E ancor più necessaria pensando che i testimoni oculari stanno scomparendo e che tra qualche lustro non ci saranno più.
L'intervento che ho tenuto all'interno della manifestazione organizzata dalla "Dante Alighieri" si è articolato intorno a pochi temi, arricchito dalla fisarmonica di Edoarda Iscaro e da due letture (Levi e Segre) dei nostri allievi: l'importanza della cultura ebraica (dalla spiritualità al fumetto) per la cultura mondiale (e per me!), cosa è accaduto, perché celebriamo questo genocidio e non altri (cosa lo rende unico?), una breve storia dell'antigiudaismo (soprattutto cristiano), l'antisemitismo moderno (legato al razzismo e al nazionalismo), l'universo concentrazionario e la sua massificazione e animalizzazione dell'ebreo (lo sfondo delle diapositive è sempre stata un'immagine di Maus con l'ebreo-topo), le responsabilità degli Italiani, "brava gente", gli ultimi testimoni, il senso di una memoria "attiva" e non solo celebrativa, le insidie del revisionismo e del negazionismo.
Ho chiuso con una lettura di un poeta che amo, come questo blog testimonia, quanto mai altri, Paul Celan, chiedendo ai presenti di chiudere gli occhi ed abbandonarsi al flusso di immagini archetipiche ed elementari (la pietra, l'erba), alle parole composte che cantano certo la dissoluzione, la perdita, la cenere ma anche la possibilità di ritrovarsi. Nella parola che salva. Questo l'immenso potere del canto di cui ho cercato di essere un umile medium.
STRETTA
Trasferito
nella
landa
dalla
traccia inconfondibile:
Erba,
divisa da scritte. Le pietre, bianche,
con le
ombre degli steli:
Non
leggere più – guarda!
Non
guardare più – va’!
Va’, la
tua ora
non
conosce sorelle, tu sei –
sei a
casa. Una ruota, lenta,
sfila da
sé, i suoi raggi
rampicano,
rampicano
su nerastro campo, la notte
non
richiede stelle, non vi è posto
ove si
chieda di te.
Non vi è
posto
ove si
chieda di te –
Il luogo,
ove essi giacquero, quel luogo
ha un nome
– e non ne ha
alcuno.
Non lì, essi giacquero. Qualcosa
giaceva
frammezzo a loro. Essi
non
vedevano oltre.
Non
vedevano, no,
essi
discutevano di
parole.
Non vi fu
risveglio,
il
sonno
venne su
di loro.
Venne,
venne. Non vi è posto
ove si
chieda –
Sono io,
io,
io giacqui
frammezzo a voi, io ero
aperto,
ero
udibile,
vi mandavo un ticchettio, il
vostro
respiro si adeguava, sono
ancor
sempre io; voi
dormite.
Sono ancor
sempre –
Anni.
Anni,
anni, un dito
tasta in
giù e in su, tasta
intorno:
suture,
palpabili, qui
si schiude
largo un vuoto, lì
s’è
colmato, concrescendo – chi
lo
ricoperse?
Ri-
coperse –
chi?
Venne,
venne.
Venne una
parola, venne,
venne
attraverso la notte,
voleva
luccicare, luccicare.
Cenere.
Cenere,
cenere.
Notte.
Notte-e-notte.
– Va’
all’occhio,
umido occhio.
All’
occhio,
va’,
umido –
Uragani.
Uragani,
da sempre,
turbinio
di particelle, il resto,
tu
lo sai
bene, noi
lo
leggemmo nel Libro, ed era
opinione.
Era, era
opinione.
Come
ci
afferrammo
l’un
l’altro – con
queste
mani?
Era anche
scritto, che.
Dove? Noi
vi stendemmo
sopra un silenzio,
nutrito di
veleno, grande,
un
verde
silenzio,
un petalo, cui s’univa
un’idea
come di pianta –
verde, sì,
s’univa,
sì,
sotto
perfido
cielo.
Cui, sì,
come di
pianta.
Sì.
Uragani,
tur-
binio di
particelle, restava
tempo,
restava,
di tentare
con la pietra – essa
era
ospitale, essa
non ti
tranciava la parola in bocca. Quanto
bene
stavamo:
Granosa,
granosa e
fibrosa. Striata,
densa;
uvata e
radiata; glomerulosa,
levigata e
grumosa;
sciolta, ra-
mificata
–: essa, la cosa
non ti tranciava
la parola, essa
parlava,
amava
parlare ad occhi asciutti, prima di chiuderli.
Parlava,
parlava.
Era, era.
Noi non
mollammo, restammo
dentro, un
corpo
poroso, e la cosa
venne.
Venne a
noi, venne
attraverso,
ricucendo
invisibile,
ricucendo
l’ultima
membrana,
e
il Mondo,
un Millecristalli,
rapprese,
prese forma.
Rapprese,
prese forma.
Poi –
Notti,
frante. Cerchi,
verdi
oppure blu, quadrati
rossi: il
Mondo
investe il suo intimo
nel gioco
con le ore
nuove. –
Cerchi,
rossi
oppure neri, quadrati
tersi,
nessuna
ombra d’un
volo,
niente
geodesia,
nessuna anima di fumo
si leva e
sta al gioco.
Si leva e
sta al
gioco –
All’imbrunire,
impietrita
la lebbra,
fuggite
le nostre
mani, nel-
l’estremo
ripudio,
al di
sopra
del vallo
antiproiettile
presso il muro
interrato:
nuovamente
visibili:
i
solchi, i
cori, in
quel tempo, i
salmi. O,
o-
sanna.
Dunque
ancora
vi sono
dei templi. Una
stella,
certo,
ha luce
ancora.
Nulla,
nulla è
perduto.
O-
sanna.
All’imbrunire,
qui,
il
conversare, grigio come il giorno,
delle
tracce d’acqua profonda.
(– – grigio come il giorno,
delle
tracce –
Trasferito
nella
landa
dalla
inconfondibile
traccia:
Erba.
Erba,
divisa da
scritte.)
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