Da alcuni anni, come sanno gli amici, trascorro il periodo estivo nella dimora campestre di San Cumano, luogo dell’anima per me, dove iniziammo a trascorrere le estati dal 1974, in una casa semidiroccata, per poi, restauratala, trasferirci nel 1984. Lì ho vissuto fino al 2001, quando, assecondando i desiderata di mia moglie, sono tornato, con molte difficoltà, a vivere in città. Ora abbiamo trovato un equilibrio reso possibile anche al nostro lavoro di insegnanti, che ci concede il privilegio di una lunga estate libera da impegni.
In campagna posso, libero da incombenze scolastiche e privo delle distrazioni informatiche, dedicarmi in maniera seria alla lettura. Quest’anno, tra l’altro, dopo dieci anni, sono riuscito a sistemare la mia biblioteca. Il disordine in cui era piombata era specchio, probabilmente, della mia confusione mentale… Che liberazione sapere, finalmente, dove trovare un libro di poesia o di politica.
Ora vorrei provare a tracciare un bilancio intellettuale di questi mesi di letture. Normalmente cerco di leggere almeno tre libri contemporaneamente: uno di poesia, uno di filosofia, uno di storia. Ad essi affianco talvolta un libro di narrativa. Partirei da qui. Sono finalmente riuscito a realizzare uno di quei desideri procrastinati non so se per pigrizia o per paura di non poterlo più fare in futuro: ho letto Il conte di Montecristo. È stato una lettura rapinosa, da brividi e grida, come quella plutarchiana di Alfieri. È che sin dall’infanzia, dallo sceneggiato della Rai, Montecristo è uno dei possibili archetipi del mio immaginario, insieme a Leonida e a San Francesco (uno psicoanalista, di grazia, potrebbe cogliere in questo stridente accostamento la struttura labirintica della mia psiche…). Conoscevo già la storia a memoria, ma ciò nonostante ho provato emozioni senza pari. Il romanzo è genere ottocentesco. Più leggo più me ne convinco: nella sua forma pura, solo loro (e dico i Dumas, i Dostoevskij, i Tolstoj, i Hugo) ne sapevano scrivere. Ho letto anche un altro romanzo che non mi è dispiaciuto: Altai di Wu Ming, ideale prosecuzione di Q che avevo letto, apprezzato (e presentato al Premio Strega). Alcune scene di brutale crudezza hanno tormentato le mie notti. Infine ho letto Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr Hyde. Bellissimo.
Tra i libri di filosofia, come di prassi, ho scelto un’opera grande di Heidegger, i Contributi, che mi avevano respinto nel 2006. Lettura preziosa per capire la crisi che segue Essere e tempo e si inoltra nella svolta. Anche se condivido la tesi di Franco Volpi, che si tratti cioè di un’opera profondamente incompiuta. Ho forzato poi, di nuovo, il Quaderno I della Weil: anche qui preziose perle e pagine incompiute. Bellissimo, invece, Pervertimento del cristianesimo di Illich, con la tesi dirompente secondo cui tutta la civiltà moderna nasce da un pervertimento dell’etica del samaritano. Ho letto con qualche fatica il primo volume de La Via di Morin, prezioso, come sempre, ma meno brillante dei precedenti. Ho poi riletto, come purificazione e approfondimento, l’Eraclito di Colli, pensatore sempre più decisivo per me. E mi sono avventurato nelle opere giovanili di Nietzsche, in particolare La filosofia all’epoca tragica. Affermazioni sconcertanti ma anche potenza, forza, energia. Ho riletto il libriccino di Arpaia dedicato alla sinistra reazionaria, anche in seguito alla discussione con Desiderio sulla mia identità politica. Ho colto spunti che mi erano sfuggiti alla prima lettura. Ho riletto le prefazioni di Volpi ad Heidegger, raccolte ne La selvaggia chiarezza e il bellissimo Che cos’è la filosofia antica? di Hadot, in vista della ripresa della scuola. Infine, due testi di filosofia politica: Sentieri in utopia di Buber (bellissimo e ricco di aperture nuove per me) e, finalmente, il libro di Bloch dedicato a Müntzer e alle tendenze chiliastiche all’interno della storia comunista.
Tra filosofia e spiritualità ho analizzato Io e Dio di Mancuso, cui ho scritto poco fa le mie considerazioni. Ne ammiro l’opera di riforma della Chiesa. Penso che sia però poco opportuno fondare questo tentativo coraggioso su una attualizzazione del kantismo.
Tra i libri di storia ho scelto Il grande saccheggio di Bevilacqua, denunzia quanto mai condivisibile del fallimento disastroso del capitalismo globalizzato, e Collasso di Diamond, lettura agghiacciante, su cui ho intenzione di ritornare.
In preparazione dell’incontro poi tenutosi a Vitulano, ho letto tre libri intensi di Franco Arminio: Terracarne, Stato in luogo e Cartoline dai morti. Ma anche su questo vorrei tornare, riordinando i pensieri sulla “paesologia”.
I poeti che hanno scandito quest’estate sono stati un russo (Mandel’stam), un francese a me caro quanto mai (Char) e un gallese (Dylan Thomas).
Come sempre, dunque, fedeltà ai miei “auctores” ma anche aperture. Sento che una stagione è giunta a termine. Di qui la volontà di dare “carta” ai miei scritti, con il libro che sta per uscire. Molte di queste letture sono gravide di futuro. La mia in/quieta ricerca continua, dunque.
In ogni caso sempre più sento che leggere è la forma più alta di spiritualità che mi sia concessa, insieme alla contemplazione del mondo naturale. Aver condiviso questa passione con mia figlia per la prima volta, leggendole i bei romanzi ecologici di Klincus Corteccia, ha amplificato questo senso di pienezza.
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