giovedì 6 novembre 2025

Fedele all'opera. 10 frammenti sullo scrivere [𝒐𝒑𝒖𝒔 𝒎𝒆𝒖𝒎]

 


1. Ricordare che l’atto creativo non è mai slegato dal duro lavoro, che significa lettura, accumulo di materiali di approfondimento anche apparentemente inutili. Non avere, dunque, paura dei vuoti, che sono sempre necessari. Attendere in maniera attiva. Un apparente ossimoro. 

2. Bisogna rimanere dentro la scrittura. La tentazione, nei momenti di stanchezza, è pensare al dopo, lasciandosi prendere dall’ansia di mettere la parola fine, immaginando che qualcuno la leggerà e l’apprezzerà. Certo, si scrive per un tu, ci mancherebbe, ma potrebbe essere anche un tu che non esisterà mai se non come nostra creazione fantastica. È come se in noi si verificasse uno sdoppiamento tra un “io” che scrive e un “tu” che legge, cui l’opera è rivolta. 

3. Ricordare che all’inizio la storia è solo un’intuizione. Poi, quando si inizia a scrivere e a plasmare i personaggi, la mente inizia ad entrare dentro di loro, a pensare insieme a loro. È un piccolo miracolo della nostra immaginazione, che va ovviamente nutrito. 

4. Il rischio che si corre è la bulimia scrittoria, lo scrivere per lo scrivere. Se, invece, devo conservare qualcosa di un quarantennio di scrittura è l’onestà. Scrivere solo ciò che proviene da un’esigenza reale e profonda. E lavorare molto sullo stile, non in senso estetizzante, ovviamente. 

5. Mi pare evidente che questa sia una fase pioneristica del mio “quarto tempo”, della mia “vita da scrittore”. Piena, come è giusto che sia, di anarchico entusiasmo, di grossolani errori e di scarsa consapevolezza. Già questa estate dovrò iniziare un lavoro rigoroso di consapevolezza: che cosa significa oggi essere uno scrittore? Quale il senso? Perché? E poi il “come”. Ora ho aperto la grotta con il tesoro di Montecristo, sono abbagliato dalle storie che ho trovato dentro di me e che trovo appena ho un piccolo stimolo. Va bene, ma solo per prendere la mano. Ben altro significherà fare la cosa seriamente. 

6. Il romanzo sarà il battesimo del fuoco, ma dovrò imparare da tutti gli errori, con umiltà. Ma se non si inizia nuotare, Hegel docet, non si potrà mai imparare a nuotare. Sicuramente prenderò tantissime mazzate! Ma non devo averne paura. Mi renderanno più forte, più consapevole. Oramai la mia decisione è presa. Io sono uno scrittore. Voglio esserlo fino alla fine dei miei giorni. Voglio che la scrittura sia la forma del mio abitare il mondo nei prossimi anni, quanti me ne concederà il Signore. 

7. Mi rendo ogni giorno più conto che le parole stanno diventando la mia nuova dimora, come mai era accaduto prima. E mi rendo conto che esse, per quanto possano essere crude o feroci, sono sempre migliori della realtà. Il mio sta diventando un mondo parallelo, in cui creare o ricreare la realtà e, in essa, me stesso e la mia storia o le mie storie possibili, gli “io” che avrei potuto essere. E mi rendo ancora conto che le storie sono la forma migliore per far transitare un’idea. Una cosa che istintivamente sapevo.

8. Durante i mesi rigeneranti a San Cumano ho maturato l’idea che la poesia nuova che scriverò sarà profondamente diversa da quella del trentennio precedente. Uno stacco radicale che mi impone di non scrivere più nulla che mi riguardi. L’autobiografia viene confinata al Diario o a scritture narrative tutte da pensare.

9. Arte da apprendere: abitare i tempi. Ora sono dentro l’uscita di Euthymios, ma non deve succedere che questo evento, della cui importanza sono consapevole, mi assorba interamente.Va trovato un equilibrio tra i vari momenti della mia vita, anche in virtù della semplificazione che sono riuscito questa estate a creare, recedendo da zone di impegno che hanno assorbito per anni le miei energie. Queste energie vanno messe a regime seriamente, non dissipate. Il mio dovere è nei confronti dell’opera, cui dedicarsi instancabilmente.

10. Fedele all’opera. Questo il koan che risuona dall’estate, a fare da controcanto a quello delle sirene consuete. Che significa nella mia testa, nel linguaggio ellittico e immaginifico che eredito (anche) dal fumetto? Devo rimanere fedele alla mia natura (e a come essa si è plasmata nel corso dei decenni), riconoscendo che amo la solitudine e il raccoglimento molto più della confusione, che la vera felicità l’ho vissuta sempre da solo o con pochissime persone, che i soldi non mi hanno mai dato nulla di essenziale. E che, dunque, devo vivere scrivendo sotto lo sguardo di Dio (che vorrei fosse quello di mia madre), orgoglioso di suo figlio ed esigente perché ha avuto talenti da moltiplicare attraverso il lavoro e l’intelligenza. 


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