domenica 18 gennaio 2015

Kunitz [Il ritratto]


The Portrait 

My mother never forgave my father
for killing himself,
especially at such an awkward time
and in a public park,
that spring
when I was waiting to be born.
She locked his name
in her deepest cabinet
and would not let him out,
though I could hear him thumping.
When I came down from the attic
with the pastel portrait in my hand
of a long-lipped stranger
with a brave moustache
and deep brown level eyes,
she ripped it into shreds
without a single word
and slapped me hard.
In my sixty-fourth year
I can feel my cheek
still burning.

Stanley Kunitz

* * *

Il ritratto

Mia madre non perdonò mai mio padre
per essersi ucciso,
soprattutto in un momento così poco opportuno
e in un parco pubblico,
quella primavera
in cui stavo per nascere.         
Chiuse a chiave il suo nome
nell’armadio più profondo
senza mai farlo uscire,
sebbene lo udissi dare dei colpi.
Quando scesi dalla soffitta
con in mano il ritratto a pastello      
d’uno sconosciuto dalle labbra allungate,
con baffi audaci
e occhi castani dritti e profondi,
lei lo strappò in mille pezzi        
senza dire una sola parola
e mi schiaffeggiò forte.
A sessantaquattro anni
sento ancora la guancia
che brucia.

(Traduzione di Anna Rita Margio e Nicola Sguera)

sabato 17 gennaio 2015

notizie

segnavia raccoglierà gli scritti “a tema” di Luca Rando e Nicola Sguera, amici da anni insieme “lungo la via”. Tali parole saranno, per l’appunto, “segnavia”.
In alcuni casi saranno ospitati interventi di compagni di strada.
I volumetti saranno tirati in un numero limitato di copie (mai più di 50) e distribuiti in occasione della presentazione, che avverrà di volta in volta in luoghi diversi. Successivamente saranno resi disponibili on line in formato pdf.

* * *

Luca Rando nasce nel centro dell’Italia l’11 febbraio 1967.
Non ha patria se non quella che di volta in volta gli offrono i libri che legge in solitudine, spesso in campagna, dove arriva dopo lunghe camminate.
Cresce con due amori, la poesia e il teatro, per malinconico isolamento il primo, il secondo per ansia di comunità.
Nell'amicizia e nelle associazioni di cui ha fatto (e fa) parte ha trovato il luogo del pensiero e dell'azione; nella famiglia e nella scuola il luogo dell'incontro e dell'amore.
Il 1 febbraio 2002 coniuga pensiero e incontro cullando suo figlio.
Oggi quando guarda i figli o i suoi alunni prova un moto di felicità, lo stesso della domenica mattina ad occuparsi dei beni comuni vicino casa.

* * *

Nicola Sguera nasce a casa sua il 20 giugno 1967.
Vive un'infanzia senza ombre, se non quelle che la sua fantasia bizzarra trasforma, di notte, in orchi e vampiri.
Nel 1984 nasce a nuova vita: smette di mangiare carni per empatica compassione, rompe il patto con il Dio della sua tradizione familiare e conosce la sua futura moglie. Meglio sarebbe non essere mai nati, ripete spesso.
Il 24 gennaio del 1990 sua madre decide di impartirgli l'ultimo memorabile insegnamento: «nella mia fine è il tuo inizio».
Nel mercoledì delle ceneri del 1998 si inginocchia nuovamente, e prega un Dio sconosciuto: per la prima volta comprende il senso della parola “amen”.
Quando la sera osserva sua figlia, raccolta in un sonno finalmente sereno, e pensa a sua madre, ai suoi alunni, al vino, alla poesia di Char, alle canzoni di Nick Cave e all'Inter, benedice e «sì, in fondo, altissimo, non onnipotente buon Signore, grazie».

Luca Rando e Nicola Sguera hanno animato, insieme, «la rosa necessaria», uscita dal 1993 al 1999. Nicola Sguera ha pubblicato una raccolta di brevi saggi (In quieta ricerca, Percorsi Editore, 2012) e una raccolta di poesie (Per aspera, Delta 3 Edizioni, 2013).

Insegnano entrambi: il primo Lettere nel Liceo Classico di Potenza, il secondo Filosofia e Storia nel Liceo Classico di Benevento.

giovedì 8 gennaio 2015

io sono Charlie (e credo in Dio)



