«[…] quanto scrivo è
un contributo minimale alla consapevolezza di un processo in atto, annunziato
dai grandi poeti e dai grandi “illuminati” dei due secoli che abbiamo alle
spalle. Un processo apocalittico-rivelativo, che potrà portarci alla catastrofe
o alla salvezza. […]
Il libro è diviso in sezioni che accorpano gli ambiti di cui mi occupo
normalmente: la politica in connessione con la struttura profonda del cosmo
(che grecamente chiamo Logos); la
spiritualità che non teme di tenere dentro di sé una scheggia depurante di
ateismo; il rapporto tra Natura e Tecnica; la poesia e l’educazione. A chiudere
il libro due sezioni più personali, forse la maggiore novità rispetto al primo
libro: “Segnavia”, che raccoglie due testi dedicati al mondo animale e alla
paternità, con fitti riferimenti autobiografici, e “L’arte del transito”, una
serie di aforismi e riflessioni che coprono un arco di tempo almeno decennale».
Probabilmente sono già altrove.
E sono assai curioso di parlare con gli amici di questo libro perché nel
dialogo (me ne rendo sempre più conto) emergono delle scoperte che incubano a
lungo dentro di me, capaci di emergere solo nella tensione (polemica!) con la
parola altrui. Eppure, quanto necessario fermarmi per vedere il percorso alle
spalle! Sorrido pensando che quell’altro me che già sono divenuto in questi
anni (considerando in particolare il 2018 come una cesura esistenziale e
culturale decisiva) potrebbe polemizzare a lungo con l’autore di Pensiero in sorgente. E non so se questo
possa apparire segno di una fertile ricerca o schizofrenia. Però, a cinquantacinque
anni, non posso che accettarmi, cioè sapere che sono stato, sono e sarò sempre
questo perpetuo movimento, inquieto, alla ricerca del «punto fermo nel mondo
che svolta» (Eliot), sapendo che mai mi sarà dato raggiungerlo, perché non
esiste o, meglio, esso stesso (che è Dio) è mobile, è in divenire, con me, con
il cosmo, con la storia.
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