sabato 1 aprile 2023

Contro Ferraris [φιλοσοφία]

 


Contesto: il 31 marzo, all’interno del Festival di filosofia “Stregati da Sophia”, Maurizio Ferraris ha tenuto una lezione (on-line), di circa 45 minuti, dal titolo: L’uomo nasce libero ed è ovunque in catene?

Qui di seguito ne riporto una sintesi fatta da me in tempo reale, sicuramente omissiva di qualche passaggio ma non decisivo.


* * *


L’uomo è nato libero ma è in catene (Rousseau). Critica: perché diamo per assunto che l’uomo sia libero? In realtà, l’uomo NON nasce libero perché ha bisogno di un lungo periodo di accudimento ed educazione per diventare autonomo. Ma continua ad essere dipendente da famiglia e società per molti aspetti. L’uccello è fatto per volare, l’uomo deve imparare a camminare. L’uomo non è nato per parlare. Deve impararlo. L’animale umano è “dipendente” per natura. Siamo dipendenti, allevati ed educati.

Se lasci l’uomo nello stato di natura hai, appunto, un animale.

L’idea che l’uomo nasca libero di Rousseau deriva dalla secolarizzazione di un’idea religiosa: l’uomo sarebbe stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. Ma, in quell’idea, c’era il peccato originale, idea che manca nel Ginevrino. Idea “reazionaria”. La società ci rende cattivi.  Non incontreremo mai un essere umano “allo stato di natura”. 

Cfr.: decrescita felice. Cacciatori-raccoglitori. Vita breve e noiosa.

Kant, appassionato lettore di Rousseau, parla di un uomo sempre imperfetto ma perfettibile. L’uomo è un “legno storto”. Ma l’umano è l’unico umano che può essere educato. 

Critica a due dogmi alla visione dell’uomo che nasce libero.

1. Noi saremmo tanto più buoni quanto più vicini alla natura, dunque tanto più cattivi quanto più esercitiamo il nostro dominio sulla natura.

2. Noi saremmo schiavi della tecnica (concependo le catene come apparato tecnico).


1. Rapporto uomo-natura


Oscillazione tra dipendenza completa e onnipotenza. “Salviamo il pianeta” è uno slogan con cui siamo tutti d’accordo in linea di principio, ma il pianeta non risente delle nostre manipolazioni. Noi inquiniamo e distruggiamo perché siamo troppi. Il pianeta cessarà di esistere perché si spegnerà il sole. C’è un equivoco fondamentale: noi non siamo i padroni del pianeta e i suoi violentatori, ma siamo pezzi della natura che stanno seriamente correndo il rischio di rendere l’ambiente inospitale per gli uomini stessi (o per alcuni uomini, visto che alcuni Paesi potrebbero giovarsi del riscaldamento globale). 

Il Papa non ha pensato durante il Covid ad una teodicea ma ad una “vendetta” della Terra nei confronti dell’uomo. La Natura non esiste: esiste un concetto di natura “umano”. 

Anche Rousseau pensava che la Natura “reagisse” a vicende umane (terremoto di Lisbona che fa danni a causa dell’incuria umana). 


2. Onnipotenza della Tecnica


La tecnica non si impone sull’umano. L’idea è molto presente nel Novecento in controtendenza rispetto alla filosofia precedente, che adorava Prometeo. Perché questo cambiamento? Come diventa una gabbia d’acciaio? 

Conferenza sulla tecnica di Brema di Heidegger (1949), poi in Saggi e discorsi

Nel 1946 Albert Speer, architetto personale di Hitler, fu processato e si dichiarò colpevole sin dall’inizio. Ma nella dichiarazione finale disse che la Germania è il primo caso di uno Stato talmente evoluto tecnologicamente da far sì che la complessità tecnica raggiungesse ogni cittadino, trasformandolo in un esecutore degli ordini. La tecnica, dunque, sarebbe la responsabile delle nefandezze tedesche. 

Da cosa ci dobbiamo far perdonare noi?


1. L’uomo nasce in catene e può diventare libero.

2. Ci si libera con educazione e cultura. 

3. La tecnica ha un valore positivo (ed educativo). Un libro è un prodotto tecnologico che può migliorare la propria capacità deliberativa. 

