Perché “si fa” politica? La risposta idealizzata è: per senso di responsabilità. La formula è di Hans Jonas in un passaggio “minore” del suo capolavoro (Il principio responsabilità).
Teorie filiate dal realismo di origine machiavellica, invece, vedono nella passioni «umane, troppo umane» il motore della partecipazione alla politica. E questa visione disincanta è quella predominante anche nella vox populi, talvolta diventando suggestiva espressione del politico stesso di professione:
Teorie filiate dal realismo di origine machiavellica, invece, vedono nella passioni «umane, troppo umane» il motore della partecipazione alla politica. E questa visione disincanta è quella predominante anche nella vox populi, talvolta diventando suggestiva espressione del politico stesso di professione:
Dall'intervista di Clemente Mastella ad Antonello Caporale, «Il Fatto», 25 gennaio 2020 |
Mi viene in mente una scena simpatica di un film che, in maniera leggera, allude a tutto ciò.
Lo studio delle passioni umane attraverso il pensiero, la psicologia o l’arte mi ha persuaso che, al di là della fascinazione meramente materiale che la politica sollecita nelle persone, la possibilità di migliorare il proprio status economico sociale (dal famoso “gettone” di presenza per il consigliere comunale a salire) o la tutela, attraverso la presenza nella macchina comunale o statale, ci siano altre motivazioni per pertengono l’essere umano.
La prima è, ovviamente, l’esercizio del potere. Secondo la Weil, il mondo è dominato dalla forza (e per questo l’Iliade andrebbe fatta leggere a tutti: poema della forza). Ciò che nega questa legge (quando ad esempio, resto nel mio campo, un professore non utilizza l’asimmetria che c’è tra lui e il discente per vessarlo o umiliarlo) accade “il miracolo”, che annulla il potere della forza (agente con la stessa regolarità della gravità). La pratica della satyagraha è dentro questa intuizione, rompendo con la tradizione rivoluzionaria occidentale.
La seconda motivazione è il risarcimento che cerchiamo per aver fallito in altri ambiti della vita (i più importanti dei quali sono quello affettivo-relazionale e quello lavorativo).
Talvolta queste tre grandi molle dell’agire politico possono intrecciarsi, altre volte agiscono da sole: ad esempio, possono esserci politici che cercano solo di realizzare se stessi avendo fallito le proprie relazioni affettive o non avendo raggiunto gli obiettivi lavorativi che si erano prefissati.
2. Perché io ho fatto politica?
Come ho scritto spesso, in me la passione per la politica non è genetica. Nato in una famiglia democristiana, fino all’Università sono stato un qualunquista della peggior specie. Guardavo con reverenza e un po’ di invidia le personalità che percepivo come portatrici di istanze politiche dei miei anni liceali (qualche nome a caso: Antonio Romano, Antonio Carrino, Silvio Bozzi, Federico Paolucci, Nicola Savoia). Fu Roma a darmi le “basi” (e, probabilmente, la prima guerra del Golfo a scuotermi dal “sonno dogmatico). Da allora in poi, munendomi anche di teoria, la politica è stata un basso continuo della mia vita. Scorgo un filo rosso, talvolta ricostruito in ciò che ho scritto e fatto. Talvolta mi sono lanciato nell’agone: accadde alla fine degli anni Novanta. Quella stagione culminò in una (sbagliata oggettivamente e soggettivamente: ora lo capisco) candidatura a Sindaco con un’improbabile lista rosso-verde (intuizione di Gabriele Corona) e poi, in maniera strutturata, nel quadriennio 2014-2018 all’interno del M5S. In mezzo la brevissima esperienza di Alba, tanto proficua dal punto di vista teorico quanto velleitaria su altri fronti. Ne ho parlato altrove per chi fosse curioso. Se nella prima esperienza, quella “comunista” per così dire, agiva un profondo bisogno di “riconoscimento” da parte della città, vissuta come fu in un momento in cui vivevo in una precarietà che prima che economica (tra il fallimento di mio padre e i concorsi in svolgimento per entrare nella scuola) esistenziale, nella seconda, invece, che mi si creda o meno, agiva un senso di responsabilità. Nei confronti di mia figlia. Mi dissi, entrando in punta di piedi nel M5S, che non potevo accettare di lasciarle in eredità una città degradata nel “corpo” e nell’“anima”. Severo il mio giudizio sull’amministrazione Pepe, soprattutto il secondo quinquennio. Non a caso avevo dato per quel che potevo con Caterina ancora piccola una mano alla lista testimoniale Ora guidata da Antonio Medici (da un'idea di Gabriele Corona). Nello stesso tempo entrare nel M5S significava partecipare ad un grande progetto di trasformazione del Paese. Forse ingenuamente, pur alle soglie dei cinquant’anni, ho creduto che fosse possibile una politica “altra”, mossa da passione e responsabilità, vissuta come “servizio civile” a tempo (per questo ho sempre ritenuto fondamentale il limite ai mandati). Sappiamo come è andata a finire. Non ci torno su. Quando decisi senza tentennamenti di uscire dal M5S, annunziai che mi sarei dimesso anche dal Consiglio. Ci furono molte sollecitazione affinché rimanessi. Non ebbi mai dubbi però. Pacta sunt servanda. Avevo preso impegno con il Movimento. Lo rispettai. Anche su questo nessun pentimento. Anzi. Cosa sarei rimasto a fare? «Ma gli 800 voti sono i tuoi!». Quante volte ho sentito questa frase… Falsa: quei voti erano di un progetto politico ritenuto credibile in una persona. Venuto meno il primo elemento, il secondo sarebbe rimasto a testimoniare se stesso, senza più un orizzonte ideale.
