Il collega e
amico Gianluigi Panarese risponde
alle mie
riflessioni. Riporto quanto scrive integralmente.
Caro Nicola,
1) la
Repubblica certamente non è "organo bolscevico”(se così fosse potrebbe
accampare qualche merito), quanto organo del “più grande partito radicale di
massa”, pannellianamente in totale confusione di idee, sostenendo tutto e il
contrario di tutto, secondo come tira il vento.
Venendo a Galli
e al suo libro, io noto che dietro quel titolo non si capisce bene se c'è una
reale preoccupazione per una possibile fine della democrazia o un sottile
(subdolo) compiacimento per la sua scomparsa.
Lo dico perché
sappiamo bene che non pochi tra intellettuali, politici di ogni specie,
giornalisti etc., guardano ,con un malcelato ed inquietante interesse , ad
esperienze politiche che portano sulla “via della seta” o sulla strada di
autocrazie (giusto per non chiamarle con il loro nome: tirannie). Ripeto: il
dubbio resta.
Che le
democrazie siano in crisi mi sembra evidente, la ricetta sul come uscirne non è
chiara.
Certo chiudi
il primo punto scrivendo che la “democrazia è la regola e il perimetro entro
cui realizzare società più o meno uguali”, ma lasciando intendere che la
democrazia si presta ad essere strumentalizzata per il l'interesse e l'egoismo
di alcuni a scapito di altri. È evidente che la democrazia non è il migliore
dei mondi possibili, tuttavia ti garantisce un “perimetro “entro cui puoi
lavorare per limitare e contrastare proprio quell'egoismo, che resta comunque
un tratto ineliminabile della natura umana, così come altri poco piacevoli.
Solo certe utopie hanno pensato di estirpare il Male dal mondo, ricorrendo però
a un male peggiore.
Per chiudere
confesso che amo leggere e trovo più concreto Giovanni Sartori (ahimè
scomparso) che non Galli.
2) Sulla
decrescita, conviviale o felice che sia, confermo che è parola vuota, priva di
qualunque contenuto e così ritenuta universalmente , dal momento che non c'è
nessuno Stato, Governo etc. etc. , che abbia mai preso in considerazione una
simile fantasia. Almeno io non ho mai sentito parlare di politiche economiche
volte alla decrescita da parte di chicchessia. Sento al contrario di come
creare politiche economiche espansive, per motivi del tutto ovvi. Dopodiché la
crescita economica si deve assolutamente armonizzare con il rispetto per
l'ambiente (la tecnica e la tecnologia sono in grado di fornirci gli strumenti
all'uopo) e con la difesa del lavoro dignitosamente retribuito. Ma questo è
semplicemente (si fa per dire) compito della Politica, lo sarebbe soprattutto
di una parte politica che invece è stata latitante negli ultimi decenni ed è
ora in tutt'altro affaccendata. E mi taccio!!
È vero sono
legato alla cultura della terra ed è per questo che non corro dietro a cose
fantasiose, come ad esempio la cosiddetta “agricoltura biologica”. Chiunque
conosca un po' il mondo agricolo sa che non si può produrre nulla
biologicamente su larga scala per milioni di persone, se non miliardi,
semplicemente perché ci sarebbero carestie in breve tempo. Il biologico è un
lusso che si possono permettere quelli producono per sé e che si accontentano
di quel poco che riescono a ricavare da una coltura non trattata con pesticidi
e concimi chimici. Ma questi sono irrinunciabili se si deve pensare a riempire
decine di migliaia di scaffali di supermercati con tonnellate di prodotti
alimentari tutti i santi giorni.
Scrivo questo
per dire che credere alla decrescita felice/conviviale è come credere
all'esistenza di una agricoltura biologica capace di sfamare milioni di
persone. Pura illusione.
Anche qui, è
chiaro che l'uso dei prodotti chimici non può avvenire in modo indiscriminato e
senza il rispetto di norme che da noi (ripeto da noi in Italia, altrove non so)
ci sono.
3)e vengo alla
questione capitalismo, che non rappresenta certo la fine della storia né, anche
qui, il miglior sistema economico delle galassie.
Eppure negli
ultimi 100 anni l'umanità è cresciuta esponenzialmente arrivando a quasi 8
miliardi di persone, l'età media quasi ovunque si alzata come non mai, decine
di paesi sono usciti dalla povertà o sono sulla punto di uscirne, le carestie
sono sempre meno frequenti nei paesi che abitualmente andavano incontro a
queste sciagure, e potrei continuare.
Ebbene se così
è, non lo è stato per opera e virtù dello Spirito Santo, ma perché il tutto è
avvenuto in un modo o nell'altro proprio grazie ad un sistema economico di
successo, che certamente ha creato distorsioni e problemi giganteschi, ma che
ha pure garantito un benessere ed uno sviluppo diffuso (rendendo da questo
punto di vista paradossalmente sempre più marginale l'Europa stessa, culla del
capitalismo) che non è sic et simpliciter solo il portato “di
una violenza invisibile altrove”.
Concludi
chiedendoti se il capitalismo è disposto a lasciarsi imbrigliare, dopo che lo è
già stato per il passato.
Se ciò è
avvenuto a costo di “dure lotte” può accadere di nuovo. Se qualcuno “ha rotto
le catene tra politica ed economia” , queste si possono saldare di nuovo. Cosa
lo impedirebbe?
