Mi chiedi, Lucilio mio, che fare della tua vita. E ogni
volta che mi chiami o mi scrivi, ogni volta che siamo in procinto di vederci,
non posso fare a meno di pensare a come le nostre esistenze siano strane e meravigliose, come
il caso presieda alle traiettorie più impensabili. Venivo da anni di
insegnamento per me fondamentali, i primi, nella scuola di un piccolo,
accogliente paese dell’Alto Sannio. Con mia moglie, dopo un periodo molto complesso,
pieno di tensioni, avevamo deciso di provare, risolti i problemi
classici di una giovane famiglia (lavoro e abitazione), di provarci a mettere al
mondo delle nuove vite, ad ampliare il nostro nido. E, quindi, fatta domanda di
trasferimento, arrivai in un altro paese, profondamente diverso, molto più grande.
Fu un anno straordinario. Quella nuova vita che concepimmo accompagnò le mie
ore con ragazzi e ragazze i cui volti ricordo tutti. Mi sembrò, come nei primi
tempi dell’innamoramento per mia moglie, di avere le ali ai piedi. Tutto era
leggero. Mi sentii sempre accolto e amato da colleghi e allievi. Tra questi un
ragazzo magro e pallido, che rimase folgorato dalle vertiginose intuizioni
parmenidee. Eri tu, Lucilio, dalla scrittura sgraziata e il pensiero ancora, se
possibile, più intricato. Riconosco ancora dei tratti di quell’adolescente
inquieto nell’uomo che sei divenuto. Trovo commovente la tua fedeltà a chi ha
incrociato la tua vita per un solo anno (uno dei doni più preziosi di mio padre
fu, attraverso la sua terribile malattia, la possibilità di arrivare ad
insegnare nella mia città). Dunque, ti ho visto maturare, serbando amore
smisurato per il pensiero, soprattutto quello più astratto, ma, nel contempo,
accettare, senza compromessi, che pure avresti potuto fare, le sfide concrete
della vita, in un tempo assai difficile. Questo non è un paese per giovani, lo
sai. Hai sempre dovuto tenere a bada i tuoi demoni. Chi non ne ha dentro? A
ciascuno la sua ombra! Eppure, sei divenuto adulto! Il Peter Pan che reclamava
la sua isola, l’eterna fanciullezza dello spirito, il predominio del principio
di piacere ha, con sacrificio, accettato il principio di realtà, la lenta
costruzione di una storia: amorosa, lavorativa. Sei divenuto un uomo “etico”,
malgrado tutto in te reclamasse esteticamente la rapinosa (ed effimera!) gioia
dell’attimo. Periodicamente, dunque, venivi in pellegrinaggio nel mio “buen
ritiro” per chiedere conforto delle tue scelte. Ora sei allo snodo cruciale,
quello che definirà, Lucilio, una volta per sempre, la tua vita. Scriveva un
autore che mi ha segnato molto che solo l’irrevocabile è serio. Superati i
cinquant’anni, sopravvissuto a tante tempeste, avendo vissuto molte volte la
tentazione di ricominciare daccapo, attratto irresistibilmente dal canto delle
sirene che prometteva suadente altre vite possibili, di godimento senza
sacrificio, di piacere senza sofferenza, posso dirti che sono felice di essermi
fatto legare da una parte profonda di me all’albero della mia nave. Sono felice
di poter voltarmi indietro, nel mio viaggio oramai lungo, e leggere una storia.
Caro Lucilio, mi chiedi che fare della tua vita. Ti dico,
senza incertezza, che continuerai ad avere dubbi, a pensare che altre
possibilità inaridiranno, che non vedrai paesi lontani ed esotiche attrazioni. Non
esiste, credimi, un amore che faccia di due uno. È una tentazione pericolosa
che nasconde un sogno inconsapevole: tornare nella pace dell’amnios materno,
dove non c’è più conflitto. L’amore vero conserva sempre una dimensione
agonistica. I due devono restare due e, pazientemente, attraverso le parole e i
gesti pieni di «delicata attenzione», imparare ogni giorno qualcosa dell’abissale
mistero dell’altro, che sempre tale resterà, in un’inesausta opera di “traduzione”
(che talvolta sicuramente tradiremo). Quanto splendore, quanta arte, Lucilio,
in questo quotidiano lavorio! Quanto più radiosa la bellezza di Penelope. Sii
fedele alla tua Itaca, aspira a tornarvi ogni volta.
Ciò nonostante, la fedeltà alla storia che hai costruito con
fatica e sacrificio ti ripagherà ampiamente di queste (presunte) rinunzie.
Dunque, antico allievo, amico, con l’esitazione connaturata al tuo carattere (al
tuo ethos!) ma anche con il coraggio che le tue decisioni testimoniano, considera
questo passo indietro che stai facendo lo slancio per un grande salto: dai un
compimento (sempre provvisorio!) alla tua esistenza (inevitabilmente
problematica perché tale è il destino dei profondi), sigilla il tuo amore, deponi
il sogno di un eros fusionale, costruisci il tuo nido accogliente anche per le
nuove vite che ti daranno, come voleva Platone, immortalità.
Stammi bene.
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