mercoledì 10 gennaio 2018

La rivoluzione gentile 18 (Critiche e crisi)


Negli ultimi tempi, come scritto altrove, sono stato oggetto di attacchi di tale ingiustificata violenza verbale, da avermi spinto a bannarne gli autori. Facebook rischia di diventare una camera piena di miasmi. Nello stesso tempo è un luogo conflittuale che consente di porsi questioni importanti.
L’8 gennaio ho postato uno screenshot di Berlusconi, in cui individua il M5S come “nemico mortale” (quello che era il “comunismo” nella mistica salvifica del 1994) da fermare.

Ne sono scaturiti una serie di commenti.
A due devo risposte un po’ più analitiche e con qualche riferimento.
La prima a Paolo Cavallo
Paolo è un giovane studente universitario che ha frequentato il Liceo Giannone, pur non essendo mio alunno. Abbiamo giocato a pallone insieme. Abbiamo fatto foto divertenti insieme nei momenti ludici della vita scolastica. Ci siamo scontrati in occasione di un’occupazione che io ritenevo assolutamente sbagliata. Ritengo legittima la critica, ma i modi con cui Paolo la attua ancor m’offendono. 
Sostanzialmente mi imputa due cose: 
1) il trasformismo; 
2) l’appartenenza ad un movimento che in termini religiosi si potrebbe definire chiliastico o apocalittico, oltre che fortemente carismatico. 
Alla prima accusa ribadisco quanto scritto più volte: la mia storia politica è pubblica e la ripeto per l’ennesima volta. La mia era una famiglia democristiana, vicina ai Mastella (mia madre era cara amica di lady Sandra) e ai De Mita. Io, sostanzialmente disinteressato alla politica per tutti gli anni del Liceo, iniziai a scoprirla in una Sapienza egemonizzata da grandi figure dell’intelligencija rossa italiana di quegli anni: penso al mio docente di italiano, Alberto Asor Rosa. Divenne prassi quotidiana comprare «Il Manifesto», gli ultimi numeri di «Rinascita», «Avvenimenti» (che peraltro custodisco). Era la seconda metà degli anni Ottanta. Feci la tessera del PDS quando nacque, mai rinnovata. Di lì in poi sarei rimasto sempre nell’alveo, come elettore, della cosiddetta “sinistra radicale”, sostanzialmente Rifondazione Comunista, pur non disdegnando in alcune circostanze di votare per i Verdi e, credo una volta, per l’Italia dei Valori. Nella seconda metà degli anni Novanta (il tramite se ben ricordo fu Pierino Mancini), entrai in Rifondazione Comunista (nella fase di transizione dall’era Timoteo all’era Aceto per intenderci). Fui candidato di servizio alle Provinciali del 1999. Uscii da RC quando il partito accettò nella maggioranza regionale l’UDEUR di Mastella (2000). Nel 2001 mi fu chiesto da Gabriele Corona e da Rifondazione Comunista di guidare una lista civica (ne ho ricostruito altrove la storia), che io chiamai “Città Aperta”, definibile come rosso-verde. Malgrado il discreto risultato personale, dopo di allora non ho avuto più impegni politici diretti, rimanendo un attento osservatore delle vicende locali e nazionali, in particolare della dissoluzione della sinistra italiana, dovuta a Fausto Bertinotti e alle sue ambizioni personali, quando si sarebbe potuto realizzare un incontro reale e trasformativo con il fecondo mondo dei movimenti, vivacissimo all’inizio del millennio. A livello locale, dopo il ritiro a vita privata dovuto alla nascita di mia figlia (2006), tornai ad occuparmi della cosa pubblica sostenendo il tentativo di Antonio Medici e Gabriele Corona di “Ora”, in cui conobbi da vicino la realtà pentastellata di Benevento, nata nel 2007. Nel 2012 aderii ad AlbA, esperimento per me molto fecondo di riflessione e azione sulle tematiche che più mi appassionano: l’ambiente, il lavoro, i beni comuni. Nel 2013, con molta sofferenza, appoggiai (con il mio voto e il mio impegno in rete) l’esperimento nato male e finito peggio di “Rivoluzione civile”, ultimo tributo alla mia storia “a sinistra”. Nei mesi successivi avrei tematizzato come sempre in pubblico una scelta di consapevole rottura. Non voglio ripetere quanto scrissi e a cui rinvio. Spero di aver chiarito in maniera esaustiva a Paolo che un percorso travagliato, pieno di errare ed errori è una cosa, il trasformismo per motivi di interesse altra. Io non ho mai avuto alcun incarico di nessun tipo né in un partito né in una Fondazione né in un Ente pubblico. Ho rotto con la matrice politica della mia famiglia proprio per disgusto nei confronti di quel mondo, che fa della politica controllo della società e privilegio per alcuni. Ringraziando Dio ho una vita «umile ma onesta», per citare il sommo Troisi. Non ho bisogno della politica e dei politici.
La seconda critica al M5S posso raccoglierla e discuterla. Amo dire che si tratta di un Movimento, fluido per natura, nato quasi per provocazione (non si dimentichi che Grillo voleva candidarsi alle primarie del PD e gli fu impedito), naturalmente evolutivo nelle forme organizzative. Sicuramente c’è stata e c’è una componente carismatica (che è stata il collante del primo decennio), ora si è entrati in una fase nuova (riconosciuta da autorevoli commentatori non pregiudizialmente a favore come Ignazi e Pasquino). Io, anche come osservatore, ritengo che ci siano aspetti assolutamente originali in questo organismo cangiante, alcuni filiati dalle “visioni” di Casaleggio”. Cosa mi appassioni l’ho scritto e non ci ritorno.
L’altro intervento critico è questo:
Legittimo, fondato. Premesso che entrare nel M5S significa aver superato (e personalmente a livello teorico ci rifletto da almeno 10 anni) la dicotomia destra-sinistra (o quanto meno averla resa molto più complessa a livello topologico...), la critica mi interpella perché mi consente, finalmente, di chiarire, in primis a me stesso, un punto delicato. Mi si imputa sostanzialmente di aver buttato a mare ogni critica al capitalismo ed aver abbracciato un’ideologia “del capitale”. Senza entrare troppo nel merito dei termini, io mi sento di rispondere 3 cose:
1) mi pare che, al netto di piccole frange ininfluenti, non ci siano soggetti politici che oramai mettano in discussione il capitalismo “in sé”;
2) il M5S è il soggetto politico che più rigorosamente (v.il lavoro coordinato da De Masi) si pone i problemi del lavoro nella quarta rivoluzione industriale e del reddito di cittadinanza come misura di civiltà, cioè il problema di una grande redistribuzione del reddito che mi pare l’unica misura possibile di giustizia sociale fattibile (per quanto ardua) nel nostro tempo;
3) il M5S, accusato di essere un movimento “fascista” e “nazionalista”, nella critica al fiscal compact, all’Europa carolingia (franco-tedesca), alla globalizzazione selvaggia, mi pare unico movimento capace di arginare le pericolose derive di una civiltà che ha deciso scientemente (cfr. illuminante articolo di Gilioli) di subordinare la politica ad un’economia priva di qualunque controllo. Su questo è avvenuta la trasformazione anche teorica decisiva per quanto mi riguarda: mentre ho ritenuto per anni che la globalizzazione potesse diventare dialetticamente un momento evolutivo della storia umana, mi sono convinto che i disastri che essa comporta non potranno mai essere eguagliati da eventuali benefici e che il “limite”, come mi ha insegnato un aureo libriccino di Latouche (ivi compresi i confini di uno Stato nazionale) possono essere l’unico argine all’«orrore economico». 

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