Caro Nicola,
alla fine di tutto e tirando le somme non abbiamo fatto altro che, come in un
gioco dell'oca, tornare alla questione più importante di tutte che ruota
intorno alla necessità di difendere e rilanciare quello che resta dello stato
sociale/ welfare state.
Ma come ben
sai il più grande partito radicale di massa ha preferito trastullarsi con ben
altre tematiche meno compromettenti, finché “il cavallo non è fuggito dal
recinto” e così ci siamo ritrovati con uno Stato ridotto sempre più all'osso,
frantumato e disarticolato in quasi tutte le sue strutture.
Con la sua
scientifica disarticolazione è saltata pure quel poco di “società stretta” che
nel secondo dopoguerra le varie forze politiche avevano provato a costruire.
In tutto
questo il capitalismo c'entra, ma ancora di più c'entra una diffusa
pusillanimità... e tanto altro.
Vado per ordine e
punti anch'io.
1) «la
Repubblica», che non mi ha mai appassionato nelle sue scelte di fondo,
pubblica spesso interventi di rilievo che val la pena meditare. Quello di Galli rientra
in tale tipologia. Il suo libro, lungi da l'essere un de
profundis della democrazia, è un invito al lavoro critico per
rinnovarla, dal momento che una delle sue configurazioni storiche (la
democrazia “neoliberista”) si sta esaurendo. Indica, dunque, una serie di
condizioni proprio perché l'Europa non diventi una “post-democrazia” o una “democratura”.
Negli anni ho maturato, attraverso studi, letture, pratica diretta che la democrazia è un campo conflittuale e che non esiste nessun “universale” (come la classe dirigente ipotizzata da Hegel) che possa essere super partes. In particolare, lo studio appassionato di pensatori populisti come Laclau e Mouffe mi ha insegnate a vedere la democrazia con inevitabile campo di conflitti. Ma già Machiavelli insegna, nei Discorsi (Che la disunione della Plebe e del Senato romano fece libera e potente quella republica, I,4) come la dialettica sia motore di progresso civile. Altrove l'ho definita una concezione “eraclitea” della politica, in cui la tensione viene vista non come fonte di στασις (è, al contrario, la concezione platonica che esalta la “giustizia” come equilibrio tra le classi, meglio caste nella sua spaventosa utopia). E, sempre per rimanere in tema di utopia, ho maturato negli anni l'idea che essa sia necessaria come idea regolativa, divenendo perniciosa quando la si vuole realizzare concretamente.
2) Sulla decrescita. Temo che le criticità create da agricoltura intensiva e chimica, il supersfruttamento della terra, linquinamento di acque e aria, costringeranno ad una revisione radicale del nostro modo di abitare il mondo. Mi auguro che la tecnica aiuti in questa “transizione” (come si usa chiamarla), ma la lettura di alcuni maestri (penso soprattutto ad Illich) mi ha induce a credere che sia necessario un mutamento di paradigma, un'idea completamente diversa del ruolo dell'uomo nel mondo, un mutamento di sguardo (e qui il discorso si amplierebbe alle radici filosofiche del dominio tecnico e distruttivo dell'uomo sulla natura, ne parlo spesso e volentieri). Il “biologico” non è un lusso ma la forma che (ri)assumerà l'agricoltura del futuro, che tutelerà la diversità e porrà fine a disastrose monoculture. Produrre cibo cheap, per altro, è uno dei modi in cui l'economia capitalista ha sorretto il suo progetto “cannibalico”, che sta portando, purtroppo, il pianeta al disastro ecologico. Forse andrebbe rivisto anche l'approccio “bulimico” nei confronti del cibo attraverso una sana opera di prevenzione medica (una medica meno condizionata dalle grandi case farmaceutiche e più preventiva che curativa) educando a mangiare meno, meglio e in maniera sana. È un caso che l'obesità sia così diffusa tra le persone meno attrezzate culturalmente? Io credo di no. E vedo un lavoro sinergico in cui il cambiamento di abitudini alimentari (che è... salute!) trasformi anche l'agricoltura planetaria, e la tecnica consenta di superare l'orrore quotidiano di miliardi esseri immolati per nutrirci. Mi auguro che la carne “coltivata” consenta una svolta radicale in tal senso. Infine, non è secondario che l'agricoltura non intensiva e monoculturale tutela la biodiversità e le tradizioni locali.
Sulle conclusioni posso essere d'accordo. Certo, è necessario rilanciare la lotta per i diritti sociali e civili. È una delle strade possibili. Il mio pessimismo riguarda la volontà da parte degli agenti del capitalismo contemporaneo di accettare “limiti”, di ritornare nell'ovile del compromesso che ha retto l'Occidente tra il 1945 e il 1975 (circa). Certo, c'è una responsabilità soggettiva dei partiti socialisti europei in particolare (penso al partito socialista della seconda presidenza Mitterand, alla SPD tedesca, ovviamente al PCI italiano). Ma anche un oggettiva controffensiva del pensiero liberista, incarnatasi in teorie economiche egemoniche divenute prassi («la società non esiste»). E, ancora, le trasformazioni tecnologiche (in particolare, la rivoluzione informatica) davvero dirompenti.
Non ho ricette
semplici, ma il desiderio di capire quanto sta accadendo, e di dare un
contributo sia come educatore (insegnando ai miei allievi a decifrare il proprio
tempo così opaco) sia in forme di attivismo civile e politico alcune delle quali già
sperimento e altre che spero di incrociare nel mio complesso percorso, senza
garanzie, di impegno.
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