Teresa Simeone ha onorato il mio libro di una lettura attentissima e, in molti passaggi, assolutamente empatica, della quale non posso che ringraziarla ancora.
Nella seconda parte del suo intervento, muove tre rilievi, tutti meritevoli di un tentativo di risposta da parte mia. Considero gli incontri che sto portando avanti, grazie alla disponibilità di amici straordinari, “a partire dal libro” (non sul libro), un momento di “vaglio” del mio lavoro. La qualità degli interlocutori costringe a rileggere ciò che ho prodotto negli anni e a testarne la “resistenza”.
I tre rilievi di Teresa sono i seguenti:
1) come è possibile che, in un percorso in cui viene affermata l’ineludibilità del nesso vita-opera, Heidegger svolga un ruolo così centrale?
2) la poesia può essere un’alternativa alla “ragione critica”?
3) la scienza e la filosofia non sono in grado di “arginare” le pretese potenzialmente distruttive della tecnica?
Sulla prima questione, rinvio a quanto scritto negli anni sulla questione Heidegger-nazismo, in prima battuta, per non ripetermi. A Teresa, però, che solleva un problema preciso, rispondo, come ho già fatto nel libro, ricordando che un suo grande allievo, ebreo, ritenne altissima la sua speculazione malgrado la miseria morale dell’uomo. Non è risposta sufficiente. Me ne rendo conto. Ma l’alternativa sarebbe rinunziare al pensiero di Heidegger a causa della sua bassezza umana. Ovvero rinunziare ad un pensiero potentissimo, capace, se compreso, di mettere in discussione l’intero assetto della civiltà occidentale. Questo, sia ben chiaro, non implica l’accettazione “integrale” di Heidegger. Mentre per la maggior parte dei miei “maestri eretici”, la vita è parte integrante dell’opera (penso alla Weil, in primis, o a Bonhoeffer), in questo caso no. Inoltre, come pur scritto nell’introduzione del libro, proprio il corto circuito fra autori diversissimi dovrebbe colmare le evidenti “lacune” presenti in essi. Esempio concreto? Molti saggi del libro sono dedicati a questioni etiche. Voglio dire che, pur ritenendo Heidegger pensatore “assiale”, non ho mai pensato di seguirne sentieri ed esiti. Ritengo, però, il suo ripensamento dell’ontologia, il suo auspicio di un superamento della “filosofia” verso un “pensiero rammemorante”, la centralità affidata al linguaggio della “poesia” acquisizioni irrinunciabili per un pensiero che voglia essere realmente “trasformativo”.
Sul rapporto poesia-ragione critica, potrei rispondere a Teresa che solo l’accettazione del “paradigma” heideggeriano rende possibile capire in che senso e perché la “filosofia” deve finire. Anche qui rinvio ad altre riflessioni più analitiche in proposito. Quello che mi premeva, però, sottolineare dialogando con Teresa è che, a mio avviso, resta dentro un’idea di poesia che è tutta “soggettiva”, emotiva, sentimentale, poesia prodotta proprio dall’accettazione che altre siano le “vie” per giungere alla “verità”. Heidegger consente di ripensare questa deriva (che può essere invertita). La mia ricerca è “dentro” questa idea di poesia-pensiero, poesia capace di “vedere” la realtà in modo non tecnoscientifico. La qual cosa ha poco a che fare con il “sentimento”, visto, a partire almeno dal XVII secolo, come qualcosa di separato e contrapposto alla ragione. Lo sguardo della poesia non è “irrazionale”, ma intriso di una razionalità altra, non strumentale né critica. Questo, ovviamente, non deve impedirci di utilizzare tutti gli strumenti umani per capire la complessa realtà in cui siamo immersi. E per agire in essa trasformativamente. Come credo di andar facendo quotidianamente.
Alla terza domanda di Teresa vorrei rispondere in maniera abbastanza secca, dicendole “no, non è possibile”. Invece, mi limiterò ad invitarla alla lettura di uno dei più cari dei miei “maestri eretici”, Günther Anders [nella foto], totalmente ignorato dalla nostra manualistica filosofica. E vorrei riparlarne dopo questa lettura. La scienza, di cui la filosofia è madre per poi divenirne ancella, a partire dal XVII secolo, nasce con un progetto di dominio in cui l’illimitato è genetico, e cioè il rifiuto di qualunque limite. Come pochi decenni prima si erano varcate le colonne d’Ercole, così si sognò l’immortalità (Cartesio), nuove Atlantidi il cui benessere fosse garantito dalla tecnica (Bacone), si violarono i segreti più reconditi della natura, si scisse l’atomo, si manipolò la cellula… Il limite non sarà mai fissato da alcuna bio-etica (pur doverosa), ma solo da un ripensamento ab imis dell’essere. Di qui, e chiudo come ho iniziato, la centralità di Heidegger.
I tre rilievi di Teresa sono i seguenti:
1) come è possibile che, in un percorso in cui viene affermata l’ineludibilità del nesso vita-opera, Heidegger svolga un ruolo così centrale?
2) la poesia può essere un’alternativa alla “ragione critica”?
3) la scienza e la filosofia non sono in grado di “arginare” le pretese potenzialmente distruttive della tecnica?
