La bella e densa risposta di Teresa Simeone alla mia videolettera.
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Veniamo al merito della nostra interlocuzione Mi fai prigioniera di un equivoco che definisci manicheo, non essendo io capace di cogliere sfumature, e rimanendo così nella dicotomia progressista o antiprogressista, razionalista o antirazionalista; ti faccio presente, però, Nicola, che sei sempre stato tu a dichiararti contrario a ogni forma di progresso e addirittura a contestare, come hai fatto più volte nel passato, il ruolo della ragione: ricordi quando a me, che riportavo l’incisione di Goya sul sonno della ragione come generatrice di mostri, rispondevi che in realtà è il “sogno” della ragione a esserlo? Oppure quando arrivavi a sminuire il ruolo della filosofia kantiana o le forme di evoluzione storica bollando la prima come responsabile di una visione illuministica negatrice del ruolo di ogni altra facoltà e la seconda come storicismo giustificatore di ogni nefandezza? Naturalmente nel momento in cui discutevamo, le posizioni si chiarivano ma nello stesso tempo si radicalizzavano. Sorrido al pensiero di quante volte, nell’evocare la necessità del conflitto, ovviamente di matrice eraclitea, mi rimproveravi di essere troppo “irenica”.
Non ritorno sulle riflessioni a proposito della tecnica che abbiamo fatto insieme su Heidegger, al quale, come sai, ho sempre riconosciuto - e come sarebbe potuto non essere altrimenti? - profondità di analisi e un acume speculativo elevatissimo che, però, lo hanno reso anaffettivo e ancor più pericoloso nelle sue scelte. Sono felice che, alla fine, abbiamo convenuto su ciò da cui eravamo partiti, e cioè che ogni strumento “umano” richiede consapevolezza dei suoi limiti e utilizzo intelligente e che in sé nulla è positivo o negativo anche se neppure del tutto neutrale. Però, perdonami, non si può negare, in nome del dominio sulla natura che la capacità dell’uomo di produrlo determina, il valore di tale tecnologia e poi utilizzarla opportunisticamente per impiegarne gli effetti adattabili alla nostra visione del mondo, fino a proporli non solo come necessari in tempi di crisi ma addirittura come volano per una probabile e auspicata rivoluzione pedagogica. Non dobbiamo essere servi di una coerenza che, insieme alle contraddizioni, annullerebbe anche il dinamismo del pensiero, però neppure si può cedere alle tentazioni del momento senza collegamento col pensiero precedente e senza proiettarsi nel futuro, ipotizzando gli scenari successivi. Credo che tu, senza essertene reso del tutto conto, ti sia collocato esattamente sulla scia di quel progresso che finora hai criticato. Certamente, concordo con te, che anche un video rappresenti una forma di comunicazione: tutto è comunicazione, anche il silenzio che potrei scegliere in questo momento. Ma il problema non è quello di ricorrervi accanto alle lezioni de visu: sono consapevole che ogni forma di video aiuta, ci mancherebbe altro! e che una lezione filmata, cui tra l’altro anch’io ho fatto, faccio e continuerò a fare ricorso, sia un supporto e un’integrazione. Tutto quanto possa chiarire, stimolare, proporre modalità nuove è percorribile perché, tra l’altro, va a stimolare funzioni diverse della nostra organizzazione sensoriale e mentale – pensa con i sensi, senti con la mente – ma ciò che critico è questo innamoramento per una formazione a distanza anche quando non è necessaria. Mi sembra un voler a tutti i costi assolutizzare una modalità, figlia dell’emergenza, eternandone la supposta nobiltà. Ho sposato da giovane l’idea dell’applicazione della multimedialità alla didattica tanto da scegliere di auto formarmi a mie spese, quando non potevo istituzionalmente, conseguendo l’ECDL, una specializzazione in TIC e frequentando tutti i corsi possibili sull’uso del digitale nella didattica, iniziative che risalgono ormai a più di venti anni fa. Lo dico per rispondere all’invito che fai ai docenti italiani ad aggiornarsi in questo ambito. E, proprio perché ne sono sempre stata una sostenitrice, non con la tua straordinaria competenza, ho potuto sperimentarne qualche effetto. Da qui la mia visione niente affatto demolitrice, quanto invece fautrice ma critica. Né da innamorata né da nemica, ma da utilizzatrice consapevole della sua limitatezza.
Per quanto riguarda il progresso, non ho mai negato la necessità di considerarne gli eccessi: come sai, perché mi onori della tua attenzione, ne ho scritto abbondantemente, evidenziando le criticità in cui si può incorrere laddove si espunga dal percorso storico la dimensione morale che per me rimane prioritaria nel definire la posizionalità dell’uomo nel mondo. Accolgo, perciò, il tuo invito al dialogo su questi temi, dialogo che, peraltro, tra di noi è sempre in atto.
Per quanto riguarda il libro di testo, apprezzo la tua analisi e concordo sul rischio di cristallizzazione del nostro lavoro: si potrebbe finire per vivere di mestiere, dici. È vero: questa è la tentazione che molti di noi hanno, ma non è un libro di testo a renderla possibile o a tenerla lontana. Anche senza ricorrervi si potrebbe finire per riproporre, nella prassi didattica quotidiana, sempre lo stesso percorso, la medesima scelta di brani, gli stessi saggi. Tutto può diventare routine e tutto può essere rinnovato ogni giorno: è l’essere umano, che io pongo al centro di ogni riflessione e che tu poni di lato rispetto a una natura rispetto alla quale il primo dovrebbe arretrare che, nella sua imprevedibilità, sceglie cosa essere, cosa rimanere o cosa diventare. L’autonomia del pensiero e la spinta alla ricerca non sono definiti da un testo che si adotta, ovviamente, per i ragazzi, non certo per se stessi. E, diciamolo, non feticisticamente. Costruire dei “bignami”, inoltre, non mi pare la soluzione migliore dal momento che le sintesi si fanno dai testi e si finirebbe per dover individuarne alcuni (di certo i più autorevoli o quelli che noi riteniamo tali) e operare una cernita tra quelli proposti, in un mordersi la coda inevitabile. Dici che il docente, così facendo, eviterebbe l’unicità della dimensione cattedratica: in realtà, a mio avviso, la rivendicherebbe fortemente e la potenzierebbe, ponendosi come guida carismatica affascinante ma insostituibile e “indispensabile” per il percorso didattico. E, consentimi, anche condizionante il percorso del giovane a lui affidato; è come il maestro di arte che dà il proprio taglio stilistico ai suoi studenti: molto gratificante per lui, forse “incanalante” per i ragazzi. Qui mi fermo perché attiene alla libertà d’insegnamento di ciascuno. Per quanto ti riguarda io sono testimone dell’ottimo lavoro che fai con i tuoi alunni e degli eccellenti risultati che hai avuto in questi anni di sperimentazione e di ricerca. Sicuramente tra i tuoi ci sono allievi che avranno scelto il proprio futuro in base a quello che hanno ricevuto da te; pochi i miei nella cui carriera universitaria o percorso di studio sia individuabile una traccia forte della mia presenza. In questo, dunque, tu avrai meglio interpretato il ruolo di “maestro”. E, probabilmente, sarai ricordato con maggiore incisività rispetto a me. Non aggiungo altro se non che ti saluto e ti ri-abbraccio con affetto e stima.
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