La videolettera è nata dal commento di Teresa Simeone (amica e collega, nell'ordine) ad un mio pezzo apparso sul «Vaglio».
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Questo il commento su FB di Teresa:
«Caro Nicola, confesso di essere un po’ imbarazzata, anche se non sorpresa, dal tuo articolo, soprattutto perché scritto da un pensatore che si è sempre dichiarato ferocemente critico, anzi del tutto contrario, al dominio della tecnologia. Se le tue esternazioni degli ultimi anni contro la sindrome prometeica sono genuine, e lo sono, faccio fatica a capire la difesa del digitale che dello sviluppo tecnologico rappresenta il prodotto più sofisticato. Sembrerebbe quasi che si siano invertiti i ruoli tra me, che di solito difendo, criticamente sì ma lo faccio, i successi dell’intelligenza umana, e te che ne neghi, insieme alla hybris, anche il valore.
Apprezzo il tuo attivismo e l’utilizzo capace del mezzo informatico, mezzo informatico che padroneggi benissimo, grazie a uno studio continuo dei suoi progressi, altra parola che hai espulso dal dizionario linguistico ma che mi pare fortemente presente nel tuo vocabolario concettuale di docente. Vorrei, perciò, che mi spiegassi nel dettaglio in che modo una video-lezione possa essere migliore di una lezione in presenza, dal momento che frontale è la prima e frontale la seconda, con la differenza che la seconda è realmente interattiva e si rivolge a esseri umani e non a un monitor.
Forse, caro Nicola, a forza di rendere attraente la lezione abbiamo finito per ridurre lo studio a un passatempo, negando all’approfondimento e allo sforzo il loro valore formativo. In che modo realizzare un video amatoriale aiuta a rendere più acuto il pensiero? Più ampio sì, più versatile ma non credo più profondo. A me pare, onestamente, e lo dico da docente progressista e umanista, che la capacità critica non sia stata potenziata da una scuola più allettante e facile, anzi che questi elementi, che avevamo auspicato - io per prima, lo confesso - abbia reso tutto più superficiale, inconsistente, effimero, apparente. Come le vetrine di questi ultimi mesi in cui le scuole hanno fatto a gara, mentre soffrivano persone e morivano cari, a “produrre” elaborati, filmati da proporre sui loro siti in linea con quella che si critica come “Buona scuola” ma nella quale si finisce per essere perfettamente integrati.
Nulla concede la vita senza grandi sforzi, chiudi. Appunto: forse, dopo l’ubriacatura del “tutto dev’essere facile e gradevole”, è tempo che si ricominci a rimanere sulla sedia e a studiare come una volta, lasciando da parte i giochi e aprendosi alla fatica dell’impegno.
Scrivi che la DaD può diventare una risorsa: personalmente, al di là dell’emergenza e di poche situazioni straordinarie ( ospedalizzazione, località impervie lontane da scuole, incapacità di ascoltare relatori in presenza), non vedo tanta rivoluzione pedagogica. Dobbiamo rendere propizia la catastrofe? Ma perché? Cosa significa, nella pratica? Un conto è utilizzarla perché non ci sono alternative, un altro proporla addirittura come turning point. A me pare che a volte si faccia esercizio puramente linguistico e che si sia più innamorati delle parole, suadenti e dolcissime, che non di quello che significano.
Un’ultima riflessione sui libri di testo. Il metodo scientifico, che tu tanto aborri, prevede che non si bocci a prescindere una teoria ma la si sottoponga a verifica sperimentale. Così ho fatto io in passato: mi pareva una grossa opportunità sganciare l’insegnamento dalla dipendenza ai libri scolastici, permettendo agli studenti di non spendere trenta euro per un testo che, sommati a quelli per tutti gli altri, avrebbe gravato fortemente sul budget delle loro famiglie. Ho così rinunciato ad adottarne uno e iniziato a cercare brani, pezzi di opere da proporre. A un certo punto mi sono resa conto, in particolare per la Storia, che gli studenti non riuscivano ad avere una linea temporale continua e definita, che procedevano a scatti e che non riuscivano a contestualizzare correttamente gli eventi. Spesso si affidavano a Internet dove, come sai, manca una guida attendibile e autorevole. Neppure l’aspetto economico veniva salvaguardato dal momento che risultava essenziale stampare, per poterle meglio studiare, le parti che si proponevano, con l’effetto di costringere i ragazzi ad accumulare carte senza avere un libro ordinato e rilegato da consultare: solo un mare di fotocopie, slegate e disorganiche. Ma l’interrogativo più importante riguardava, oltre l’attendibilità dei saggi proposti, il taglio dato dal docente. Mi spiego: nel momento in cui rifiuto un libro accreditato da storici importanti, il cui valore è stato testato da professionisti (i docenti) e da fruitori (gli studenti) che di volta in volta con le loro osservazioni lo hanno migliorato, lo faccio perché, evidentemente, propongo una mia lettura della storia. A prescindere dal fatto che in un libro di testo, come sai, ci sono parti antologiche scelte, spezzoni di film, video didattici e brani di saggi autorevolissimi, che possiamo utilizzare, ignorare o sostituire, ma come potrei mai pensare che la mia chiave di lettura sia migliore di quella di un Sabbatucci o di un Barbero o di un De Luna? Con tutto il rispetto per l’autonomia della ricerca, mi sento una formica di fronte a questi storici e presuntuosa nel proporre agli studenti una visione alternativa, negando quella di ricercatori che non sono semplicemente studiosi di storia ma storici veri e propri. Per questo motivo, dopo aver sperimentato, sono tornata a proporre un libro di testo. Serio sì e a difesa di fake da web, oggi tanto pericolose. Lo consulto pochissimo ma rimane una guida, un insieme di tracce fondamentali per i ragazzi che una visione storica ancora non ce l’hanno e, prima di destrutturarla, se la devono strutturare. So già che molti bolleranno come retrive queste posizioni ma, come facciamo entrambi da sempre, noi procediamo secondo ciò che ci sembra giusto. Ti saluto caramente e ti auguro un buon ritiro».
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