Come mi capita in occasioni di lutti personali (quest’anno per la perdita di due cari colleghi), ieri ho “chiuso” la mia bacheca di Facebook, questo diario in pubblico che ha stravolto completamente non solo le pratiche di scrittura ma, probabilmente, il modo stesso di pensare e formarci convinzioni. L’eccidio parigino della redazione di «Charlie Hebdo» (da parte di due integralisti islamici, ma con dubbi che iniziano ad emergere) mi ha lasciato, letteralmente, senza parole. Quando il dolore o lo sconcerto sono grandi mi è impossibile sillabare parole. Ma non bisogna sottrarsi al dovere di “intelligere” i processi in atto, dopo il “lugere” dovuto per uomini che hanno pagato con la vita il loro ideale di una libertà “assoluta”, non necessariamente condivisibile ma tutta dentro la tradizione laica e illuministica del loro grande paese. Sia detto per inciso: alcuni di loro, come ad esempio Wolinski, avevano accompagnato la mia storia di lettore di fumetti. Non erano sconosciuti, erano volti associati a storie, a segni. 
Voglio provare a focalizzare un solo argomento, al centro di alcune discussioni sui social network: il nesso fra religione e violenza. È naturale che il “sacro macello” parigino, al grido di “Allah è grande”, scateni la canea degli islamofobici, dell’ateismo più critico nei confronti di ogni esperienza religiosa. Sicuramente questo avrà delle conseguenze sulla storia francese e, dunque, su quella europea. La critica più sottile è quella che rimarca come la violenza non sia una caratteristica delle frange estremiste dell’Islam, degenerate anche a causa delle scelte politiche imperialistiche dell’occidente, della collocazione ai margini (urbanistici e sociali) degli immigrati e altro ancora. La scuola di pensiero il cui nome più illustre è quello di Oriana Fallaci ritiene che l’Islam sia in sé una religione violenta, e che questa tara sia inemendabile. Nel mio peregrinare tra i testi sacri devo confessare che il Corano è stata tappa marginale. Molto più fascinoso l’immaginario dei mistici islamici, il sufismo in particolare, gli immaginifici versi di 
Jalāl al-Dīn Rūmī. Non sono un esperto. La mia considerazione sarà, dunque, più generale: poiché l’uomo è un essere intimamente storico ed evolutivo, le religioni evolvono con lui. Questa considerazione può essere condivisa da atei e agnostici. Solo i religiosi “tradizionalisti” (che credono cioè in un nucleo immutabile delle fedi a là Guenon) dissentiranno. La storia dell’umanità mostra una capacità evolutiva in ogni ambito, che pare non aver fine. Se osserviamo l’ebraismo o il cristianesimo (le religioni che conosco meglio) noteremo come una carica di violenza effettivamente presente (si pensi al vendicativo Yahweh biblico o alle guerre degli Ebrei) o del cristianesimo fattosi religione di Stato (si pensi all’orrenda morte di Ipazia di Alessandria o alla crociata contro i catari) nel corso dei secoli si sia addolcita, fino a scomparire. Non è stato un processo indolore: nel popolo ebraico è passato attraverso la sua radicale dissoluzione statuale, nel cristianesimo attraverso un confronto durissimo con istanze “laicizzanti”, a partire dal Rinascimento.
Ogni fenomeno umano è passibile di evoluzione perché l’uomo è un essere evolutivo. 
Il mio auspicio è che, proprio a partire da catastrofi come quella di Parigi, nel mondo islamico maturi una spiritualità più pura, che non può che essere portatrice di istanze pacifiche e pacificatrici. Dio è il Bene che noi possiamo essere. È inimmaginabile che tale Bene si declini in forme necrofile e terroristiche. Chi uccide in nome del suo Dio in realtà uccide prima di tutto il suo Dio.

martedì 6 gennaio 2015

Celan [Il giorno dei morti]





Allerseelen
  
Was hab ich
getan?
Die Nacht besamt, als könnt es
noch andere geben, nächtiger als
diese.

Vogelflug, Steinflug, tausend
beschriebene Bahnen. Blicke,
geraubt und gepflückt. Das Meer,
gekostet, vertrunken, verträumt. Eine Stunde,
seelenverfinstert. Die nächste, ein Herbstlicht,
dargebracht einem blinden
Gefühl, das des Wegs kam. Andere, viele,
ortlos und schwer aus sich selbst: erblickt und umgangen.
Findlinge, Sterne, schwarz und voll Sprache: benannt
nach zerschwiegenem Schwur.                    

Und einmal (wann? auch dies ist vergessen):
den Widerhaken gefühlt,
wo der Puls den Gegentakt wagte.


* * *

Il giorno dei morti       

Che cosa ho
fatto?

Fecondata la notte, come se
potessero essercene altre, più notturne
di questa.

Volo d’uccello, volo di pietra, mille
strade descritte. Sguardi,
rubati e còlti. Il mare
del tutto assaporato, bevuto, sognato. Un’ora,
dalle anime annerita. La seguente, luce autunnale,
offerta a un cieco
sentimento, che arrivava. Altre, molte,
senza luogo e pesanti: scorte ed eluse.
Massi erratici, astri,
neri e pieni di linguaggio: nominati
secondo un giuramento taciuto fino ad annullarsi. 

E una volta (quando? anche questo è dimenticato):
sentito il barbiglio,         
dove il polso osava il controtempo.

(Traduzione di Anna Rita Margio e Nicola Sguera)

giovedì 1 gennaio 2015

Bonhoeffer [Delle potenze benigne]



Delle potenze benigne

Circondato fedelmente e tacitamente da benigne potenze,
meravigliosamente protetto e consolato,
voglio questi giorni vivere con voi,
e con voi entrare nel nuovo anno.

Del vecchio, il nostro cuore ancora vuole lamentarsi,
ancora ci opprime il grave peso di brutti giorni,
oh, Signore, dona alle nostre anime impaurite
la salvezza alla quale ci hai preparato.

E tu ci porgi il duro calice, l’amaro calice
della sofferenza, ripieno fino all’orlo,
e così lo prendiamo, senza tremare,
dalla tua buona, amata mano.

E tuttavia ancora ci vuoi donare gioia,
per questo mondo e per lo splendore del suo sole,
e noi vogliamo allora ricordare ciò che è passato
e così appartiene a te la nostra intera vita.

Fa’ ardere oggi le calde e silenziose candele,
che hai portato nella nostra oscurità;
riconducici, se è possibile, ancora insieme.
Noi lo sappiamo, la tua luce arde nella notte.

Quando il silenzio profondo scende intorno a noi,
facci udire quel suono pieno
del mondo, che invisibile s’estende intorno a noi,
l’alto canto di lode di tutti i tuoi figli.

Da potenze benigne meravigliosamente soccorsi,
attendiamo consolati ogni futuro evento.
Dio è con noi alla sera e al mattino,
e senza fallo, in ogni nuovo giorno.


Dietrich Bonhoeffer