento al tuo antiprogressismo, anche in questo caso non capisco perché, quando analizzi i mali del progresso e in particolare ciò che ne farebbe intravedere una presenza deterministica nella storia, poi dichiari che non sei contro il progresso. Perdonami ma è una vita che lo scrivi! Poi che nella pratica tu non solo lo accolga ma in qualche caso, come nell’uso della tecnologia digitale, lo abbia addirittura anticipato (penso alle tue lezioni alternative e anticonvenzionali che hai potuto fare grazie ai mezzi della modernità) è qualcosa che dimostra come un conto è la critica teorica e un altro la vita reale. 

Ti confessi “agonistico”: nelle relazioni interpersonali sei, invece, ecumenico, mediatore, irenico, oserei dire. Lo so bene, perché la tua generosità nel riconoscere le qualità dell’altro (virtù rarissima e perciò nobile in un mondo in cui invidie e gelosie, tossiche, sono costantemente presenti), nel tentare di comporre fratture di rapporti che inevitabilmente si creano tra esseri umani adulti e strutturati, nell’applicare ogni giorno una lealtà instancabile nell’affrontare questioni difficili vis à vis, senza filtri ipocriti e farisaici, è il suggello quotidiano al nostro vivere come amici e come colleghi.

Su Heidegger non ritorno perché ne abbiamo parlato talmente tante volte e sai perfettamente che non lo liquido tout court perché coinvolto col nazismo, benché, comunque, dubbi sugli esiti inevitabilmente e potenzialmente eversivi del suo pensiero permangano al di là di un’indiscussa e incommensurabile potenza filosofica. Come ha scritto in un pezzo Richard Wolin, dichiarando guerra all’«umanismo», Heidegger ha dischiarato guerra anche ai principi di «dignità umana», «diritti umani», «autodeterminazione» e «democrazia». In sostanza, alle «idee del 1789», considerate «antitedesche». È il pensiero di Karl Löwith e di Emmanuel Lévinas, secondo i quali il suo antiumanismo è in relazione con l’elaborazione di un’ideologia totalitaria e negatrice dei diritti umani come quella nazista. Non è, dunque, il distintivo sul bavero della giacca l’elemento più pericoloso del suo percorso, ma l’essenza stessa della sua filosofia. Il che, ovviamente, e lo ripeterò fino alla nausea, non ne sminuisce di un grammo lo straordinario peso speculativo.

Per quanto riguarda le tue ultime affermazioni sull’intreccio di pensiero e vita, sul “sogno” di una ragione algida e arrogante quando pretende di andare al di là della finitudine, sulla necessaria relazione tra cuore e mente, non posso che essere d’accordo. In maniera chiara e senza alcuna riserva.

  


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