Sulla prima questione, rinvio a quanto scritto negli anni sulla questione Heidegger-nazismo, in prima battuta, per non ripetermi. A Teresa, però, che solleva un problema preciso, rispondo, come ho già fatto nel libro, ricordando che un suo grande allievo, ebreo, ritenne altissima la sua speculazione malgrado la miseria morale dell’uomo. Non è risposta sufficiente. Me ne rendo conto. Ma l’alternativa sarebbe rinunziare al pensiero di Heidegger a causa della sua bassezza umana. Ovvero rinunziare ad un pensiero potentissimo, capace, se compreso, di mettere in discussione l’intero assetto della civiltà occidentale. Questo, sia ben chiaro, non implica l’accettazione “integrale” di Heidegger. Mentre per la maggior parte dei miei “maestri eretici”, la vita è parte integrante dell’opera (penso alla Weil, in primis, o a Bonhoeffer), in questo caso no. Inoltre, come pur scritto nell’introduzione del libro, proprio il corto circuito fra autori diversissimi dovrebbe colmare le evidenti “lacune” presenti in essi. Esempio concreto? Molti saggi del libro sono dedicati a questioni etiche. Voglio dire che, pur ritenendo Heidegger pensatore “assiale”, non ho mai pensato di seguirne sentieri ed esiti. Ritengo, però, il suo ripensamento dell’ontologia, il suo auspicio di un superamento della “filosofia” verso un “pensiero rammemorante”, la centralità affidata al linguaggio della “poesia” acquisizioni irrinunciabili per un pensiero che voglia essere realmente “trasformativo”.
Sul rapporto poesia-ragione critica, potrei rispondere a Teresa che solo l’accettazione del “paradigma” heideggeriano rende possibile capire in che senso e perché la “filosofia” deve finire. Anche qui rinvio ad altre riflessioni più analitiche in proposito. Quello che mi premeva, però, sottolineare dialogando con Teresa è che, a mio avviso, resta dentro un’idea di poesia che è tutta “soggettiva”, emotiva, sentimentale, poesia prodotta proprio dall’accettazione che altre siano le “vie” per giungere alla “verità”. Heidegger consente di ripensare questa deriva (che può essere invertita). La mia ricerca è “dentro” questa idea di poesia-pensiero, poesia capace di “vedere” la realtà in modo non tecnoscientifico. La qual cosa ha poco a che fare con il “sentimento”, visto, a partire almeno dal XVII secolo, come qualcosa di separato e contrapposto alla ragione. Lo sguardo della poesia non è “irrazionale”, ma intriso di una razionalità altra, non strumentale né critica. Questo, ovviamente, non deve impedirci di utilizzare tutti gli strumenti umani per capire la complessa realtà in cui siamo immersi. E per agire in essa trasformativamente. Come credo di andar facendo quotidianamente.
Alla terza domanda di Teresa vorrei rispondere in maniera abbastanza secca, dicendole “no, non è possibile”. Invece, mi limiterò ad invitarla alla lettura di uno dei più cari dei miei “maestri eretici”, Günther Anders [nella foto], totalmente ignorato dalla nostra manualistica filosofica. E vorrei riparlarne dopo questa lettura. La scienza, di cui la filosofia è madre per poi divenirne ancella, a partire dal XVII secolo, nasce con un progetto di dominio in cui l’illimitato è genetico, e cioè il rifiuto di qualunque limite. Come pochi decenni prima si erano varcate le colonne d’Ercole, così si sognò l’immortalità (Cartesio), nuove Atlantidi il cui benessere fosse garantito dalla tecnica (Bacone), si violarono i segreti più reconditi della natura, si scisse l’atomo, si manipolò la cellula… Il limite non sarà mai fissato da alcuna bio-etica (pur doverosa), ma solo da un ripensamento ab imis dell’essere. Di qui, e chiudo come ho iniziato, la centralità di Heidegger.
1 commento:
Mio stimatissimo amico, scusami se ti rispondo solo ora, ma gli impegni e la perdita del post ( frutto anch'essa della effimerarietà della tecnologia) me lo hanno impedito. So bene che ricordare la scelta politica di Heidegger non è del tutto corretto e non ne inquina la grandezza speculativa nè voglio, come giustamente fai tu, ritornarci di nuovo; ti ricordo soltanto che se l'avevo sottolineato era perchè tu riconoscevi a Marco Guzzi di averti insegnato a non separare le biografie dai saperi ed era inevitabile che andassi col pensiero ai maestri eretici che citi, al coraggioso Bruno e all'opportunista Heidegger...
E' possibile che io resti all'interno di un'idea di poesia limitata alla sfera alogica, sentimentale, mentre la poesia-svelamento cui tu alludi è più ampia e complessa, ma non riesco, per quanto mi sforzi, a non pensarla, nell'aspetto accessibile a noi comuni mortali, come un'esperienza comunque elitaria e preclusa ai più, forse proprio per una sorta di aristocrazia intellettuale in cui lo stesso filosofo tedesco mi pare amasse "crogiolarsi".
Per quanto riguarda gli anticorpi della scienza e della filosofia, tu stesso li hai indicati in Heisemberg, in Khun, in Popper. Io continuo a credere che la ragione critica possa essere un argine all'imbarbarimento tecnico e all'inaridimento dell'uomo; questo non mi impedisce, però, di lasciarmi incantare dalla bellezza della poesia di un Montale, di un Leopardi, di un Celan, di uno Char, di un Hikmet, di una Merini...e di pensare che finchè ci sarà una mente a riflettere e un cuore a pulsare l'umanità avrà ancora una speranza di salvarsi. Grazie a te per avermi dato la possibilità di leggere le cose bellissime che hai "pensato" e "sentito"...
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