Avere tra le mani un manufatto di qualsivoglia tipo di Gaetano Cantone è sempre un’esperienza fuori dall’ordinario: si tratti di contenitori a forma di libro fatti con materiali riciclati o, come in questo caso, di libri, si tratta sempre di oggetti curati nei minimi dettagli. Chi ha il privilegio di conoscere Gaetano sa quanto il rigore formale sia in lui una coazione, non voglio dire ossessione, meglio: un imperativo categorico tanto estetico quanto etico. Aggiungerei un particolare che mi si è rivelato via via che conoscevo l’opera e la persona, con i suoi generosi doni. Gaetano con i ritagli e gli scarti costruisce cose, ad esempio di blocchetti deliziosi di carta. Ma questo principio economico agisce in tutte le sue opere. Se sfoglierete il libro vedrete, infatti, che vi agisce una sorta di “horror vacui”: lo spazio bianco va riempito di segni significanti, siano essi parole o immagini. Vi invito a guardare prima, seconda, terza e quarta di copertina. E qui arriviamo ad un altro aspetto fondante la ricerca di Gaetano: il piacere, oserei dire fisico, di cercare, raccogliere, collezionare fotografie, stampe, libri di una modernità di cui oramai iniziamo a fare archeologia. Scopriamo, ogni volta, tracce apparentemente marginali ma sempre di grandissima raffinatezza che illuminano anche sulla peculiare lettura della modernità, che torna come un basso continuo nelle sue opere: la contrapposizione tradizione/conservazione versus innovazione/avanguardia distorce completamente quanto accaduto al chiudersi della seconda modernità. Ciò che da sempre appassiona Gaetano è quanto “persiste” nel “mutamento” (due delle parole chiave della sua enciclopedia). Esiste un passato che è stato totalmente spazzato via dalla furia distruttiva delle avanguardie che invece va riscoperto e custodito. Anche come artista, grande artista, Gaetano ha dato e dà un contributo in tal senso, che lo ha collocato ai margini del mercato, spesso prostituito dell’arte, ma che ne fanno, a mio avviso, un punto di riferimento nella “lunga durata”, anche in virtù dello spessore speculativo che presuppongono le sue opere.
Se dovessi evocare un modello del libro di cui stasera parliamo, evocherei Walter Benjamin che ha insegnato a leggere la contemporaneità da punti di vista apparentemente marginale (e che è stato uno straordinario lettore della città moderna di cui parla Gaetano, attraverso l’opera di Baudelaire).
Stante il lunghissimo sottotitolo del libro (Gaetano ha bisogno di molte parole, è il suo peculiare neo-barocchismo), la “modernità” è un mito che viene costruito non solo dalla grande arte e dalla grande filosofia ma soprattutto dai mezzi di comunicazione di massa e dalla cultura popolare. Da questo punto di vista, mi ha particolarmente attratto la nota 19 del libro, molto lunga (le note e le bibliografie sono fondamentali nei libri di Cantone, talvolta più del testo stesso), in cui si citano alcune opere filmiche, pittoriche o fumettistiche particolarmente importanti per capire tale mito: Metropolis, Little Nemo, Moebius, ma anche il fumetto super-eroistico, che è intimamente connesso alla città.
Nelle grandi contrapposizioni, potremmo dire che si struttura una “città americana” e una “città europea”, con dinamiche profondamente diverse, la prima plasmata dalle forze impersonali e turbinose dell’economia, la seconda ancora guidata dal sogno “razionale” dell’utopia.
La città europea è caratterizzata dalla firmitas, termine utilizzato spesso da Vitruvio per indicare la solidità degli edifici, l’imago urbis americana, invece, è cangiante, dinamica, perfetta realizzazione del sogno delle avanguardie (p. 41).
Ci sono, nella lettura di Gaetano, anche due secolo, l’un contro l’altro armato: un Ottocento “lungo”, secondo la lettura di Hobsbawm, e un Novecento “breve”, mosso da un febbrile impulso al nuovo, letto genialmente attraverso i manifesti pubblicitari.
Cantone coglie magistralmente come la città obbedisca a due diversi “padroni”: da una parte le urgenze economiche, dall’altra la necessaria valenza simbolica degli oggetti. Sintesi perfetta di queste due istanze apparentemente inconciliabili diviene l’automobile. Se bisogna connettere le città velocemente, luoghi simbolici per eccellenza divengono le stazioni.
Nell’Epilogo Gaetano redige elenco di ciò che non si trova nel libro: la letteratura e il fumetto, ambiti padroneggiati entrambi dall’autore.
La chiusa è di grande suggestione e ancora una volta rivelativa di tutta la ricerca di Gaetano Cantone. La città, infatti, si palesa come «l’organismo umano più idoneo ad incarnare la complessità come orizzonte esistenziale e come condizione culturale ed antropologica». Dunque, potremmo dire che questo splendido libriccino, curatissimo in ogni dettaglio, è l’ennesima, fascinosa variazione sul “tema” di tutta la ricerca intellettuale di Gaetano: la complessità (presente, come parola, in molti dei testi precedenti).
L’invito, come di consueto, dunque, è quello ad andre oltre gli steccati disciplinari. Tale ambizione alla “complessità”, al “tessere insieme”, come ricorda sempre Morin, è perfettamente incarnata da tutta l’opera di Gaetano Cantone, indagatore di segni ma non mero “collezionista”, custode di tracce museali, bensì pugnace propugnatore di “mutamenti” consapevoli, capaci di tenere dentro di sé il passato, la storia, la tradizione, e di progettare scientemente. Siamo, come evidente, molto lontani dalla furia iconoclasta delle avanguardie ma anche da certo languore postmoderno, rassegnato ad essere agito da forze non controllabili.
In questo sento il lavoro di Gaetano, oltre che la sua persona, così affabile e generosa, vicini.
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