Negli
ultimi tempi, come scritto altrove, sono stato oggetto di attacchi di tale
ingiustificata violenza verbale, da avermi spinto a bannarne gli autori.
Facebook rischia di diventare una camera piena di miasmi. Nello stesso tempo è
un luogo conflittuale che consente di porsi questioni importanti.
L’8
gennaio ho postato uno screenshot di Berlusconi, in cui individua il M5S come “nemico
mortale” (quello che era il “comunismo” nella mistica salvifica del 1994) da
fermare.
Ne
sono scaturiti una serie di commenti.
A
due devo risposte un po’ più analitiche e con qualche riferimento.
La
prima a Paolo Cavallo.
Paolo è un giovane studente universitario che ha
frequentato il Liceo Giannone, pur non essendo mio alunno. Abbiamo giocato a
pallone insieme. Abbiamo fatto foto divertenti insieme nei momenti ludici della
vita scolastica. Ci siamo scontrati in occasione di un’occupazione che io
ritenevo assolutamente sbagliata. Ritengo legittima la critica, ma i modi con
cui Paolo la attua ancor m’offendono.
Sostanzialmente mi imputa due cose:
1) il
trasformismo;
2) l’appartenenza ad un movimento che in termini religiosi si
potrebbe definire chiliastico o apocalittico, oltre che fortemente carismatico.
Alla prima accusa ribadisco quanto scritto più volte: la mia storia politica è
pubblica e la ripeto per l’ennesima volta. La mia era una famiglia democristiana,
vicina ai Mastella (mia madre era cara amica di lady Sandra) e ai De Mita. Io,
sostanzialmente disinteressato alla politica per tutti gli anni del Liceo,
iniziai a scoprirla in una Sapienza egemonizzata da grandi figure dell’intelligencija rossa italiana di quegli anni: penso al mio docente di italiano, Alberto Asor
Rosa. Divenne prassi quotidiana comprare «Il Manifesto», gli ultimi numeri di
«Rinascita», «Avvenimenti» (che peraltro custodisco). Era la seconda metà degli
anni Ottanta. Feci la tessera del PDS quando nacque, mai rinnovata. Di lì in
poi sarei rimasto sempre nell’alveo, come elettore, della cosiddetta “sinistra
radicale”, sostanzialmente Rifondazione Comunista, pur non disdegnando in
alcune circostanze di votare per i Verdi e, credo una volta, per l’Italia dei
Valori. Nella seconda metà degli anni Novanta (il tramite se ben ricordo fu
Pierino Mancini), entrai in Rifondazione Comunista (nella fase di transizione
dall’era Timoteo all’era Aceto per intenderci). Fui candidato di servizio alle
Provinciali del 1999. Uscii da RC quando il partito accettò nella maggioranza
regionale l’UDEUR di Mastella (2000). Nel 2001 mi fu chiesto da Gabriele Corona
e da Rifondazione Comunista di guidare una lista civica (ne ho ricostruito
altrove la storia), che io chiamai “Città Aperta”, definibile come rosso-verde.
