«[...] Quello che state per leggere è un libro importante e impegnativo. Esso si collega, e non solo idealmente, al saggio che Nicola produsse qualche decennio fa, In quieta ricerca. I titoli di Sguera potrebbero, a prima vista, apparire divertenti costruzioni linguistiche, mirabolanti giochi di parole o vezzi innocenti di chi le parole le ama e le coltiva, con impegno e rigore, per épater le bourgeois. In realtà essi esprimono veri e propri programmi di lavoro. Delle autentiche dichiarazioni d’intenti. Ci augureremmo che la ricerca si manifesti, nel suo farsi, serena, tranquilla, quieta. In realtà, essa è dura, affannosa, talvolta tragica e, dunque, “inquieta”. Alla stessa maniera Pensiero in sorgente: mentre si tenta di cogliere e bloccare il pensiero nel suo arché, perché possa prenderci per mano, come la dea fa con Parmenide, e condurci sulla via della verità, esso “insorge” contro il lunghissimo percorso di quell’avventura che, partita dalla meravigliosa Elea, e giunta, alfine, all’Idea eterna, che “si attiva, si produce e gode di se stessa eternamente come Spirito assoluto”, minandone radicalmente, anche con l’utilizzo della dinamite nietzschiana, i pilastri più profondi.
Il libro è importante perché Sguera vi ricostruisce, con una cura e un’attenzione che sfiora l’acribia, il “suo” percorso dell’in-sorgenza, schierando in campo aperto un esercito di pensatori a lui cari e, per tanti versi, a lui affini. Si parte dal grande antagonista di Parmenide, l’efesino Eraclito, filosofo straordinario, che andrebbe finalmente – e Sguera lo fa - affrancato dalla formuletta, ripetuta, a mo’ di mantra, del panta rei. E si finisce, ovviamente, con Heidegger, il grande amore, sulla cui vita non esemplare e sulle cui gravissime scelte, divenute ancora più pesanti con la lettura dei famosi Quaderni neri, Nicola non tace. Con un’innocente contraddizione, però, e neppure troppo coperta. Sguera ha sempre sostenuto, e ancora sostiene, nei suoi interventi, - e, personalmente, concordo con lui - che un’orto-teoria non dovrebbe mai staccarsi da un’orto-prassi, che tra lectio e mores non dovrebbe mai insinuarsi nessuna contraddizione.
(dalla "Prefazione" di Amerigo Ciervo)
Nessun commento:
Posta un commento