lunedì 6 aprile 2020

Gesù e la verità storica. Risposta ad Emanuele Troisi [Τέως]

Un mio disegno degli anni Ottanta, copia da Rouault, autore amato come tutto il filone latamente definibile come espressionistico.
Prima di tutto grazie ad Emanuele per la sua riflessione, sicuramente sentita e vibrante, in risposta al mio articolo, necessariamente sintetico, apparo su «Sonar». Ci siamo conosciuti in un contesto molto particolare (l’impegno politico nel Movimento 5 Stelle) per prendere strade diverse (lui, uscitone già nel 2016 è ridiventato militante comunista, io ne sono uscito nel 2018 e sono tutt’ora un apolide politico).
Vorrei fare una premessa, che non era possibile nell’articolo. 
Nato in una famiglia intrisa di cattolicesimo praticato (i rosari nella casa in campagna starebbero bene in una canzone di Battiato per un nuovo Orizzonti perduti), cresciuto nell’Associazione Cattolica (a S. Anna), “persa la fede” (sulla questione della sofferenza degli animali) nel 1984, dopo aver testimoniato un ateismo dolente e percorso da una struggente nostalgia dell’Assolutamente Altro, grazie all’incontro con la persona e l’opera di Marco Guzzi (il 3 aprile del 1993, quando lo invitai per la prima volta a Benevento con «la rosa necessaria»), e attraverso un processo lentissimo, sono tornato alla pratica religiosa (febbraio 1999), abbandonata nel 2008 per incompatibilità con alcune scelte della Chiesa cattolica (decisive le scelte intorno alla vicenda di Piergiorgio Welby). Da allora mi definisco un “diversamente credente”, pur nella consapevolezza che il cristianesimo (in tutte le sue espressioni, non solo quella cattolica) è il fondamento della mia visione del mondo e della mia moralità. I Vangeli, le lettere di Giovanni, Eckhart, Silesius, Bonhoeffer, Giovanni Vannucci, Ramundo Panikkar, Marco Guzzi sono letture imprescindibili, accanto all’immenso patrimonio della spiritualità planetaria. 
Questa premessa autobiografica era fondamentale per sgomberare il campo da un equivoco in cui credo sia caduto Emanuele.
Il primo rilievo che muovo al suo intervento è risentito (nei modi in cui è possibile esserlo con un amico!). Che abbia potuto definire il mio un «gioco intellettuale», per me cresciuto nella consapevolezza della responsabilità delle parole dette o scritte, parola che deve sempre essere «efficace», è ben triste. Se Emanuele avrà pazienza di scorrere questo blog o di leggere le poche cose pubblicate si renderà conto che l’idea di “gioco intellettuale” è quanto di più alieno dalla mia sensibilità. Al contrario, mi occupo solo di cose che reputo decisive e, come Nietzsche, seppure da lui lontanissimo, reputo che la vita con le sue urgenze sia l’unico parametro dirimente di un prodotto culturale.
Io credo che individuare l’autentico messaggio gesuano consenta due cose: la prima è quella di interpretare (come intuiva profeticamente Bonhoeffer) il cristianesimo non come una religione ma come un lievito in grado di vivificare ogni religione storica; il secondo è coglierne la portato autenticamente rivoluzionaria nell’attesa del Regno di Dio (e quindi nel rifiuto di questo mondo dominato da un «princeps» tenebroso). Siamo lontani da qualunque “gioco”, caro Emanuele, e mi spiace tanto che tu abbia potuto pensarlo!
La cosa più difficile, evidentemente, in questo tentativo, in questo avvio di interlocuzione, è parlare con chi ritiene inesistente il problema perché risolto dal “salto” della fede. Nessuno impedisce di farlo! Io stesso lo faccio (sebbene la mia fede non sia in Gesù come Cristo, come «agnus Dei» che prende su di sé i peccati del mondo o in quel Cristo, frutto del ricco connubio tra ebraismo e filosofia greca testimoniato dal Credo niceno-costantinopolitano, che il Gesù storico avrebbe letto con sgomento senza capirci nulla!).
La sfida, dunque, che pongo a Emanuele è la seguente: da qui ad un anno, dopo che avrà letto almeno i testi fondamentali scritti negli ultimi trent’anni, ne riparleremo, sullo stesso terreno. Altrimenti il nostro è un dialogo tra sordi. Per altro, essendo Emanuele un (eccellente) professore di storia e filosofia, mi pare ancora più necessario un percorso del genere. 
Giusto per fare un esempio: Emanuele dice di accettare che lo storico non possa parlare di Spirito Santo e parto virginale. Ma, dunque, perché non accettare che Giuseppe sia il padre di Gesù? Perché in questo modo lui cattolico entra in cortocircuito clamoroso! Mentre lo storico trova nel “mito” della fecondazione pneumatica e nella tarda età di Giuseppe motivi per interrogarsi (con scarsa possibilità di trovare risposte come per tutto il periodo che precede la predicazione gesuana).
Ma l’impossibilità di una discussione, ad ora, emerge soprattutto da quanto Emanuele scrive su Giovanni Battista, che dimostra, appunto, come un cattolico colto, intelligente, profondo si senta legittimato ad ignorare contenuti, metodi e scoperte di un filone storiografico ricchissimo e, soprattutto, plurale, provenendo da atei, cattolici, protestanti, agnostici. Lo rimando per una buonissima sintesi a questo sito, augurandomi che accetti l’agone rispetto al quale la mia biblioteca e i libri cui mi dedico da oltre un decennio sono a sua completa disposizione.
Emanuele dedica un inciso alla storicità dei Vangeli, ma anche qui mostra di non avere alcuna confidenza con i criteri che gli storici hanno elaborato, in maniera  faticosa (e, dunque, meritevole di assoluto rispetto) per affrontare i testi che parlano di Gesù. 
Emanuele scrive: «I Vangeli, come le Lettere degli apostoli, non sono testi storici, è vero. Sono testimonianze di chi ha visto «il Verbo della vita» ed è stato investito della missione di riferirne ad altri, affinché credessero e testimoniassero a loro volta». Sicuramente, invece, i Vangeli non sono stati scritti da persone che hanno visto Gesù ma sono il frutto di una molto tardiva elaborazione di fonti scritte e orali che rendono necessaria una lettura critica e filologica attenta (per esempio alle interpolazioni).
Oggi gli storici sono grosso modo concordi nel definire il cuore della predicazione gesuana (l’imminente avvento del Regno qui, sulla terra, che nulla ha, dunque, a che fare con l’apocalittica: Gesù non era un apocalittico!), dopo un probabilmente breve discepolato presso Giovanni il Battezzatore. Così come appare abbastanza pacifico immaginare che la morte di Gesù nacque dalla convergenza di interessi di una parte dei sacerdoti del Tempio gerosolimitano, che avevano visto con paura la venuta nella Città Santa di un profeta fino ad allora frequentatore di villaggi e piccoli centri urbani, accolto, seppure da una folla sparuta, come il Mesiah (l'Unto, parola che sarà tradotta con il greco Χριστός), e le autorità romane che, correttamente dal loro punto di vista (non probabilmente da quello gesuano!) vedevano nella “messianicità” un’attribuzione di regalità che metteva in discussione il potere romano (il titulus crucis, di cui nessuno storico dubita, accusava Gesù di essersi proclamato «rex Iadaeorum»). Detto questo (per ribadire come sia difficile discutere partendo da presupposti diversi) gli storici ritengono quasi unanimemente che il “processo” di Pilato (e l’ostensione alle folle di Gesù e Barabba) sia un’invenzione di sana pianta da parte delle comunità che hanno redatto i Vangeli (molti anni dopo la morte di Gesù).
Uno dei punti su cui gli storici non sono concordi è proprio la messianicità di Gesù. 