Malgrado il discreto risultato personale, dopo di allora non ho avuto più
impegni politici diretti, rimanendo un attento osservatore delle vicende locali
e nazionali, in particolare della dissoluzione della sinistra italiana, dovuta
a Fausto Bertinotti e alle sue ambizioni personali, quando si sarebbe potuto
realizzare un incontro reale e trasformativo con il fecondo mondo dei
movimenti, vivacissimo all’inizio del millennio. A livello locale, dopo il
ritiro a vita privata dovuto alla nascita di mia figlia (2006), tornai ad
occuparmi della cosa pubblica sostenendo il tentativo di Antonio Medici e
Gabriele Corona di “Ora”, in cui conobbi da vicino la realtà pentastellata di
Benevento, nata nel 2007. Nel 2012 aderii ad AlbA,
esperimento per me molto fecondo di riflessione e azione sulle tematiche
che più mi appassionano: l’ambiente, il lavoro, i beni comuni. Nel 2013, con
molta sofferenza, appoggiai (con il mio voto e il mio impegno in rete) l’esperimento
nato male e finito peggio di “Rivoluzione civile”, ultimo tributo alla mia
storia “a sinistra”. Nei mesi successivi avrei tematizzato come sempre in
pubblico una scelta di consapevole rottura. Non voglio ripetere quanto scrissi
e a cui rinvio. Spero di aver chiarito in maniera esaustiva a Paolo che un
percorso travagliato, pieno di errare ed errori è una cosa, il trasformismo per
motivi di interesse altra. Io non ho mai avuto alcun incarico di nessun tipo né
in un partito né in una Fondazione né in un Ente pubblico. Ho rotto con la
matrice politica della mia famiglia proprio per disgusto nei confronti di quel
mondo, che fa della politica controllo della società e privilegio per alcuni. Ringraziando
Dio ho una vita «umile ma onesta», per citare il sommo Troisi. Non ho bisogno
della politica e dei politici.
La
seconda critica al M5S posso raccoglierla e discuterla. Amo dire che si tratta
di un Movimento, fluido per natura, nato quasi per provocazione (non si
dimentichi che Grillo voleva candidarsi alle primarie del PD e gli fu impedito),
naturalmente evolutivo nelle forme organizzative. Sicuramente c’è stata e c’è
una componente carismatica (che è stata il collante del primo decennio), ora si
è entrati in una fase nuova (riconosciuta da autorevoli commentatori non
pregiudizialmente a favore come Ignazi e Pasquino). Io, anche come osservatore,
ritengo che ci siano aspetti assolutamente originali in questo organismo
cangiante, alcuni filiati dalle “visioni” di Casaleggio”. Cosa mi appassioni l’ho
scritto e non ci ritorno.
L’altro
intervento critico è questo:
Legittimo,
fondato. Premesso che entrare nel M5S significa aver superato (e personalmente
a livello teorico ci rifletto da almeno 10 anni) la dicotomia destra-sinistra
(o quanto meno averla resa molto più complessa a livello topologico...), la
critica mi interpella perché mi consente, finalmente, di chiarire, in primis a
me stesso, un punto delicato. Mi si imputa sostanzialmente di aver buttato a
mare ogni critica al capitalismo ed aver abbracciato un’ideologia “del capitale”.
Senza entrare troppo nel merito dei termini, io mi sento di rispondere 3
cose:
1) mi pare che, al netto di
piccole frange ininfluenti, non ci siano soggetti politici che oramai mettano
in discussione il capitalismo “in sé”;
2) il
M5S è il soggetto politico che più rigorosamente (v.il lavoro coordinato da De Masi) si pone i
problemi del lavoro nella quarta rivoluzione industriale e del reddito di
cittadinanza come misura di civiltà, cioè il problema di una grande
redistribuzione del reddito che mi pare l’unica misura possibile di giustizia
sociale fattibile (per quanto ardua) nel nostro tempo;
3) il M5S, accusato di
essere un movimento “fascista” e “nazionalista”, nella critica al fiscal
compact, all’Europa carolingia (franco-tedesca), alla globalizzazione
selvaggia, mi pare unico movimento capace di arginare le pericolose derive di
una civiltà che ha deciso scientemente (cfr. illuminante articolo di Gilioli)
di subordinare la politica ad un’economia priva di qualunque controllo. Su
questo è avvenuta la trasformazione anche teorica decisiva per quanto mi
riguarda: mentre ho ritenuto per anni che la globalizzazione potesse diventare
dialetticamente un momento evolutivo della storia umana, mi sono convinto che i
disastri che essa comporta non potranno mai essere eguagliati da eventuali
benefici e che il “limite”, come mi ha insegnato un aureo libriccino di
Latouche (ivi compresi i confini di uno Stato nazionale) possono essere l’unico
argine all’«orrore economico».
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