giovedì 26 dicembre 2013

20 pensieri




1.  Bisogna accettare le prove della vita, vivendole nel centro dell’uragano: scavalcarle con il sogno di una stagione serena è, nello stesso tempo, vile e vano, perché ci saranno problemi sempre nuovi ad angustiarci. Come Arjuna bisogna non rinunciare al proprio dovere, slanciarsi nella battaglia, senza badare al frutto dell’azione: in linguaggio cristiano, senza aspettare una ricompensa da Dio.

2.    Qualsiasi possesso implica l’asservimento a ciò che si possiede.

3. Il peccato più grande, quello contro lo Spirito, è abbandonarsi alla disperazione, credere che Dio ci abbia abbandonato. Bisogna guardarla in faccia la disperazione, non farsene travolgere. Soprattutto, non bisogna mai credere che ci sia qualcosa che meriti la nostra disperazione assoluta: disperare vuol dire essere senza speranza. Questo è il puro ateismo, essere privi di speranza. Ricordarsi di San Paolo (soprattutto la speranza). Non esiste nulla che meriti la nostra disperazione (non esiste il Nulla che solo la meriterebbe!).

4.   È difficile conciliare l’aspirazione alla felicità con la vita cristiana. Perché ciò avvenga è necessario distruggere l’io, la cosa più difficile: esso infatti tende a far coincidere la felicità con la propria soddisfazione (fisica e psichica). Bisogna “perdere se stessi”. Questo è il messaggio comunicabile di tutti i grandi maestri spirituali dell’umanità che Cristo ha incarnato più di tutti. Fino a quando un uomo crede che il fine della sua vita sia la felicità dell’io non farà altro che scontrarsi con la costituzione dell’essere umano (per la quale resta insuperata l’analisi leopardiana). Il vacuo edonismo del nostro tempo deriva da scarsa lucidità nel capire il nesso tra ricerca spasmodica della felicità (del piacere) e sua impossibile realizzazione esclusivamente “umana”.

5.   La nostra è un’epoca terribile perché moltiplica all’infinito il desiderio e additando come modelli esistenziali esempi di “felicità compiuta”. Simbolo del tempo sono i cataloghi, moltiplicatori di attese e speranze, fonte di dissipazione dell’energia fondamentale dell’uomo che dovrebbe aspirare alla compiutezza assoluta (cioè slegata da tutto). L’uomo allora disperde in mille rivoli il suo cuore. Da qui l’esigenza della “povertà” di cui parla Cristo (come ogni maestro dello spirito). Nella povertà l’uomo può raccogliere le sue energie per raggiungere il suo tesoro, il Sé, conoscendo se stesso, secondo il motto ripreso da Socrate e collocandosi così al centro dell'universo cosmico.

6. Come ottenere tale risultato restando nel mondo? I solitari (monaci) per l’organizzazione stessa della loro vita, sono facilitati in questo tentativo. Davvero, come dice Eckhart, ci vuole una maggiore santità per seguire Cristo continuando a vivere nel mondo.

7.   Calmarsi, sorridere, momento presente, momento meraviglioso.

8.  «L’azione è superiore all’inazione» (Bhagavadgita, III, 8). «Meglio il nostro proprio dovere benché imperfetto che il dovere altrui ben compiuto» (III, 35).

9.   «Mangiando, bevendo, masticando, gustando, evacuando, camminando, restando seduto, dormendo, vegliando, parlando o tacendo, egli comprende perfettamente quello che fa» (Dîghanihâkya).

10. I demoni esistono. Nel cuore dell’uomo. Il loro signore è Satana, il diavolo, “colui che separa” (l’uomo da Dio). Ogni uomo combatte con un demone sconosciuto agli altri, con quale convive fin dall’infanzia. Quando riesce a sconfiggerlo, torna nel seno di Dio, che lo accoglie come il figliol prodigo.

11. «Porre rimedio al divorzio che esiste da venti secoli tra la civiltà profana e la spiritualità nei paesi cristiani» (Weil, Lettera a un religioso).

12. Limitare i consumi oggi è una forma di santità nei confronti degli altri e del mondo, dunque di Dio.

13. «Ancora benedicimi perché un uomo mantenga ciò che un ragazzo promise» (Hölderlin, Alla mia venerata nonna).

14. Un uomo che guarda con fervida ammirazione ad individui eccezionali, viene corso da brividi quando pensa al martirio, e poi attua una vita “borghese” (nel borgo, con le pantofole ai piedi), mirando esclusivamente alla tranquillità.

15. «Il fuoco che io accendo è quel che appare del fuoco interiore che mi consuma» (Gandhi).

16. «La civiltà non consiste nel moltiplicare i bisogni, ma piuttosto nel ridurli, coscientemente e volontariamente» (Gandhi).

17. È difficile combattere con se stessi, malgrado le buone intenzioni. Non basta persuadersi che la propria vita non conta nulla nel mare dell’essere e che tutto ciò che crediamo appartenerci (dalle qualità interiori agli oggetti) è destinato a trapassare rapidamente. Arrivati a questa consapevolezza, bisogna saper accettare la voragine che si schiude sotto (e sopra) di noi. «Che farò ora?». Non è nichilismo: il nichilismo apre un vuoto che accetta di essere riempito da tutto, violenza e droghe, pornografia e politica. No, si tratta di un vuoto assoluto, che richiede una capacità assoluta di risposta.

18. Ogni uomo deve essere “pontefice”, costruire i ponti per (far) accedere a Dio.

19. La materia come serbatoio di forze sacre.

20. Sarò adulto quando non avrò timore, permanendo nella giustizia, dello scontro, fino alle estreme conseguenze, guardando le persone negli occhi. 



(Dal Quaderno del 1998)

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