lunedì 14 febbraio 2011

ove annunzio i danni di D'Annunzio


Un giorno (ero al Giannone) andai a fare sostituzione nel Ginnasio… Avevo deciso di far ascoltare un po’ di musica… Conobbi un allievo: assomigliava a John Lennon, capigliatura anni Sessanta. Intelligente. Alla fine gli profetizzai che sarebbe divenuto rappresentante d’Istituto. È accaduto quest’anno. Ne sono stato felice. Gli ho prestato tutto il mio archivio musicale, ho interloquito con lui sui massimi sistemi: libertà, giustizia sociale, comunismo… Un giorno, in rete, scopro che sta maturando una passione insana per Gabriele D’Annunzio. Rivado con la memoria a sei anni fa. Allora ero al Rummo. Avevo un allievo brillante, vorace lettore, impegnato attivamente in un piccolo partito di estrema sinistra, di ispirazione marxista-leninista. Passai tutto l’anno del suo esame di Stato a battagliare per convincerlo che Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot non erano eroi, ma artefici di efferati crimini o di giganteschi errori equiparabili a crimini. La peculiarità del mio giovane alunno, anch’egli rappresentante “incendiario” di Istituto, era la passione per Gabriele D’Annunzio. Ora milita ne La Destra di Storace, dopo aver velocemente percorso un piano inclinato che, dal PD a SEL, lo ha condotto all’estremo opposto da cui era partito. Nel corso dell’anno trascorso insieme io gli ripetevo che, al di là di ciò che professava, la sua ideologia profonda, dannunziana, superomistica, era “ontologicamente” di destra. Ho avuto ragione. La sovrastruttura si è adeguata alla struttura. Ora può professare il suo dannunzianesimo senza patire contraddizioni.
Una decina di anni fa intervistai Stefano Zecchi, venuto a Benevento. Era stato allievo di Ernst Bloch, uno dei maggiori pensatori comunisti del XX secolo. Mi stupì dicendomi che bisognava rileggere D’Annunzio. Di lì a poco sarebbe diventato intellettuale organico al berlusconismo, con le sue comparsate televisive.
Amo la poesia. È uno dei motivi per cui la vita val la pena di essere vissuta. La amo da quando iniziai ad essere me stesso, più o meno alla stessa età del giovane di cui ho parlato all’inizio. Grazie a Dio, non ho mai avuto tentazioni dannunziane.
Io detesto D’Annunzio, lo considero l’incarnazione di una parte dei vizi italiani. Per parafrasare De Sanctis su Guicciardini, l’uomo del D’Annunzio è un borghese che si ammanta di preziose vesti aristocratiche e, conquistato il pulpito con una retorica tanto aulica quanto povera di veri contenuti universali, si scaglia contro le masse, legittimando ogni sfruttamento nei loro confronti. Privo di qualunque talento filosofico, il Vate (ma su Facebook preferisco chiamarlo Poeta-Water), incapace di capire la radicalità del messaggio di Friedrich Nietzsche, lo appiattì sul un becero antidemocraticismo (che manifestò soprattutto nei suoi romanzi come Le vergini delle rocce o Il fuoco). Con la sua retorica incendiaria, fu tra i responsabili dell’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale (che invano Giolitti cercò di scongiurare, appoggiato dal mondo cattolico e dai socialisti italiani). Tutti i mali italiani successivi vengono da lì. Dopo aver progettato una marcia su Roma, occupò Fiume, sperimentando rituali e contenuti ideologici che saranno travasati nel fascismo, di cui è vero precursore, con la sua miscela di nazionalismo e eroismo militaresco.
Modello di vita dedita al piacere e al “bel gesto” eroico, anche dal punto di vista etico mi appare detestabile. Ben altri i modelli che cerco di offrire ai miei alunni di vite “eroiche”: Gobetti, tra i suoi coetanei, i fratelli Rosselli, Ernesto Buonaiuti.
Il poeta, infine. D’Annunzio scrive bene, rubando qui e lì. Penna felice, penna superficiale, che resta, appunto alla superficie della realtà. Tranne in qualche raro frammento in prosa e, forse, nell’ultimissima poesia, non riesce neanche a capire quanto nulla si celi dietro l’esaltazione panica del mondo… Un vitalismo fine a se stesso, espansione di un ego ipertrofico, senza amore, senza carità. Si può essere “vitalisti” cogliendo la profondità del reale: Walt Withman in America lo aveva insegnato ad un’intera generazione di giovani, coniugando l’amore per la vita e per la natura ad una profonda visione democratica della politica (“O capitano, mio capitano” la scrisse per la morte di Lincoln).
In conclusione: se fossi Ministro dell’Istruzione cancellerei D’Annunzio dai programmi scolastici, esercitando una sana forma di censura nei confronti di un modello deteriore dal punto di vista (nell’ordine) spirituale, etico, politico ed estetico.
E all’alunno di cui ho parlato all’inizio dico: non si possono servire due padroni. Se credi nella libertà di tutti, nella giustizia sociale, in un mondo migliore, abbandona il tuo dannunzianesimo e ad altri maestri, ben più rigorosi e coerenti, ben più nobili, dedica il tuo prezioso tempo di adolescente in cammino.

(Pubblicato nel 2011)

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