4. La nostra libertà cresce con la nostra educazione.

5. Esattamente il contrario di quello che ha detto Rousseau. 

6. L’umano è unione indissolubile di organismo e meccanismo, o serie di apparati tecnici (dalla clava al libro fino al cellulare). 

7. Le macchine non governeranno mai gli umani. 

8. Enigma della Sfinge: l’uomo è un animale che si modifica in virtù dell’educazione e della tecnica (impara a camminare e usa il bastone per supplire ad una propria insufficienza). Solo l’uomo utilizza il bastone in quel modo preciso, che nasce dalla decisione di camminare eretto. Voltaire nel 1755 ebbe un saggio di Rousseau, e scrisse che calunniava gli uomini e che leggendolo veniva voglia di camminare a quattro zampe. 


Confronto umani/delfini: in acqua non si accende il fuoco, cuocere i cibi, riscaldarsi, raccontarsi storie intorno al fuoco per raccontarsi storie, coprire il fuoco con il tetto et cetera.


Uomini interessanti come portatori di valori, non come produttori di cose.


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Ho sentito il bisogno di intervenire, e qui cercherò di articolare e argomentare meglio le mie obiezioni.

Faccio una premesse: ascoltare pensatori come Ferraris è sempre un arricchimento (proprio il Voltaire che lui ha citato contro Rousseau diceva, a proposito dei libri, che i miglio sono quelli con i quali non sono d’accordo perché affinano il nostro senso critico). E, quindi, grazie (di cuore) anche a chi rende possibili tali incontri, particolarmente preziosi in una città come Benevento che è fuori dai grandi circuiti culturali (per quanto, nell’ultimo anno, si stia assistendo ad un risveglio “dal basso” di energie “nove” che fanno ben sperare). Ciò nonostante appare doveroso contestare Ferraris. Non tanto per la sua tesi di fondo (che è assolutamente legittima per quanto da me non condivisa in nessun modo, e che spero emerga dalla sintesi fattane). E neanche perché ogni lezione di Ferraris sembra una nuova puntata del suo personalissimo confronto con il “venerando” Maestro poi rinnegato, il suo “heideggericidio”, se mi è permesso parafrasare. Molto più semplicemente Ferraris va contestato (e andava contestato…) per la sua ricostruzione falsa del pensiero di Rousseau. Ora, nel momento in cui formulo un’accusa così pesante so benissimo che ciò è accaduto non per ignoranza ma per scelta consapevole. Dunque, a mio avviso, l’obiettivo di Ferraris è quello di denigrare un’intera tradizione che dal Ginevrino si filia. Perché tale ricostruzione è falsa? Perché Rousseau utilizza un dispositivo teorico (il “buon selvaggio”) ben consapevole a) che non si tratti di storia; b) che l’uomo non potrà mai “tornare” a tale stato. Perché lo usa allora? Per criticare un tempo corrotto, viziato e fondato su una spaventosa ineguaglianza. In questo senso le opere che scrisse rispondendo all’Accademia di Digione sembrano essere, complementari, la premesse del lavoro successivo, nel quale emerge il cuore del suo pensiero, potente e liberatorio, come riconobbero i rivoluzionari francesi che, nel 1794, lo festeggiarono come uno dei “santi” laici della Rivoluzione. E questo progetto, qui la mistificazione inaccettabile di Ferraris, è raggiungere un equilibrio virtuoso tra la naturalità dell’uomo e la sua dimensione “culturale”. Dunque, lo “stato di natura” deve essere uno strumento correttivo. Solo un pensatore superficiale, citato da Ferraris, come Voltaire poteva scrivere: «Ho ricevuto il vostro nuovo libro contro la razza umana, e ve ne ringrazio. Non fu mai impiegata tanta intelligenza allo scopo di definirci tutti stupidi. Vien voglia, leggendo il vostro libro, di camminare a quattro zampe». Per questo Rousseau si dedica a rivoluzionare i tre grandi ambiti (“culturali”!) della vita umana. Altro che camminare a quattro zampe! E parlo, ovviamente, della famiglia fondata sul matrimonio (Giulia), dello Stato (Il contratto sociale) e l’educazione (l’Emilio). In tutte è tre i casi non si nega la “cultura” o l’educazione (scherziamo?), ma si afferma in un’epoca dominata dalla finzione e dall’artificio che la “natura” deve rendere la vita dell’uomo… più umana! 

