domenica 29 dicembre 2013

ascolto, poetica/mente





Ho sempre pensato allo sguardo, alla necessità di un altro sguardo. Stamane è arrivato a compimento un pensiero che covava nel profondo. Ragionavo su cosa accomunasse le mie ambizioni: essere – da uomo di fede -  marito, insegnante, poeta. Ebbene, le prime tre cose sono caratterizzate dalla relazione, dall’essere dimensioni necessariamente dialogiche e relazionali: il dialogo con Dio, il dialogo con Rosaria, il dialogo con i miei alunni. A cui ora si è aggiunto, con il ruolo di padre, il dialogo con mia figlia. La parola dialogo però travisa, per la sua origine greca: è “parola tra”. Ma io non parlo con Caterina (o meglio lei non parla con me) eppure siamo già una profondissima relazione. L’essere poeta è uno sguardo diverso sul reale. Ma questo sguardo è sempre soggettivo, è come lo sforzo tutto volontaristico di vedere le cose in un altro modo. Si resta all’interno della metafisica (direbbe Heidegger), della scissione, se sono io che guardo in modo diverso (restando nella centralità dello sguardo). L’ascolto mi pone invece in una posizione non più dominante. Io agisco venendo agito. Ascolto Dio che mi parla e gli rispondo, ascolto mia moglie e i suoi bisogni e le rispondo, ascolto mia figlia che piange e le rispondo con un’azione, ascolto i bisogni dei miei studenti e agisco di conseguenza. Ascolto il mondo: questa forse è la poesia. Non sguardo ma ascolto. 

(Dal Quaderno del 2006)

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