Giorgio Jossa, ad esempio, propende per una storicità della proclamazione messianica. Gesù, dopo il fallimento della sua predicazione (il Regno non era giunto!) sarebbe salito a Gerusalemme, proclamandosi Messia, secondo la tradizione ebraica, e dunque leader destinato a liberare Israele, annunziando la venuta di una misteriosa figura, quella del «Figlio dell’Uomo», che lo ricollegava alla predicazione apocalittica del suo apprendistato presso il Battezzatore. In ogni caso, e questo va ribadito con forza, Gesù non ha mai insegnato di essere «unigenito figlio di Dio» né tanto meno di essere egli il tramite della salvezza (anche nel caso in cui si accetti che egli abbia proclamato di essere il Messia). Tutta la sua opera di predicatore e taumaturgo ce lo mostra come un fervente ebreo che vuole ricondurre la legge mosaica alla sua purezza ed essenzialità, contro le degenerazioni legalistiche del fariseismo, nel mondo (contro la fuga mistica e monacale degli Esseni). L’unica preghiera che Gesù ha lasciato è un preghiera che potrebbe essere pronunziata senza problemi da un ebreo. Vi si parla di un Dio del cui Regno si auspica la venuta e di un’etica del perdono e della condivisione (simbolicamente messa in scena nell’ultima cena ma anche nel “miracolo” della moltiplicazione dei pani e dei pesci) per una nuova era di pace sulla terra. Gesù non dice mai in quella preghiera meravigliosa che bisogna credere in lui! Ed è per questo che, ancora una volta con Nietzsche (ma contro molte delle sue conclusioni) io ritengo Paolo di Tarso il vero “fondatore” del Cristianesimo come lo conosciamo noi. E lui che, dando organica sistemazione ai racconti su Gesù, soprattutto alle “visioni” seguite alla sua morte, fa del Risorto il mediatore della salvezza e, spinge, ad un’elaborazione secolare che porterà a quei prodigi teologici che sono il dogma della Trinità e quello relativo alla natura del Cristo (parola che in Paolo assume un significato radicalmente incompatibile con quello ebraico ortodosso).
Concludo. Emanuele è un cattolico “adulto” e colto. Proprio per questo mi aspetto da lui un’apertura. Come tutto il mondo cattolico, sconta quella chiusura assurda che ha segnato indelebilmente una realtà pur ricca di grandi personalità. Parlo della repressione dell’“eresia” modernista, e in particolare della vera e propria persecuzione di quella figura meravigliosa che fu Ernesto Buonaiuti (quanti cattolici lo conoscono?). Penso che il tempo sia maturo perché nel corpo della Chiesa si diffonda una maggiore consapevolezza. Non è un gioco culturale, non è vacua erudizione. Volendo utilizzare un metro nietzschiano, potremmo dire che se il cristianesimo è “incarnazione” del divino nella storia, la storia va studiata e conosciuta approfonditamente. Sapere chi fu il Gesù storico non osterà a nessun atto di fede: né a quello di Emanuele, che crede nel Risorto come mediatore della salvezza, né al mio, che credo nel Dio di Yehoshua ben Yosef e prego ogni sera perché venga il suo Regno.

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