Dunque, con rispetto per il suo importante lavoro di riflessione, ritengo (e spero di parlare a nome di molti colleghi o cultori di filosofia) che semplificazioni di tal fatta possono essere solo funzionali ad un progetto politico che, a mio avviso, rinunzia a priori a qualunque ipotesi di trasformazione del mondo. Mi pare, dunque, francamente infondato e fortemente "ideologico" definire pensatore "reazionario" Rousseau , il cui lascito va costantemente attualizzato, per correggere le storture e le diseguaglianze che l'artificio (stavolta tecnico) e il tecnocapitalismo stanno creando nell'umanità. 


POST SCRIPTUM (02.04.23)


Aggiungo un paio di cose, dette durante l'incontro e che cerco di articolare meglio.

Ferraris stigmatizza e ritiene sbagliate (finanche ridicole) affermazioni del tipo: «bisogna salvare il pianeta». Dal suo punto di vista, bisogna salvare l'habitat adatto alla vita dell'uomo. Quindi, il professore è consapevolmente portatore di un'etica fortemente antropocentrica che, dal mio punto di vista, compie l'errore di pensare l'uomo come un'entità separata dalla natura (malgrado poi Ferraris lo riconduca sempre alla sua origine animale). Da questo punto di vista, la mia contestazione è diversa da quella relativa a Rousseau: è un dissenso filosofico. Come amo ripetere, utilizzando Panikkar, l'uomo è un essere "cosmoteandrico" (aggettivo che immagino faccia venire l'orticaria ai nuovi "realisti"). Credo sia miope pensare alla sola preservazione dell'uomo come se essa fosse possibile senza prendere in custodia l'interezza del creato. 

Capisco anche le critiche a Papa Francesco, nel suo intervento, che, con la Laudato si' ha impresso una clamorosa (e bellissima) svolta al cristianesimo cattolico sul tema del rapporto con la natura (attualizzando quella radice francescana che è alla base del suo magistero).

In tutta la riflessione di Ferraris emerge una visione che definirei "neo-meccanicistica" della Natura, che, sempre a mio avviso, non tiene conto di tante acquisizioni della scienza contemporanea. D'altronde, lo stesso Kant, che egli ha citato come antitesi teorica di Rousseau (pur riconoscendo il debito dell'uno nei confronti dell'altro), non avvertiva, nel cuore di quella prima rivoluzione scientifica che pensava sostanzialmente la natura come una macchina, il bisogno profondo di un altro pensiero, cui dà forma nella terza delle sue Critiche, in cui emerge la capacità dell'uomo di percepire un fine nel mondo naturale? Siamo di fronte a paradigmi non conciliabili, ovviamente. 

Ferraris ha assimilato, nella sua stroncatura, Rousseau e la decrescita. Anche in questo caso, però, volutamente altera il nucleo teorico di pensatori come Latouche, affermando che essi sosterrebbero la necessità di una "regressione" della civiltà. Non so quali libri abbia letto il Professore. Io vi ho trovato (e benedetto) il richiamo ad un "limite" (tale il titolo di un piccolo libriccino che mi pare chiave di volta di tutto l'edificio decrescista) che è imposto dalla tenuta stessa del nostro habitat. L'ideologia della crescita illimitata semplicemente non tiene conto di quei "limiti" che venivano denunziati in un memorabile studio cinquant'anni fa dal Club di Roma. Come ha dovuto riconoscere una critica severa della decrescita, Teresa Simeone, ponendo un quesito a Ferraris, la decrescita ha il merito di aver denunziato storture di un produttivismo sfrenato, che produce rifiuti, dissipa risorse. In realtà, la decrescita non è altro che l'attualizzazione, innestata sulle emergenze ecologiche sorte a partire dal XX secolo, di una saggezza antichissima, non pauperistica ma capace di limitare i bisogni indotti (dalla pubblicità al servizio del produttivismo) in nome di una vita sobria e felice nel senso aristotelico del termine. Anche in questo caso, temo, che con Ferraris siamo su piani incomunicabili. Resto fedele al magistero del suo antico maestro, Martin Heidegger, che, come ho cercato di mostrare nella prima sezione del mio ultimo libro, resta essenziale per articolare un pensiero ecologico all'altezza della sfida, sottovalutata da molti, da troppi.




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