3. Oggi a Benevento
Veniamo all’hic et nunc.
Mastella fa politica perché… non sa fare altro! Zoon politikon, mediocre amministratore, come ho avuto modo di dire, egli si esalta nella sfida, capace di resilienza nei momenti difficili ma pronto alla zampata mortifera al momento opportuno. Spesso chiamava me e Marianna Farese, prima dell’inizio del Consiglio, per parlare ma non di Benevento bensì dell’Italia, del quadro politico. Se dovessi provare un’analisi più approfondita direi che in lui si mescolano, spesso confusamente, il piacere di esercitare il potere con la matrice cristiana. Un passaggio della celebre intervista a Caporale è significativo.
Dall'intervista di Clemente Mastella ad Antonello Caporale, «Il Fatto», 25 gennaio 2020 |
Se devo azzardare un pronostico, io dico che riuscirà a chiudere l’alleanza con la Lega (che se verrà ordine all’alto sacrificherà anche Pina Pedà sull’altare del realismo) e con Fratelli d’Italia dove Federico Paolucci coerentemente da anni reclama la costruzione di un centro-destra organico a Benevento (le voci di Pasquale Viespoli e Ida Santanelli mi sembrano fuori dal coro e isolate, scontando per altro l’alleanza inspiegabile del 2011 con Mastella per sostenere Carmine Nardone: uno dei progetti politici più sgangherati mai visti nel Sannio).
A destra potrebbe esserci altro. Per esempio un rassemblement di tutti i delusi da Mastella che lo hanno spinto a forzare i tempi dimettendosi. Non so quanto spazio politico possano avere.
Dall’altra parte mi pare regni la confusione più totale.
Il Partito Democratico aspetta. Pare la drôle de guerre che seguì all’invasione tedesca della Polonia. Mastella sta già costruendo da settimane le sue liste, ha incamerato l’appoggio di Fratelli d’Italia, attende fiducioso quello di Ricciardi (o chi per lui). Il PD parla con una pluralità di voci, mentre nasce anche nel Sannio, un topolino politico, “Italia Viva”, sciagurata creatura renziana, che rischia di bruciare persone di spessore. Ancora non si fanno nomi… Eppure sarà brevissima la campagna elettorale. Si è parlato di Erminia Mazzoni (per bruciarla?), circola nei colloqui sottovoce quello di Luigi Diego Perifano, persona di grande preparazione non solo politica, che fu antagonista di Viespoli nel 1996. Ma niente che vada al di là delle chiacchiere. E soprattutto nihil novi sub sole... Nessun gesto. Si attende “la voce del padrone”. Una voce interessante, che ci riporta alla psico-politica. «Umberto [Del Basso De Caro: strano vezzo dei beneventani che lo chiamano tutti confidenzialmente per nome] vorrà prima o poi ricandidarsi [lo fu nel 2001] a Sindaco di Benevento perché tutte le famiglie più importanti della città hanno avuto questa carica». Il confronto, dunque, con il proprio retaggio. Mi pare affascinante.
Il Movimento 5 Stelle tace, come troppo spesso è accaduto in questi anni. La personalità più in vista, Marianna Farese, ha detto e ripetuto che le piacerebbe tentare un’esperienza alla Regione (ma con quali chance le dico con affetto e stima cresciuta nel tempo?). Al netto delle mine vaganti, animulae vagulae, piene di boria e null'altro, esistenti nella galassia pentastellata (a proposito di psicopolitica…), mi pare che l’inerzia di queste settimane denoti smarrimento. Solo Danila De Lucia (a titolo personale?) ha parlato affermando che è impossibile ipotizzare alleanze con il PD in città. E, dunque, cosa accadrà? Si riuscirà ad assemblare una lista (fu difficile anche nel 2016, in una fase ascendente del Movimento)?
