domenica 21 giugno 2020

53... e sentirli tutti (con gratitudine)[a day in the life]


Ieri ho compiuto 53 anni. I cinquanta sono stati una soglia critica, soprattutto dal punto di vista fisico. E l’anno scorso, proprio tra maggio e giugno, è venuta fuori l’ernia al disco che ha posto fine alla mia carriera di calciatore della domenica, alle corse, insomma a quella sfida tacita con il tempo che avevo ingaggiato da un po’, rendendomi consapevole brutalmente che niente dura per sempre, che un filo segreto tessuto dall’infanzia era oramai reciso. 
Sono in vacanza. Rosaria ha finito la scuola con i consueti patemi, parte integrante del suo modo ansioso (e ansiogeno) di viverla. Caterina ha concluso la sua esperienza triennale alle medie. È cresciuta tanto, e di questo sono grato a tutti i docenti che ha avuto. Soprattutto nel carattere. Sono felice che viva la scuola (a differenza della madre!) senza ansie eccessive, avendo interiorizzato alcuni messaggi che ho cercato di trasmetterle da quando è piccola: i voti non hanno alcuna importanza, sia buoni sia cattivi, bisogna andare in classe con il piacere di stare con gli altri e di apprendere ogni giorno cose nuove, la competizione è sbagliata. A settembre sarà al Giannone. Mamma mia! Terza generazione, grande responsabilità per me. 
Ho passato la mattina, dunque, dedicandomi alla lettura. Oramai leggo quasi esclusivamente sul pc (tranne che d’estate, tempo in cui recupero la carta in tutti i sensi), quasi sempre con un sottofondo di musica per teorba, viola da gamba o neoclassica (Bavota e Plano le scoperte migliori degli ultimi mesi). Ci sono meravigliosi programmi (come Wondershare) per sottolineare e appuntare i testi. Ora sto completando Comunismo necessario. È una galassia di autori alcuni dei quali (Negri e Hardt in particolare) sono stati decisivi in un momento della mia vita (a cavallo del millennio). A partire dalla crisi del 2007, però, c’è stato uno spostamento significativo che mi ha portato altrove, molto lontano, addirittura, direi, agli antipodi, rivalutando, via Latouche e teoria della decrescita, il ruolo dello stato nazionale nell’arginare le spaventose conseguenze di una globalizzazione priva di controllo politico, sradicante e produttrice di iniquità inaccettabili. Eppure sto trovando nel libro tanti spunti di riflessioni (ho addirittura iniziato a scrivere un Manifesto politico per il XXI politico preso da una delle mie frequenti manie di grandezza che quasi sempre si risolvono in progetti abbandonati e dispersi nelle migliaia di cartelle del mio computer-archivio). Malgrado proprio qualche giorno fa Salvatore Esposito (durante la presentazione del libro di Amerigo Ciervo) mi abbia definito post-marxista, il confronto con l’autore del Manifesto resta decisivo (anche se la sua scrittura e la sua terminologia continuano, ancora dopo tanti anni, a respingermi istintivamente, e quest’estate vorrei leggere seriamente Gramsci). Così come la riflessione sul 1917. Il tema che mi appassiona di più, e torna spesso (per esempio in Dardot) è quello dei poteri: Stato e contro-poteri dal basso. Mi pare che il limite maggiore di questa costellazione teorica, però, che è tutto dentro il marxismo, sia la sottovalutazione della questione ambientale. Riesce ad integrare le altre grandi questioni emerse dopo Marx (“razza”, genere) ma si nota a pelle che in tutti gli autori manca del tutto una sensibilità ecologica, che invece in me è genetica dell’impegno politico. Il prometeismo di Marx sembra essere inestirpabile.
Intanto arrivavano tantissimi auguri… Io mi sento sempre indegno dell’affetto o della stima delle persone. In me convivono due persone: una fortemente relazionale, l’altra “lupesca” e solitaria, che vorrebbe essere dimenticata e sconosciuta a tutti. È uno dei tanti aspetti della mia “dualità”, che ho imparato ad accettare come costitutiva del mio essere (da alcuni anni mi appunto in un file le “strutture psichiche profonde” che individuo in me, e questa è certo quella più importante). 
Poi mi sono messo a preparare qualcosa per pranzo, mentre Caterina mi cucinava crepes vegane, e mia moglie mi aveva giù tornito una magnifica torta, anch’essa vegan a base di latte di soia, panna vegetale, cioccolato fondente. È stato bello spegnere le candeline con le persone che mi sono più care, mia figlia, mia moglie, mia cognata. Peccato mancassero Anna e Rosa con mariti e figli… Ogni compleanno diventa importante nella seconda parte della vita perché non sappiamo quanti il destino ce ne riservi ancora. La scomparsa prematura di Gerardo e Giovanni, che ricordo la sera nelle mie preghiere, in questi tristissimi mesi è lì a ricordarmelo.
Rosaria nel pomeriggio è andata a San Cumano per le grandi pulizie. Io, come quasi sempre oramai, mi sono riposato. Al risveglio sono andato in bici, unica attività oramai consentitami in maniera blanda dalla schiena, a Piano Morra, una bella zona di campagna vicino casa. Vengono sempre bei pensieri (per esempio, scrivere una tantum questa pagina di diario in pubblico). 
Ho ascoltato un pezzo dell’intervento di Dolores Morra per l’Anpi. Come sempre pieno di poesia e di voli pindarici. Mi ha fatto scoprire una cosa della Gualtieri notevolissima e una canzone meravigliosa di Nina Simone, tra l’altro. 


