domenica 31 maggio 2020

Nel groviglio degli anni Ottanta. 1. I giovani e la politica



Il libro di Adolfo Scotto di Luzio è prezioso strumento, e non solo per motivi generazionali, come ho cercato di argomentare su «Sonar».
Mi fa piacere tornare su alcuni punti che non ho potuto toccare, calandoli nel mio vissuto.

* * *

Scotto di Luzio descrive gli anni Ottanta, nella prima parte, correttamente come tempo di “riflusso”. Solo una parte minoritaria continuava a praticare le sedi di partito.
La percezione che ricevevo della politica in generale, in una famiglia solidamente cattolica e democristiana, vicina alla cosiddetta “sinistra” e al suo astro nascente, all’epoca, Ciriaco De Mita, era di qualcosa di lontano dai miei bisogni. Mia madre aveva guardato con orrore allo “scempio” che prima il ’68 e poi il ’77 avevano fatto alla Roma in cui aveva studiato con Sapegno e Paratore. Schifavo Pasolini, in un ambiente fondamentalmente omofobo e anticomunista.
Gli anni del Liceo (dal 1980 al 1985) li vissi nella totale indifferenza qualunquistica. Eppure erano ancora riconoscibili le grandi famiglie politiche filiate dalla stagione precedente: c’erano i “comunisti” (Antonio Romano, Nicola Savoia), i “socialisti” (Silvio Bozzi), i “democristiani” (Antonio Carrino), i “fascisti” (Pelè Perrotta, Federico Paolucci). Il corpaccione del Giannone, però, era come me. Ma si era gentili (e quando capitava qualche scontro non era per motivi squisitamente politici), si condividevano le stesse passioni.
Scotto di Luzio sottolinea come quella generazione cercò altrove, negli “eroi” della lotta alla camorra e alla mafia, i propri modelli di ispirazione. Le uniche discussioni che ricordo (ma mi farebbe assai piacere sentire i ricordi degli altri amici di quegli anni) serie furono legate al movimento contro la camorra (fino al 1983). Ricordo chiaramente che la madre del mio miglior amico, Luca Rando, era preoccupatissima perché temeva attentati alle nostre marce.
Insomma, gran parte di quella generazione – ed è conferma della tesi del libro – si è formata lontana da partiti e movimenti strettamente politici, sviluppando, nel migliore dei casi, un antagonismo di tipo “etico” ad un mondo in cui apparivano sempre più distintamente i tratti della corruzione (anch’essa prima di tutto morale).
Credo che per molti di noi il passaggio all’Università fu decisivo. Io scelsi Roma per motivi squisitamente “disciplinari” (ambivo a studiare con Alberto Asor Rosa, con cui avrei fatto gli esami e che sarebbe stato mio correlatore). Lì maturò la mia coscienza politica. Parliamo di un’Università (e di un Dipartimento) in cui l’eredità degli anni precedenti era vigorosa. Iniziai a comprare «il Manifesto» e «Rinascita» diretta da Asor Rosa. Iniziai a “capire” cosa fosse successo nel ventennio alle mie spalle. Divenni “comunista” (anche per un atavico senso di colpa di matrice cristiana nei confronti delle persone meno abbienti). Ma anche quel comunismo era nutrito di linfe etiche (ancora una volta la radice profonda era nell’educazione cristiana).
L’altro elemento fondamentale (e qui mi pare che Nel groviglio degli anni Ottanta sia un po’ carente) fu la sensibilità ecologica. I due eventi probabilmente più importanti furono, almeno per me, Chernobyl e il disastro della Exxon Valdez. Iniziai ad acquistare abitualmente «Nuova ecologia». Il mio ecologismo aveva una chiara scaturigine romantica, per quanto paradossale nel figlio di un commerciante di petrolio.
Seguii con passione le vicende interne al PCI. Presi la tessera per il primo anno del PDS. La malattia di mia madre non mi consentì di vivere sul serio il momento dell’impresa, come la definisce Scotto di Luzio, la “Pantera”. Ricordo confusamente alcune serate passate a Lettere. Ma mia madre moriva, i miei pensieri erano altrove. L’anno che seguì la sua morte fu decisivo per me perché dedicato alla tesi su Fortini, che mi diede strumenti molto più rigorosi di decifrazione del passato e del presente, spingendomi verso i francofortesi e Benjamin, verso Bloch e Lukács. Ma gli anni Ottanta oramai erano alle spalle.