Un momento gradevole di ascolto di quanto si studia nel mondo accademico e di qualche riflessione da parte di chi opera nel mondo della scuola. Purtroppo due mondi che entrano poco e male in contatto, rendendo per lo più sterile il lavoro dei ricercatori e miope rispetto ai bisogno contemporanei quello dei docenti. Questo quanto ho detto aprendo e chiudendo il mio breve intervento all’interno della presentazione del libro Homo scribens 2.0 (Franco Cesati, 2019).
Sarebbe necessario lo sforzo di mediare quanto più possibile i frutti del lavoro accademico (a partire dalla scelta di un linguaggio meno specialistico).
Il libro descrive i mutamenti della nostra lingua, le contaminazioni dovute al suo uso nella rete (ma perché «scritture ibride della modernità»? Non è la “modernità” il regno della stampa e della comunicazione unidirezionale?). Strumento di lavoro utilissimo a chi insegna italiano nelle nostre scuole con spunti anche per esercitazioni che potrebbero essere coinvolgenti per i nostri studenti, rendendo (finalmente!) gli strumenti che oramai sono appendice delle loro esistenze non solo un ostacolo ai saperi ma anche uno mezzo per acquisirli.
Apparteniamo ad una tradizione, lo ricordo si è fondata per secoli sulla lingua scritta, per altro cristallizzatasi nel modello toscano trecentesco. Solo il Novecento, dopo la sfida manzoniana di aggiornamento, ha segnato una radicale novità. Insomma, la scuola è figlia di quella tradizione. Per altro il modello trasmissivo ancora imperante rende difficile l’ascolto di quanto va rapidamente mutando nelle pratiche linguistiche. E invece ci sarebbero tante possibilità di sperimentare partendo dall’assunto che mai come ora i ragazzi scrivono. Eppure, si predilige ancora il tema! Molti dei laboratori i cui esiti rifluiscono nel libro potrebbero tranquillamente essere riproposti con impatto significativo nelle scuole medie o superiori, coniugando dimensione ludica, pratica, teoria. Qui siamo carenti: nell’incapacità di creare una filiera tra i diversi ordini di scuola e la ricerca.
Il titolo del libro mi pare per altro confutazione delle teorie apocalittiche contenuto in Homo videns di Sartori che all’inizio degli anni Novanta profetizzava un “animale post-pensate” incapace di consecutio. Invece, come ben previde Maurizio Ferraris in Ontologia del cellulare, c’è stato una nuova diffusione della scrittura (abbiamo mai scritto tanto?) insieme alla pervasività delle immagini (e dei suoni!).
Uno dei capitoli più interessanti del libro è quello che riporta l’esito del concorso “Racconta il tuo Sud in un tweet”. Riporto il secondo classificato del 2018:
Post scriptum
Sollecitato dal moderatore sul mio rapporto conflittuale con i social, ho spiegato che è doveroso "abitarli" con consapevolezza, sapendo che essi sono (e lo debbo all'ultimo Baricco) più un palco che una piazza, più luogo di esternazione che di dialogo, e che soprattutto periodicamente è necessario abbandonarli, prendersi periodi sabbatici per evitare di esserne risucchiati. Un po' di tecniche spirituali, insomma, applicate al digitale.
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