domenica 22 marzo 2020

Adversus amicos [φιλοσοφία]


Vorrei provare a discutere la posizione espressa sull’emergenza Covid-19 da due amici di lunga data, entrambi “filosofi”, lontani (almeno apparentemente…) politicamente.
Il primo è Giancristiano Desiderio. Filosofo, storico, giornalista, professore. Ci conosciamo dalla seconda metà degli anni Novanta. Abbiamo sempre polemizzato nel rispetto reciproco: io comunista, lui liberale (di destra), io Heidegger, lui Croce e così via dicendo.
In un post del suo blog, dopo aver stigmatizzato le misure (poi ulteriormente inasprite) del Governo per arginare la pandemia, rivendicando la libertà degli individui scrive: «La vita umana ha una sua natura tragica non superabile. L’epidemia ci mette davanti a scelte drammatiche e nessuno – nessuno – ha in mano la scelta giusta buona per tutti. Ma se questo è vero, allora, è evidente che non si può rinunciare alla libertà da cui dipendono proprio le scelte». Nel paragrafo precedente aveva elogiato, di contro alle scelte italiane, quella (“darwiniana” e cruda ma poi subito temperata) di Boris Johnson. Quindi, in nome dell’intrinseca tragicità dell’esistenza, viene giustificata la scelta (dello Stato?) di lasciare che il virus faccia il suo libero corso, affidando alla “virtù” (biologica) degli individui la vittoria della battaglia (anche nel lungo periodo e mettendo in conto un numero imprecisato di morti). In questo modo, lascia intendere Giancristiano, la società nell’insieme ne uscirà più temprata
Nunzio Castaldi, filosofo e latinista prestato vita natural durante all'informatica, lo avevo conosciuto come poeta e poi, molto meglio, quando sostenne “Città Aperta” e diede un bel contributo creativo girando lo spot elettorale (era il 2001). Con Nunzio, dunque, c’è stata una vicinanza “ideologica” molto più forte per un lungo periodo. Diciamo che, fino a qualche anno fa, abbiamo fatto parte della stessa famiglia politica, pur con dei distinguo. Negli ultimi anni, invece, la divaricazione è divenuta totale, con punte polemiche molto aspre. Penso in particolare ai mesi della campagna elettorale sul referendum Boschi-Renzi. 
Sostanzialmente Nunzio, sulle neonate pagine di «Sonar», ripete l’argomentazione di Giancristiano, per altro condividendone implicitamente l’assunto che politica ed etica sono rigidamente separate: la scelta di “immunizzare il gregge”, anche con costi umani elevati, è lungimirante. «La politica deve guardare al lunghissimo periodo, e non lasciarsi ‘distrarre’ dalle urgenze e dall’etica».
Inutile dire che dissento radicalmente dai due amici. 
A Giancristiano dico che il virus sta semplicemente gridando rumorosamente che il re, in cui lui ha creduto e crede, è nudo. Per quanto egli si ostini in ciò che scrive (e che leggo con tanto maggiore interesse quanto maggiore è il dissenso), è il modello individualistico che ha trionfato nel trentennio alle spalle. «La società non esiste». Ed è quel modello che, almeno dal 2008, sta mostrando i suoi fallimenti e la sua intrinseca follia anti-umana e anti-ecologica. In nome di questo principio (che non è altro che la libertà del mercato), probabilmente, le strutture sanitarie, smantellate e ridotte all’essenziale, stanno entrando in crisi di fronte all’emergenza pandemica. Giancristiano ora ribadisce il suo mantra, vi si aggrappa: meno Stato! Più libertà… Non è importante che muoiano in tanti. Il retropensiero è che l’individuo deve poter fare ciò che vuole. Ma ciò che vuole, mi chiedo, è… consumare? Dietro la parola “politica” leggiamo in filigrana la parola “economia”? È questo che non si può mettere in discussione? E Nunzio non gli fa eco quando scrive: «La politica ha il dovere di dire le cose come stanno, di ragionare sui fatti, sui numeri. E ha il dovere di trovare soluzioni, guardando non ai singoli, ma alla comunità; e non solo alla comunità presente, ma anche e soprattutto a quella futura»? Di grazia, ma perché, filosoficamente, l’umanità futura dovrebbe avere più valore di quella presente? Siamo alla perenne giustificazione accampata da tutti gli incensatori delle «magnifiche sorti e progressive». Eppure in un libro dal titolo Il principio responsabilità (un libro in cui politica ed etica appaiono saldamente interconnesse) ho letto esattamente il contrario: Hans Jonas, che pure articola tutta la sua riflessione sulla responsabilità che abbiamo nei confronti dell’umanità futura (affinché ci sia!), afferma risolutamente (contro le forme, per me, distorte di utopia) che ogni esistenza ha valore e nessun futuro “luminoso”, nessuna «fiumana del progresso» giustificherà l’orrore del presente che vede «deboli che restano per via, vinti che levano le braccia disperate», anziani che muoiono soli nelle proprie case perché non ci sono posti letti a sufficienza e così via dicendo.
E quindi, contro i miei amici che ammirano il modello anglosassone, auspicandone evidentemente l’emulazione, novelli calvinisti e puritani certi che sarà un Dio misterioso, sia esso il Dio della Libertà, sia esso il Dio dell’Economia planetaria, a separare sommersi e salvati, reprobi e giusti, ringrazio il mio Dio ancora sconosciuto (ma con tratti evidentemente affini a quelli del tale che invitava a soccorrere i bisognosi e a non preoccuparsi per quello che ci darà il domani) di essere nato in un paese in cui l’aspetto migliore del cristianesimo riesce a divenire davvero “etica della responsabilità” nei confronti della vita di ciascuno, senza fole relative alla selezione naturale che ci tempra né ad un futuro che giustificherebbe il sacrifico del presente. Certo, anch’io dico ogni sera: «Venga il tuo Regno». Ma non sono io a deciderlo. 
Nunzio alla presentazione del mio libriccino di saggi e articoli disse: «Nicola è troppo cattolico», accompagnando l'esclamazione con la sua bella e sincera risata. Proprio così! Una di quelle frasi che ti restano dentro. Effettivamente, pur non essendo più cattolico da diversi anni, devo riconoscere che il mio amico ha perfettamente ragione. E, dunque, malgrado stia per essere modificato, posso dire (anzi cantare!) a voce spiegata: «Libera nos a malo».

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