Nell’ultimo post del mio blog, attivo oramai dal 2008 e al cui interno ho voluto lasciare tutte le tracce dei miei passaggi, senza riscrivere (vilmente!) il mio passato, come amano invece fare altri, lasciandolo essere una sorta di kintsugi applicato alle parole, evocavo gli anni Ottanta e mettevo in copertina un album memorabile (a mio avviso il più importante dell’intera musica pop italiana), di cui ricorre quest’anno il quarantennale. Citandone un pezzo, ciò che scrivo nell’imminenza della Pasqua sono “segnali di vita”, dopo quasi un anno di silenzio “sociale”, interrotto solo da una preghiera diffusa dai portali e dai quotidiani cittadini.
È stato un anno di guarigione (fisica e psichica), di rigenerazione. Probabilmente mi rendo conto in questi giorni, accogliendo la primavera, che è compiuta l’elaborazione di un doppio lutto: quello per la perdita di una persona carissima e quello per la disillusione politica (su cui, andando indietro nel blog, si troveranno molti interventi). Freud mi ha insegnato a leggere le tappe di questo complesso processo. Ora corpo e mente sembrano di nuovo, pur pieni di acciacchi e ferite, di nuovo aperti alla vita, al “desiderio”. Non alla lotta, però. La mia stagione “eraclitea” è alle spalle. Il portato di questi anni di raccoglimento è anche l’aspirazione a vivere più lentamente, più pacificamente, pur sapendo che ci saranno tensioni e scontri.
Ho riscoperto il piacere del silenzio, della solitudine. È stata la mia cifra esistenziale nella oramai lontana giovinezza, in cui mi immedesimavo nei protagonisti dei romanzi di Hesse. Poi sono divenuto altro. Forse è il momento di una sintesi virtuosa tra tutti gli Io che sono stato, che sono. Senza rinunziare a nulla.
Ma allora perché tornare a scrivere “in pubblico”, soprattutto dopo essermi interrogato sulla vanità di tante iniziative del passato, più funzionali a soddisfare una comprensibile vanità che a scopi “alti”? Penso possa esserci anche in questo caso lo spazio per una sintesi tra una scrittura tutta privata e una tutta pubblica.
Ciò di cui mi ha depurato quest’anno di silenzio è soprattutto la bulimica ricerca di approvazione che è alla base dell’attuale civiltà (almeno di alcune fasce, sicuramente privilegiate, di popolazione). L’ansia di “piacere” è uno dei grandi motori della vita “social”. E mi sovviene una puntata geniale di Black Mirror (Caduta libera).
Riaprendo periodicamente, ad esempio, Facebook, e scorrendo rapidamente i post, mi rendevo conto che davvero ci troviamo di fronte ad una “fiera delle vanità”, di cui io sono stato parte per tanto tempo con un minimo grado di consapevolezza. Non sto dicendo che tali strumenti siano un male. Al contrario. Vorrei ipotizzare un loro uso intelligente. È che mi sono reso conto che la loro dimensione “conviviale” (Illich) viene schiacciata dal loro essere innanzi tutto un palco su cui esibirsi o una vetrina in cui mettersi in mostra, spesso con esiti inconsapevolmente “pornografici”, ostentando la propria intimità affettiva o gastronomica.
Ho capito che la convivialità si può esercitare solo con poche persone. Amiche. Ho capito che ci sono spazi della nostra vita che dovrebbero essere pudicamente celati agli sguardi curiosi. Quando vogliamo ostentarli li sciupiamo. Li rendiamo, appunto, oggetti “pornografici” offerti allo sguardo voyeuristico di un uomo qualunque. La sfida, dunque, sarebbe quella di una colonizzazione diversa di questi spazi virtuali, scoprendo le virtù del limite. Ad esempio, scegliere di avere solo un numero di “amici” che corrisponde alle possibilità reali di una convivialità esperibile.
Per altro, l’impressione stucchevole è che ciascuno di noi indossi una maschera appena entra in quel mondo virtuale. Quasi sempre, dopo un po’, siamo in grado di sapere a priori quali saranno le prese di posizione, le domande, le provocazioni, la tonalità emotiva dei nostri “amici”. In ogni caso, credo che siano consigliabili a tutti, come il digiuno “intermittente” previsto da alcune diete, dei periodi più o meno lunghi di disconnessione. Torniamo alla metafora alimentare: è la bulimia, l’eccesso il rischio. Ma i social sono (almeno in questo momento del loro sviluppo che sicuramente nel tempo li cambierà) come il junk food: più ne mangiamo, più ne vogliamo.
Non so se alcune innovazioni previste nelle prossime settimane su FB consentiranno di rientrarvi con più serenità. Attendo. Intanto, condivido con i pochi che leggono questo blog e alcuni amici cui invio privatamente il contenuto, le prime riflessione, acerbe, partorite in questi mesi. Se qualcuno avrà piacere a discutere tali questioni, sarò lieto di farlo attraverso una lettera, una mail, una videochiamata, una passeggiata.
C’è altro, ovviamente, ad esempio, a livello politico. Ma per oggi basta così.
Chiudo con una poesia scritta pochi giorni fa, una delle poche, nata da una passeggiata a Piano Morra in cui benedivo la vita e Dio per il dono della primavera, fortinianamente mettendo a confronto la natura e la storia. L’allusione finale è quella all’eterno ritorno di Nietzsche, dominato dalla “volontà di potenza” dell’Oltreuomo, cui contrappongo la scelta dell’impotenza da parte di un uomo capace di accogliere il ciclico ripetersi delle stagioni senza volerlo dominare. Il vino evocato alla fine si riallaccia al mito biblico secondo il quale, dopo il diluvio, Noè scoprì pregi e difetti del vino, parte fondante della triade alimentare mediterranea, insieme al pane e all'olio.
* * *
Durante il diluvio
La mangio l’aria, come pane sfornato
appena, e con essa ricordi
d’infanzia. Guardo campi fioriti
di bianche margherite umili e gialle,
e sotto gli ulivi rami da poco potati.
La natura rinasce immemore
d’ogni pena umana, di guerre,
di pesti, trillando gioiosi gli uccelli.
Sperimento qui ed ora
quanto sia bello l’eterno ritorno.
E col vino celebro la mia impotenza.
* * *
Abbraccio circolare a tutti.