1. L’uniformazione planetaria
Nella corposa produzione di Serge
Latouche, che ruota sempre intorno alle stesse tematiche, abbiamo scelto La fine del sogno occidentale per
l’icasticità del titolo italiano (in francese è La planète uniforme) e per lo sforzo di dare in poche pagine una
ricostruzione ardita della storia occidentale. Nato nel 1940 in Bretagna,
Latouche insegna scienze economiche e il suo pensiero è stato fra i riferimenti
del movimento no-global, seppure contestato da economisti e sociologi di
sinistra.
Lo studioso francese parte dalla
descrizione della uniformazione planetaria, la cui spia più evidente è data dai
consumi. È «l’americanizzazione
del quotidiano» che sta portando anche ad una standardizzazione
dell’immaginario, con una distruzione sistematica della “biodiversità”
culturale. Una sola cultura, fondata sull’economia (in cui, anzi, l’economia
sostituisce la cultura) distrugge tutto ciò che si pone come diverso da sé,
causando uno «sradicamento planetario». L’intero universo è costretto a
diventare utilitaristico e funzionale, generando il “sottosviluppo” (che è uno
sguardo dell’Occidente sull’altro).
2. Che cos’è l’Occidente?
Il
secondo capitolo del libro è il più affascinante, nel tentativo di definire
cosa sia “Occidente”, luogo introvabile, il cui tratto comune si rivela essere
non lo spazio, non l’etnia, non la religione, non una cultura (quella
illuministica), non un sistema economico, ma tutte queste cose unite in un
progetto di civiltà caratterizzato dall’essere “culturofago” o “culturicida”.
Caratteristica costante dell’Occidente è stato il suo progetto di
“civilizzazione” della modernità. Questo progetto è universalista: «i suoi
valori sono la scienza, la tecnica, il progresso; distrugge le culture e porta
il benessere, eliminando l’isolamento territoriale e sostituendo le leggi del
mercato ai rapporti sociali tradizionali» (p. 87). Così, la visione ristretta
della vita culturale va in frantumi, mentre la concorrenza sfrenata e la
ricerca della performance comportano un’accumulazione materiale senza
precedenti, stimolata dal progresso della scienza e delle tecniche. Ma la
cultura è sempre una “agricultura”. Mentre le altre grandi civiltà della storia
sono state piuttosto degli insiemi complessi di culture giustapposte,
articolate, ovvero incorporate in seno a un impero, l’Occidente si afferma come
la sola civiltà «anticulturale».
Come
un rullo compressore, l’Occidente ha imposto l’industrializzazione, ha causato
la scomparsa dei ceti rurali (e delle loro culture), ha creato e diffuso il
mito dello “sviluppo”. E, come un’inversione orrida delle utopie del progresso
(a partire da Bacone), è nato il caos, la guerra di tutti contro tutti, la cui
manifestazione macroscopica è il fallimento dello sviluppo economico del Terzo
Mondo. La «megamacchina economica» mostra nel nuovo millennio le sue crepe,
incapace com’è di rispondere prima di tutto alle domande di senso, che da
sempre le “culture” hanno soddisfatto.
3. Quale speranza?
Se
l’universalismo occidentale (cristiano, illuministico, capitalistico) non è che
il particolarismo della «tribù occidentale», la cui nemesi è l’emergere dei
movimenti identitari (i vari fondamentalismi, in cui la religione diventa
premessa per la ricostruzione della comunità), l’alternativa che Latouche
indica (e a cui ha dedicato ampi studi) per i “naufraghi dello sviluppo” è la
ricostruzione di reti neoclaniche e la riscoperta del dono, la valorizzazione
di tutta una nebulosa produttiva “informale” che già è nata alle periferie
delle megalopoli: insomma, una produzione di beni collettivi nuovamente immersa
nella socialità. Ma Latouche indica che questo percorso (il reinnesto
dell’economia e della tecnica nel sociale) vale anche per noi “occidentali”, e
passa prima di tutto per una decolonizzazione del nostro immaginario.
L’altro
compito, che riguarda soprattutto gli intellettuali e gli artisti, è il
passaggio da una paradigma “universalistico” (che, adornianamente, pur partendo
con scopi positivi si è ribaltato in una logica di dominio) ad un paradigma
“pluriversalistico”, necessariamente relativo e fondato su una “democrazia
delle culture”.
[Apparso su «soglie» (on-line), ora si trova nel libro In quieta ricerca (2010)]
Il 16 febbraio 2017 sarà presentato a Benevento il libro Verso una civiltà della decrescita (Marotta & Cafiero, a c. di M. Deriu).
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