Iniziai il mio blog nel 2008 sull’onda dello scoramento per
quella che vissi come una catastrofe elettorale con la scomparsa della sinistra
dal Parlamento italiano.
Il secondo post era l’articolo scritto (e mai pubblicato)
per il «Corriere del Mezzogiorno» che ampliava alcune dichiarazioni, chiestemi
da Giancristiano Desiderio, sull’inchiesta Udeur-Mastella del gennaio di quell’anno.
Ieri quell’inchiesta si è chiusa con un’assoluzione “integrale”
per tutti gli imputati: smontato tutto il castello accusatorio. Mi pare
doveroso tornare, nove anni dopo, su quanto scrivevo.
Premetto che stamattina ho mandato un messaggio a quello che
è divenuto intanto il Sindaco della mia città in cui scrivevo che una giustizia
del genere non è giusta. Dunque, umanamente, al Sindaco e a Sandra Lonardo va
la mia incondizionata solidarietà per quanto subito senza se e senza ma.
Non sarebbe ora, dunque, meglio far calare un pudico
silenzio? Perché sento urgere la necessità di elaborare l’accaduto? Perché,
come scrivevo allora la mia famiglia è stata parte di quel potere cittadino
che, per tanti anni (diciamo per tutti gli anni Ottanta per semplificare) ha
deciso le sorti della città e che, appunto, faceva capo a Clemente Mastella,
esponente di punta della cosiddetta “sinistra di base”, che aveva scalzato il
potere vetroniano in città.
In quella riflessione scrivevo che il giudizio doveva
prescindere dall’esito giudiziario della vicenda. Eppure, nove anni dopo, non è
possibile non solidarizzare – umanamente – con chi ha visto stravolta la
propria vita e ha dovuto attendere un’eternità per scoprire di essere
innocente. Questo non è degno di un paese civile. All’epoca avevo superato l’illusione
giovanile (sbagliata), risalente a Tangentopoli, che potesse esistere una via
giudiziaria alla “rivoluzione italiana”.
Le cose che scrivevo allora le rivendico integralmente. Le
intercettazioni ci diedero e ci danno l’immagine di un paese in cui la politica
pretende di occupare tutti gli spazi, a prescindere dal colore politico. Ed
evocavo non a caso l’esempio di Loretta Mussi, che davvero appare una
personalità donchisciottesca stritolata da un potere infinitamente più grande
di lei. Mi piacerebbe che un giorno tornasse qui in città a raccontare quella
storia...
Evocavo la categoria del “familismo” in un senso molto
ampio. Ebbene, come evidente anche da un evento dalla forte carica simbolica
come la “cena in bianco”, Mastella vive la sfera politica come ampliamento
della sfera familiare (e se stesso come un “buon padre di famiglia”).
La mia riflessione si chiudeva con la profezia di una lunga
latitanza della sinistra, la necessità di una ricostruzione dal basso di un
agire politico totalmente privato di senso da un potere speculare a quello
incarnato dal mastellismo.
Sono passati nove anni: io ho abbandonato l’illusione che la
sinistra, come l’avevo sempre immaginata, potesse rifondarsi e ho fatto scelte
molto radicali.
Per quanto mi riguarda non posso che ribadire il mio
giudizio sul mastellismo, rispetto al quale, a contrario, ho strutturato, a
partire dalle elezioni comunali del 1993, la mia partecipazione alla politica.
Si tratta dell’ennesima variante delle classi dirigenti meridionali che si sono
poste come mediatrici di risorse prima nazionali, ora comunitarie senza mai
riuscire a modificare sostanzialmente il tessuto economico e sociale in cui
operavano. Nel 1993 in maniera decisa ruppi con la mia storia politica familiare. Non mi
sono mai pentito. Ho attraversato i miei deserti. Non devo ringraziare nessuno
per quel che sono diventato, accettando i lavori più umili. Continuo,
ostinatamente, come nel 2008, come nel 1993, a reclamare una politica fondata
sulla morale, una politica vissuta “a tempo” come dovere civico da prestare
alla propria città, al proprio Paese, per poi tornare alle occupazioni abituali.
Nel porgere, dunque, la mia solidarietà umana a Clemente e
Sandra Mastella, rivendico con fierezza la mia idea e la mia pratica della
politica, agli antipodi di quella teorizzata e praticata dal mio Sindaco. La "questione morale", correttamente intesa, rimane una delle spinte fondamentali del mio agire. Essa va continuamente rilanciata, senza temere di essere inattuali.
Un caro amico, commentando l’accaduto e condividendo la mia
definizione del mastellismo come «autobiografia della città», mi ha scritto che ci
vorrebbe un grande narratore per raccontare nel suo insieme la cultura
beneventana, un lavoro storico serio, di ampio respiro, che tenga insieme antropologia,
psicologia, sociologia ed economia. Non è detto che, nella prossima vita, pur non essendo un grande narratore, non
provi a dedicarmici.
Nessun commento:
Posta un commento