Nel tardo pomeriggio, ho raggiunto Rosaria in campagna. San Cumano, insieme a svariate centinaia di ettari di terra, fu acquistata dal mio bisnonno Gioacchino Zolli. Era parte del patrimonio ecclesiastico. Erano gli anni Ottanta dell’Ottocento. Per me è divenuta importante dal 1974, quando vi trascorremmo la prima estate. Era un’enorme struttura fatiscente, con un solo rudimentale bagno. Ma fu amore a prima vista. Non potrei pensare la mia vita senza un luogo cui non a caso ho dedicato Nel chiaro mondo. Nella sua aria, nelle sue pietre, nelle sue erbe che crescono incontrollate sento la presenza di mia madre e di Maria. Nel suo silenzio mi riconcilio con la realtà ogni estate, risano ferite. Nel 1984 vi ci trasferimmo definitivamente, abbandonando la città. Nel 2001 la “tradii”, tornando in città. Qualche anno dopo, per, fortuna, abbiamo ripreso la sana tradizione di famiglia di viverla d’estate. 
In serata, quasi per caso, ho visto un film di Woody Allen


Non lo facevo da parecchio. È stato regista importante nella mia formazione. Da subito, mi sono messo in atteggiamento critico. Mi infastidiva tutto. È davvero, pensavo alla fine, cartina di tornasole di uno sfacelo senza redenzione. È come se, dopo la tensione che ne animò una fase (penso in particolare a Crimini e misfatti) domini la rassegnazione ad un esistente corrotto. Il mondo è una vecchia prostituta imbellettata, che ha fatto dimenticare la sua origine e gioca a fare la donna di cultura, una festa di anziani capitalisti che aspettano di morire nelle loro case meravigliose e finte, registi che recitano all’esistenzialismo, che camuffano il loro arrapamento per una ragazzina decerebrata con nobili pensieri. E l’unica via di fuga è un tardo-romanticismo d’accatto… Non so, è probabile che Allen sia sempre stato questo, e che io sia cambiato. Possibile. Alla fine, mi veniva in mente un verso di Eliot, con variazione: «Così finisce il mondo / Non in un baccano ma in un piano bar». Quella eleganza mortifera di mostre e alberghi di lusso… Come dice mia moglie, sono un campagnolo irrimediabilmente. E un provinciale. E ringrazio Dio per questo. 
Insomma, una bella giornata piena di affetti, di abbracci, di attenzioni (anche da lontano), di pensieri, di respiri, di note. Una giornata ariosa di cui essere grato (la gratitudine è un altra delle strutture fondanti la mia psiche, forse la base stessa della mia fede).

«I got my arms, got my hands
Got my fingers, got my legs
Got my feet, got my toes
Got my liver, got my blood
I've got life, I've got my freedom
I've got life
I've got the life
And I'm going to keep it
I've got the life».





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