“Rivoluzione gentile”: non riguarda solo la comunità
di cui sono parte, come progetto avvenire ma già in fieri. Riguarda prima di
tutto me. Aspiro, nella mia maturità anche anagrafica, ad essere quell’άνθρωπος τέλειος di cui parla in Resistenza e resa il mio amato
Bonhoeffer: un uomo completo. Aspiro a preservare la "gentilezza": mi hanno insegnato Dante e gli Stilnovisti che essa è nobiltà d'animo che si trasforma in una stile di vita. La sfida che mi è davanti non è tanto quella di
rimanere una persona fondamentalmente onesta (ma su questo mi piacerebbe
tornare), immune dalle tentazioni del potere quanto quella di continuare ad
essere ciò che sono negli ambiti della vita che mi più mi caratterizzano.
Insomma, continuare ad essere un marito presente e, soprattutto, un padre. Da
settembre, quando è iniziata, almeno nella mia percezione, l’avventura
elettorale, sono stato risucchiato, nei tempi e, soprattutto, nei pensieri, da
impegni sempre più pressanti e stressanti, in continua tensione con i bisogni
familiari. Se ripenso alle mie vite precedenti, per esempio all’impegno (breve)
in Rifondazione Comunista, alla fine del secolo scorso (!), ricordo l’impressione
di uomini e donne senza incombenze familiari o con situazioni complicate.
Spesso la percezione che ne avevo era di persone che vivevano l’impegno politico
come una “fuga” o una realizzazione che altrove non era data. Io, lo ripeto,
voglio essere un uomo completo. Non voglio che l’esperienza politica diventi
totalizzante (e, dunque, potenzialmente totalitaria). Ricordo a me stesso, in
pubblico, di essere un marito, un padre e un insegnante, prima di ogni cosa. Lo
sono sono stato poco e male in questi mesi. Ho chiesto ripetutamente scusa ai
miei alunni, che mi vedevano spesso distratto e assente, continuamente in
ritardo sugli impegni presi. Ho chiesto scusa a mia moglie e mia figlia, che
hanno pregato perché io venissi bocciato dalle urne, temendo di ritrovarsi in
casa un marito e un padre dimidiato. Ecco, allora la vera sfida degli anni avvenire:
non attraversare la corruzione e il marcio e uscirne pulito (mi auguro che la
coltivazione della mia anima mi supporti in questo compito pur gravoso) quanto
preservare integri gli ambiti più preziosi della mia vita, quelli che mi
rendono ciò che sono. Se la politica mi dovesse trasformare in un marito, in un padre e in un insegnante peggiore (e qui l’unico giudizio valido sarà quello di mia
moglie, di mia figlia e dei miei alunni) avrò fallito, a prescindere dai
risultati che dovessi raggiungere come uomo pubblico.
Sto per trasferirmi nella mia dimora campestre. Tra
pochi giorni, contestualmente al primo Consiglio comunale, dunque, potrò
ritrovare quel “centro” smarrito in questi mesi «matti e disperatissimi»,
rimettendomi in contatto con le energie primigenie e scendendo nella mia anima,
dopo aver fatto silenzio. Ho sempre saputo che la figura che più mi rappresenta
è l’ossimoro. La mia vita è un tentativo di tenere insieme, in tensione, cose
che normalmente sono separate. Dunque, è doveroso chiudere con dei versi. Mi
ricordano il compito dei prossimi mesi.
Senza parola la mia preghiera né misura
accade. Nel segreto tutto tace,
e divengo tutt’uno con il libro.
Mentre il vento tra fronde sussurra,
sfiorando la corteccia della quercia,
avverto risalire le linfe
che bramano il cielo,
custodita in essa tutt’intera
la memoria della terra.
Altra preghiera non so,
se non lo sguardo amoroso sul volto
che, nella fatica del giorno, m’incrocia.