Ieri [30 novembre], alla Luidig, ho assistito alla (seconda) presentazione del libro In quieta ricerca; è stato una sorta di controcanto all'apoteosi del Teatro de Simone, una specie di controfestival, cui Nicola si è esposto con grande umiltà, quasi lo ritenesse un atto dovuto. È stata una sassaiola, e non solo da parte dell'irriverente Guido Bianchini e del decadente Luigi Furno.
L'immagine che ho di Nicola è, come gli ho detto, tutta nella copertina del suo libro. Non è un espediente per glissare sul contenuto: il libro l'ho letto, anche avidamente, ma ritenendolo una “mappa concettuale per diventare Nicola Sguera”, non ne parlerò. Con questo non voglio essere riduttivo: c'è la vita, la formazione, la complessità, la forza e la debolezza di un uomo che io ritengo, per me, guida e ascolto.
Ma dicevo della copertina, azzeccatissima, a mio parere: azzeccatissima nell'aver individuato la dimensione di Sguera, un paesaggio in quiete, tra libri che volteggiano, un sole sullo sfondo, senza esseri umani nel paesaggio, né animali. Una illustrazione vegetariana. Che paradossalmente ha, come richiamo degli esseri umani, solo prodotti di quella tecnica pure tanto aborrita a parole da Nicola: libri rilegati, una bicicletta, occhiali, una barca, poche case. Gli uomini scompaiono e ricompaiono nelle loro realizzazioni. Anche la famiglia, un punto fermo nella vita di Nicola, è assente. Ma forse la sta raggiungendo, nell'illustrazione. Forse sta tornando alla comunità dal suo otium di campagna.
Questo è ciò che sempre ho rimproverato a Nicola, che in modo testardo si definisce socratico: Socrate costruiva la verità col dialogo e nel dialogo, in una dimensione politica di ricerca; in Nicola, la dimensione politica (nel senso più largo del termine) è una dimensione di divulgazione, di una verità propria ch'è il frutto piuttosto di una introspezione, di una spiritualità, anche profonda.
La mia impressione è che Nicola abbia pudore della propria spiritualità, e si ostini a sporcarla col mondo. I risultati sono spesso maldestri, o equivocati, come nella scritta «Sguera infame», sul muro del “suo” liceo [vedi foto in basso]. Chi ha scritto ciò, si è impressa una macchia ancora peggiore di quella presunta: l'ingratitudine. Se per un attimo vi soffermate su ogni singola parola, capirete che cosa voglio dire.
Tuttavia, Nicola, la tua foto sorridente accanto la scritta mi ha turbato. Capisco il tuo amore per la frontiera, ma in questo momento sei più su una china, e fa' attenzione. Te lo dico perché ti voglio bene. Perché ti voglio bene, ieri t'ho detto che ogni comunità ha gli intellettuali che si merita. Voleva essere, nel mio registro comunicativo che conosci, un complimento scherzoso. Perché io ritengo che tu sia, per la nostra città, una rosa necessaria.
Nunzio Castaldi
Nota apparsa su Facebook (con il titolo "Nicola Sguera, ovvero sull'infamia o dell'infamità"). Nunzio Castaldi ama definirsi «partita I.V.A.». In realtà, conserva una passione autentica per la filosofia (e in particolare per il pensiero e l’opera di Carlo Michelstaedter) e per la cultura latina.
La scritta immortalata nella foto di Massimo Terella fa riferimento alle polemiche legate alle "occupazioni" delle scuole da parte degli studenti, frangente nel quale io ho assunto una posizione fortemente critica, suscitando le ire delle frange più radicali del movimento studentesco
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