Passata l’ebbrezza, anch’essa, come per il Natale, legata soprattutto ad esigenze di consumo, del giorno degli innamorati (anche se commuove sempre vedere un adolescente che porta i fiori davanti alla scuola alla sua bella), ho riflettuto sulla tragedia costituita dall’amore.
I media celebrano l’anniversario di un libro, L’erotismo, di un intellettuale molto discutibile, soprattutto oggi, Francesco Alberoni: imbarazzanti i suoi brevi articoli sulla prima del «Corriere della Sera», imbarazzante la sua carriera. Ma le pagine iniziali di quel libro dicono una verità profonda: la differenza radicale tra maschio e femmina, declinata non nel senso della complementarità ma dell’incomprensione. Sia chiaro: non è un destino. Ma se uomo e donna non sono complementari, la relazione amorosa è – come ripete spesso Galimberti – un’opera d’arte che va costruita ogni giorno. Dobbiamo, dunque, liberarci del potente mito platonico secondo cui siamo metà alla ricerca di un completamento, mito che continua ad operare nel profondo, se utilizziamo ancora espressioni come «la mia metà». E, dunque, appare quanto mai necessaria una vera e propria educazione erotica che, partendo dalle radicali differenze corporee (e quindi dei meccanismi della gratificazione e del piacere) si allarghi fino ad una educazione psicologica e spirituale. L’uomo e la donna sono estranei, sconosciuti l’uno all’altro: ciascuno proietta le proprie attese, i propri desideri, spesso rifiutandosi di vedere l’altro, ciascuno “mente” (in buona fede e a fin di bene) ostentando di sé la parte che ritiene più “nobile” allo sguardo dell’altro. E così inizia una lunga storia di menzogna che svuota di senso buona parte delle relazioni.
Per questo appare quanto mai necessaria una vera e propria riforma educativa che metta l’educazione sentimentale ai primi posti. Se la storia dell’umanità è piena di sofferenza è anche perché uno degli eventi fondamentali della vita, una compiuta relazione con l’altro, si realizza male o non si realizza affatto.
P.S.
Scrivendo mi rendevo conto di una clamorosa assenza nel mio discorso: l’amore omosessuale. A rigore, anzi, esso, se è vero quello che scrivo, sarebbe l’unico amore che potrebbe aspirare alla perfezione (questo dice, ad esempio, il Fedro platonico nel Simposio, parlando di Ettore e Achille). Ma non sono in grado di affrontare la questione con cognizione, anche solo teorica, libresca. E si aprirebbero poi altri fronti: se quello omosessuale fosse l’amore perfetto ma manchevole dei figli, la natura potrebbe e fino a che punto essere corretta dalla tecnica, rendendo possibile divenire padri e madri? E quindi, con un gran mal di testa, rinunzio a questa seconda parte della riflessione, aspettando illuminazioni.
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