Infine, lasciando da parte tutti i personaggi in cerca d’autore che metteranno su liste folkloristiche, rimane “Civico 22”, un soggetto nuovo per Benevento che cerca di mettere insieme due anime: quella cattolico-sociale e quella che si è radicata nell’esperienza di un centro sociale atipico in un quartiere “difficile”. Purtroppo, in questi giorni alcuni pezzi del progetto si sono persi per strada. Pasquale Orlando è diventato coordinatore di “Italia viva” (!) ed Ettore Rossi si è defilato (ci dirà il perché? La trasparenza non dovrebbe essere un obbligo per un movimento civico? Perché utilizzare il solito gergo incomprensibile della politique politicienne?). Insomma, apparentemente c’era la possibilità di vedere la “responsabilità” incarnata in un’esperienza nuova. Quali le perplessità che aumentano giorno per giorno? Prima di tutto la presenza attiva di personalità iconiche di un altro modo i fare politica. Se devo fare dei nomi, per evitare ambiguità, mi chiedo: ma Fausto Pepe (di cui pure ho ammirato la preparazione come amministratore) non rappresenta una stagione della politica beneventana che volevamo mettere definitivamente alle spalle? E Gabriele Corona (qui sarebbe particolarmente suggestiva un analisi sulle motivazioni all’agire) può reiterare in maniera compulsiva i suoi sempre identici comportamenti destinati non solo a fallire (perché poco conterebbe) ma a condannare possibili alternative? Insomma, possibile che si creda ancora ad una via “giudiziaria” al cambiamento di questa città? Si badi: non sto dicendo che alcune azioni non vadano perseguite. Al contrario! Giusto (e meritorio) denunziare (e con indubbia preparazione). L’errore è nel credere che questo si traduca ipso facto in un progetto di trasformazione della politica e della città.
Quel che ho detto e mi sento di dire, dunque, ad Angelo Moretti, possibile risorsa in prospettiva, è di non bruciarsi ora; di provare a costruire (ma senza compromessi!) un movimento civico (com’era nel progetto originario) che possa maturare nel tempo, dando ai cittadini l’opportunità di familiarizzare con volti e proposte.
4. E io?
La domanda classica degli amici e dei semplici conoscenti è: «Tu che farai?». Il retropensiero è: «Tu hai 800 voti!». Premesso che, lo ripeto, quei voti non sono miei (e che forse li ebbi anche perché non penso con le categorie usuali, cioè in termini di consenso e potere), torno all’inizio, alle motivazioni. In questo momento storico non c’è alcuna ragione ideale “alta” per fare politica. La fine del Movimento 5 Stelle, l’assenza in Italia di un “populismo” sano e intimamente “rivoluzionario” (e gentile) rende vano qualunque impegno che non sia lo studio e il contributo alla comprensione del mio tempo (anche nel sedicesimo che è questa piccola città di provincia che amo). Al di là di qualche acciacco fisico, sono all’ἀκμή della mia esistenza, nella pienezza degli affetti familiari e amicali, nella gioia quotidiana di un lavoro gratificante. Perché dovrei mettere in discussione tutto questo? Ho sempre pensato che la vita felice dipenda dalla qualità delle relazioni, non dal denaro. Ringraziando il cielo, nel mio ruolo di docente ho tutto il riconoscimento di cui un uomo ha bisogno. Per indole ed educazione cristiana (cui sono grato), il potere mi ha sempre suscitato diffidenza. Il mio servizio civile l’ho svolto, bene o male. Resterebbe solo la salus rei publicae, la minaccia per la sopravvivenza della comunità. Ma davvero è quello che rischiamo?
Dunque, mi appare doveroso continuare a svolgere il mio lavoro di educatore, contribuendo a plasmare (non a plagiare!) le teste delle giovani menti che il caso mi pone davanti. A pensare, a scrivere, a organizzare incontri di riflessione. Si parva licet, ad essere un tafano per l’asinello pigro che è Benevento.
Ogni nostra parola (finanche queste, scritte su un piccolo e insignificante blog) e ogni nostra azione modificano il campo politico, che per definizione è mobile. Non so cosa accadrà domani.
Avremmo bisogno, però, di donne ed uomini che credano e pratichino la politica come servizio, che la saldino di nuovo con l'etica e la nutrano di linfe spirituali. Le tentazioni sono sempre in agguato. Continuare a credere che tutto questo sia possibile è il mio contributo attuale alla vita della città e del Paese.
Avremmo bisogno, però, di donne ed uomini che credano e pratichino la politica come servizio, che la saldino di nuovo con l'etica e la nutrano di linfe spirituali. Le tentazioni sono sempre in agguato. Continuare a credere che tutto questo sia possibile è il mio contributo attuale alla vita della città e del Paese.
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