Un giorno (ero al
Giannone) andai a fare sostituzione nel Ginnasio… Avevo deciso di far ascoltare
un po’ di musica… Conobbi un allievo: assomigliava a John Lennon, capigliatura
anni Sessanta. Intelligente. Alla fine gli profetizzai che sarebbe divenuto rappresentante
d’Istituto. È accaduto quest’anno. Ne sono stato felice. Gli ho prestato tutto
il mio archivio musicale, ho interloquito con lui sui massimi sistemi: libertà,
giustizia sociale, comunismo… Un giorno, in rete, scopro che sta maturando una
passione insana per Gabriele D’Annunzio. Rivado con la memoria a sei anni fa.
Allora ero al Rummo. Avevo un allievo brillante, vorace lettore, impegnato
attivamente in un piccolo partito di estrema sinistra, di ispirazione
marxista-leninista. Passai tutto l’anno del suo esame di Stato a battagliare
per convincerlo che Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot non erano eroi, ma artefici di
efferati crimini o di giganteschi errori equiparabili a crimini. La peculiarità
del mio giovane alunno, anch’egli rappresentante “incendiario” di Istituto, era
la passione per Gabriele D’Annunzio. Ora milita ne La Destra di Storace, dopo
aver velocemente percorso un piano inclinato che, dal PD a SEL, lo ha condotto
all’estremo opposto da cui era partito. Nel corso dell’anno trascorso insieme io
gli ripetevo che, al di là di ciò che professava, la sua ideologia profonda,
dannunziana, superomistica, era “ontologicamente” di destra. Ho avuto ragione.
La sovrastruttura si è adeguata alla struttura. Ora può professare il suo
dannunzianesimo senza patire contraddizioni.
Una decina di anni fa
intervistai Stefano Zecchi, venuto a Benevento. Era stato allievo di Ernst
Bloch, uno dei maggiori pensatori comunisti del XX secolo. Mi stupì dicendomi
che bisognava rileggere D’Annunzio. Di lì a poco sarebbe diventato
intellettuale organico al berlusconismo, con le sue comparsate televisive.
Amo la poesia. È uno
dei motivi per cui la vita val la pena di essere vissuta. La amo da quando
iniziai ad essere me stesso, più o meno alla stessa età del giovane di cui ho
parlato all’inizio. Grazie a Dio, non ho mai avuto tentazioni dannunziane.
Io detesto D’Annunzio,
lo considero l’incarnazione di una parte dei vizi italiani. Per parafrasare De
Sanctis su Guicciardini, l’uomo del D’Annunzio è un borghese che si ammanta di
preziose vesti aristocratiche e, conquistato il pulpito con una retorica tanto aulica
quanto povera di veri contenuti universali, si scaglia contro le masse,
legittimando ogni sfruttamento nei loro confronti. Privo di qualunque talento
filosofico, il Vate (ma su Facebook preferisco chiamarlo Poeta-Water), incapace
di capire la radicalità del messaggio di Friedrich Nietzsche, lo appiattì sul
un becero antidemocraticismo (che manifestò soprattutto nei suoi romanzi come Le vergini delle rocce o Il fuoco). Con la sua retorica
incendiaria, fu tra i responsabili dell’ingresso dell’Italia nella prima guerra
mondiale (che invano Giolitti cercò di scongiurare, appoggiato dal mondo
cattolico e dai socialisti italiani). Tutti i mali italiani successivi vengono
da lì. Dopo aver progettato una marcia su Roma, occupò Fiume, sperimentando
rituali e contenuti ideologici che saranno travasati nel fascismo, di cui è
vero precursore, con la sua miscela di nazionalismo e eroismo militaresco.
Modello di vita dedita
al piacere e al “bel gesto” eroico, anche dal punto di vista etico mi appare
detestabile. Ben altri i modelli che cerco di offrire ai miei alunni di vite
“eroiche”: Gobetti, tra i suoi coetanei, i fratelli Rosselli, Ernesto
Buonaiuti.
Il poeta, infine.
D’Annunzio scrive bene, rubando qui e lì. Penna felice, penna superficiale, che
resta, appunto alla superficie della realtà. Tranne in qualche raro frammento
in prosa e, forse, nell’ultimissima poesia, non riesce neanche a capire quanto
nulla si celi dietro l’esaltazione panica del mondo… Un vitalismo fine a se
stesso, espansione di un ego ipertrofico, senza amore, senza carità. Si può
essere “vitalisti” cogliendo la profondità del reale: Walt Withman in America
lo aveva insegnato ad un’intera generazione di giovani, coniugando l’amore per
la vita e per la natura ad una profonda visione democratica della politica (“O
capitano, mio capitano” la scrisse per la morte di Lincoln).
In conclusione: se
fossi Ministro dell’Istruzione cancellerei D’Annunzio dai programmi scolastici,
esercitando una sana forma di censura nei confronti di un modello deteriore dal
punto di vista (nell’ordine) spirituale, etico, politico ed estetico.
E all’alunno di cui ho
parlato all’inizio dico: non si possono servire due padroni. Se credi nella libertà
di tutti, nella giustizia sociale, in un mondo migliore, abbandona il tuo
dannunzianesimo e ad altri maestri, ben più rigorosi e coerenti, ben più
nobili, dedica il tuo prezioso tempo di adolescente in cammino.
(Pubblicato nel 2011)