Pur prendendo spunto dalla lettura del libro di Adolfo Scotto di Luzio, questo breve elenco di film legati alla mia Bildung è assolutamente soggettivo. Non ha alcun valore esemplare, e serve solo, più di trent’anni dopo, a spiegare perché sono diventato ciò che sono.
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Metto da parte ciò che mi ha formato prima, dove si confondono in maniera inestricabile due cose: prima di tutto, la visione “guidata” domestica (un solo televisore da guardare tutti insieme) di film dagli anni Quaranta ai Sessanta con la predilezione di commedie leggere ma anche grandi produzioni (su tutte ricorderei Via col vento e Ben Hur). Mia madre era guida sapiente. Quell'immaginario mi ha plasmato. Ne avrei poi intuito i limiti (talvolta clamorosi). Ma resto riconoscente sia a quei contenuti sia a quelle forme sia al modo in cui vedevamo cinema. D'altronde, ci sarà un motivo se La vita è meravigliosa resta il mio film, e James Stewart l'eroe che più di tutti vorrei essere. L'altra modalità era evidentemente il cinema, sempre in compagnia. Un ruolo decisivo lo ebbero i cineforum organizzati dalla dott. ssa Zanin, una meravigliosa figura di educatrice della nostra comunità (di origine veneta a cui bisognerebbe intitolare qualcosa), al Supercinema. Se devo scegliere un genere che adoravo direi i film con Bud Spencer e Terence Hill, in particolare Altrimenti ci arrabbiamo.
Entrando negli anni Ottanta, metterei al primo posto, per
importanza (pochi giorni dopo la morte di Ian Holm), Momenti di gloria (1981) di Hudson. Per me, cattolico,
frequentatore dell’Azione cattolica, era l’indicazione di un modello “eroico”
che trova, con Liddell, in Dio la forza per vincere in nome di un ideale e, nel
contempo, non fa della gloria motivo di amplificazione del proprio ego. Le
musiche di Vangelis ebbero, ovviamente, un ruolo decisivo nel mio
innamoramento.
Nello stesso anno vidi Excalibur di Boorman. Sicuramente accadde al Massimo con mia madre. Ricordo che all’uscita incontrammo il venerando Gianni Vergineo. Questo film incrociava tutto ciò che ero: la passione per la figura dell’eroe e in particolare del cavaliere, i temi religiosi. Ancor oggi lo trovo un film bellissimo, in cui fotografie e musiche wagneriane contribuiscono a riprodurre gli stessi brividi di allora.
Sempre in quell’anno, anche se l’ordine potrebbe essere sbagliato, e sicuramente con mio cugino Raffaele per il quale divenne una vera e propria ossessione da trasformare in fumetti e disegni, vedemmo 1997: fuga da New York di John Carpenter. Siamo di fronte ad uno dei grandi “minori” del cinema americana. Col senno di poi, potrei dire che fu il nostro Per un pugno di dollari. E Iena/Snake il nostro eroe “maledetto” in una feroce distopia che metteva in scena mirabilmente le mostruose trasformazioni metropolitane. Forse è stato il primo film “politico” che inconsapevolmente ho visto. Avrebbe potuto fare di me un anarco-individualista…
Segue, anche cronologicamente, Conan il barbaro (1982) di
Milius. Io, come chi mi segue sa bene, sono cresciuto a pane e Marvel. Quindi
Conan era un personaggio scolpito nel mio immaginario, sia nella versione “preraffaellita”
di Windsor-Smith sia in quella michelangiolesca di John Buscema. Vederlo a
cinema incarnato nel corpo erculeo di Schwarzenegger fu shoccante. Alimentò il
mito dell’eroe solitario, del guerriero, che mi portavo segretamente, come
antitesi di tutto ciò che ero (un bolso ragazzino pavido). Mi chiedo, col senno
di poi, perché non sono diventato un fascista… Ce n’erano tutti i presupposti!
Nello stesso anno, credo al San Marco, vidi (immagino con Luca) Blade Runner, film destinato ad incidere come nessun altro nella mia vita. Oltre alle emozioni che mi diedero la fotografia e le musiche (ancora Vangelis!), oltre all’innamoramento per Sean Young, con i suoi abiti e le sue pettinature retrò, oltre alla Los Angeles perennemente battuta dalla pioggia e alla promessa di un orrido futuro di malattie e devastazione del pianeta, per la prima volta ebbi un pensiero (poi l’avrei definito “filosofico”) mio. Avevo quindici anni. Ricordo che ci scrissi su un tema. La domanda radicale, che avrebbe scavato nel profondo, incrociandosi pochi anni dopo con altre interrogazioni sul mondo animale, era: possono esistere esseri non umani che hanno sentimenti, hanno anima? Posso dire che quel film ha segnato il mio ingresso in un mondo più adulto.
Inutile dire che in mezzo (o poco prima) ci sono tantissimi film visti a cinema o in televisione: la trilogia di Guerre stellari, i film di Indiana Jones, Ritorno al futuro, lo Spielberg di E.T. che poi avrei scoperto come immenso autore “etico”, la scoperta di David Lynch (con Elephant Man e Blue Velvet), Gilliam e Wenders, Kubrick e l’ultimo Leone. Molti di questi autori però li avrei conosciuti seriamente solo dopo, grazie anche a "Fuori orario", alle videocassette che costituirono la mia prima cineteca personale (è ancora in campagna, inscatolata e inguardabile… cosa ne farò?).
Chiudo idealmente i miei anni Ottanta cinematografici con un film visto a Roma, con il mio amico Tullio, film che mi avrebbe segnato, di un autore di cui avrei imparato ad amare molto altro, ma che mi diede gli strumenti per capire cosa volevo essere. Parlo de L'attimo fuggente. In quegli anni, studiavo Lettere a Roma. Vedere il prof. Keating stravolgere i metodi tradizionali di una veneranda istituzione scolastica mi suggerì che, sì, anch’io avrei fatto lo stesso… Quel film continua ancor oggi ad interpellarmi, e ogni volta che vedo quei ragazzi salire sui banchi per omaggiare quell’omino sconfitto, interpretato da un meraviglioso Robin Williams, non posso non commuovermi, come quando vedo John Merrick sistemare il cuscino prima di morire, Parsifal liberarsi dai suoi peccati per essere degno del Graal, Eric Liddell parlare con Dio mentre corre verso il traguardo dei quattrocento metri a Parigi, Roy Beatty stringere in mano una colomba e meditare sulla sua breve e fiammeggiante esistenza.
1 commento:
Avresti dovuto ricordare anche i film muti in bianco e nero visti alla Casa dello Studente di Via de Lollis (tra un tentativo di fare il calciatore su un campo di terra battuta e le lezioni di Santo Mazzarino sul “Pensiero storico classico” e di Giovanni D'Anna su Titiro e Melibeo e la concezione dell'amore di Virgilio). Ma io non dimenticherei nemmeno le rassegne su Andrei Tarkovsky sempre alla Casa dello Studente e le pellicole divorate al Tibur di San Lorenzo. Ne cito un paio esemplari: “Gli occhiali d'oro” con Rupert Everett e Philippe Noiret e “La vita e niente altro” di Bertrand Tavernier. Credo di aver condiviso anche queste cose con te. Personalmente potrei aggiungere i film visti a Massenzio, un paio su tutti: “Il pranzo di Babette” di Gabriel Axel e “Dracula” di Francis Ford Coppola, sui quali potresti tenere una conferenza a prescindere dal fatto che tu li abbia o no visti con me. A presto, amico mio. Tullio
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