Indegnamente eletto coordinatore delle attività dell’Officina “Maria Penna”, quest’anno, tra gli altri, abbiamo avuto il piacere, pochi giorni orsono, di ospitare Leonardo Distaso.
Ci conoscemmo per caso, quando, organizzando gli incontri di filosofia del “Giannone”, lo contattai e lui rispose entusiasticamente, diventando assiduo frequentatore della scuola e della città.
Avrei scoperto, con sorpresa, che ci eravamo formati nello stesso giro di anni a Roma, lui divenendo ultimo assistente di quello straordinario studioso di estetica che fu Emilio Garroni, con il quale io ebbi l’onore di fare il mio unico esame di filosofia universitaria e avviandosi proprio da lì la passione per Martin Heidegger che mi avrebbe condotto a divenire, a sorpresa e da autodidatta, docente di filosofia nelle Superiori.
Leonardo ci ha parlato dell’attualità di Marcuse, di cui ha curato un testo e sui ha lavorato negli ultimi anni.
Dell’incontro mi porto alcune cose che vorrei provare a fissare.
La prima: Leonardo ha voluto enfatizzare che il suo intervento era “dentro” la proposta dell’ANPI, rimasto uno dei pochi luoghi di sensata opposizione ad una realtà preoccupante. Un luogo, come avrebbe detto poco dopo Amerigo Ciervo, non retoricamente di “resistenza”, cui tutti siamo chiamati, non solo in virtù di episodi gravi di per sé (come quello di Firenze) ma, più in generale, di un clima in cui le parole d’ordine stanno minacciosamente cambiando.
La seconda: parlare di autori come Marcuse significa parlare di noi, del nostro tempo, delle nostre contraddizioni. Da una parte dei rischi di derive reazionarie, dall’altra di una «democrazia totalitaria», che i Francofortesi ci hanno insegnato a decifrare, che, dagli anni Trenta, in un secolo, ha fatto progressi che l’hanno reso ancora più pervasiva, nell’esercizio (uso categoria non francofortese) di un biopotere totalizzante, creando una “servitù volontaria” (il cui emblema sono i social media che tutti noi utilizziamo senza comprenderne fino in fondo il reale portato).
La terza: l’arte può essere, se cessa di essere, come scrisse Baudelaire, «la domenica della vita» (cioè svago, divertissement) una delle possibili chiavi di “uscita”: di vera “evasione” (da una situazione carceraria).
La quarta: rispondendo ad una delle tante sollecitazioni dei presenti, Leonardo ha fatto mirabile sintesi di quanto accaduto con il Covid. In sintesi, costretti a rimanere a casa, a causa della destrutturazione del sistema sanitario e della mancanza di terapie intensive, e privati del nostro status di consumatori compulsivi, il capitalismo ha iniziato a recapitare a domicilio le merci, facendo evolvere il sistema in una direzione nuova che è divenuta norma alla fine dell’emergenza pandemica.
Noi, anche grazie a contributi intellettuali rigorosi, di uomini e donne che praticano la filosofia non come disciplina separata né come svago erudito, ma come impegno civile, continuiamo a resistere cercando idee per prassi trasformative prive di compromessi.