lunedì 6 dicembre 2010

diario occupazione III


Sabato 4

In mattinata è previsto il corteo di tutte le scuole. Leggo il manifesto che lo lancia. Ne condivido alcuni punti, non la chiamata finale, di chiara matrice anarchica, al blocco delle città, alla rivolta generalizzata. Gli anarchici hanno un grande potere di penetrazione in un ambiente oramai totalmente deideologizzato come quello della scuola, e riescono facilmente ad imporre le loro parole d’ordine.
Faticosamente, nel primo pomeriggio, riesco a ricostruire quanto è accaduto la mattina, dopo notizie confuse che giungevano da ogni parte: gli occupanti del Classico avevano deciso di cessare l’occupazione, come concordato con la Dirigente; saputa la notizia i manifestanti erano confluiti in massa a Piazza Risorgimento. Alla fine il Liceo è stato lasciato. Mi scriverà poi più tardi uno dei rappresentanti d’Istituto della volontà di rilanciare, in altre forme, protesta e rivendicazioni. Bravo!
Alle 15 con le due colleghe che più intensamente hanno creduto alla bontà e alla maturità dell’autogestione andiamo a parlare con i ragazzi del Rummo. Ci sono le varie “anime” dell’occupazione. Con molta chiarezza esponiamo la nostra posizione: è stato un successo, nei contenuti e nel messaggio lanciato alla città, ora si abbandona questa forma di protesta e si trattano delle “riforme”, si creano dei tavoli di discussione a livello di istituto e di città per una vera autoriforma della scuola. Noi, in caso contrario, non garantiremo più la nostra presenza e il nostro supporto. Alcuni capiscono il senso del nostro discorso, lo condividono, ma sono netta minoranza. Vado via con l’impressione, condivisa, che tra molti degli occupanti, soprattutto dopo quella che è stata percepita come “caduta” del Classico (e che, invece, è stato un atto responsabile, maturo), si sia diffusa una sorta di “sindrome da Termopili”: «Liceali, godetevi la vostra colazione…». Intanto non hanno organizzato nulla di interessante: si canta e si gioca a carte… Sono molto perplesso.

Domenica 5

Continua l’incertezza. Navigo tra profili, scrivo, chiedo informazioni, mi sento con le colleghe. Non possiamo semplicemente lavarcene le mani: lo dobbiamo ai nostri alunni, che tali restano anche se assumono, dal nostro punto di vista, posizioni sbagliate. Credo, inoltre, che la realtà sia dialettica, che ogni nostra azione la modifichi, quindi non mi rassegno.
Alle 10 mando un messaggio a tutti i miei alunni, in cui spiego quanto accaduto il giorno prima: «Abbiamo detto loro che ritenevamo un successo quanto fatto, a patto che l’occupazione terminasse il fine settimana e si discutesse con il Dirigente per avere, nel corso dell’anno, degli spazi di cogestione. E che, invece, rimanere in attesa dello sgombero con la forza avrebbe vanificato quanto di buono fatto». Lo inoltro anche ai leader della protesta, o quelli con i quali ho maggiormente interloquito in questi giorni. Nel pomeriggio viene convocata un’assemblea alle 16. La maggioranza decide di proseguire sine die l’occupazione. Le ragioni della minoranza suscitano irritazione e reazioni vibranti. I ragazzi mi scrivono. Sono amareggiato.
Dopo cena vado a scuola. Non entro, ma chiedo ai ragazzi di smontare le mie cose lasciate a scuola (l’amplificatore, le casse…). Qualcuno di loro chiede conto del mio mutamento di posizione: rispiego le cose dette il giorno prima. Mi sembrano confusi. Chiedo: qual è il vostro obiettivo? «Arrivare fino al 14… la caduta del Governo… l’affossamento della Legge Gelmini…». In bocca al lupo. «Vi dimostreremo che sapremo organizzare attività importanti anche senza l’aiuto dei professori». Ne sarei molto felice. È quello che ho sempre desiderato.
In bocca al lupo, Spartani. Speriamo che nessuno di voi debba cenare il pane amaro d’un prosaico Ade…

5 commenti:

nicola ha detto...

minchia, la gufata finale è tremenda °_°

Errico Malatesta ha detto...

Sguera si riconferma l'intellettuale radicalchic e pompiere di sinistra qual'è (e che insieme a qualcun altro purtoppo infesta la nostra città). Quello che legge Proudhon ma dimentica che "la proprietà è un furto"; quello che parla di "decrescita", e pensa che basti andare in bicicletta per fare in modo che le multinazionali del petrolio smettano di imporci bisogni e merci; quello per cui la radicalità deve essere sempre simbolica e non debba mai andare oltre i limiti sanciti dai padroni e dalle istituzioni; quello che parla di autogestione ma in realtà vuole sempre che trionfi la democrazia e cioè la delega e la dittatura della minoranza eletta dalla maggioranza (di pecore); quello che si rende conto di ciò che significa la depoliticizzazione dei giovani, ma è subito pronto a gridare "al fuoco" se la politicizzazione è di matrice libertaria ed egualitaria; quello che fa le lezioni sul compagno De Andrè e dimentica le sue canzoni sulla "...signora Libertà, signorina Anarchia..."

Nicola Sguera ha detto...

@Nicola: ahimé, la mia profezia si è tristemente realizzata.
@compagno Malatesta: grazie, le cose che scrivi sono i migliori complimenti che abbia mai ricevuto nella mia vita. Continuerò a leggere i vostri fogli, talvolta intelligenti, talvolta deliranti; e a seguire le vostre proposte, seguendo, con la mia testa, la mia strada.

Nicola Sguera ha detto...

Dimenticavo di dire al compagno Malatesta che nella lectio brevis che ho fatto su De Andrè non solo non ho dimenticato di ricordare la sua "militanza" anarchica, ma ho evocato la figura di Riccardo Mannerini, raccontando brevemente quanto fu importante nella sua produzione e nella sua evoluzione culturale. Il verso che il Malatesta evoca è tra i miei preferiti di una canzone tra le miei prefereti...

Nicola Sguera ha detto...

Dimenticavo di dire al compagno Malatesta che nella lectio brevis che ho fatto su De Andrè non solo non ho dimenticato di ricordare la sua "militanza" anarchica, ma ho evocato la figura di Riccardo Mannerini, raccontando brevemente quanto fu importante nella sua produzione e nella sua evoluzione culturale. Il verso che il Malatesta evoca è tra i miei preferiti di una canzone tra le miei prefereti...