venerdì 31 gennaio 2020

La speranza di pure rivederti. A Monica

Io, tenendo per mano Maria, in un anno imprecisato. Forse il 1972. Travolto dal “numinoso” nella forma di una statua di S. Anna circondata da candele. La prima indelebile traccia del divino nella mia anima.
Le prime timide frequentazioni della parrocchia. Disegni, catechismo. E, poi, erano gli anni Ottanta, l’Associazione Cattolica. I “grandi” come modello: Nico, in particolare. E un gruppo di ragazzi che cementava l’amicizia intorno al biliardino e, soprattutto, al tavolo da ping-pong: Sergio, Argemino, Terenzio, Bruno, Nazzareno... E le ragazze: Stefania, Mariarosaria, Susy, Grazia, Monica...  Il legame con Luca si è cementato tra quelle mura, tra canti e uscite, gite e incontri di preghiera. Finanche il giorno del terremoto eravamo lì.
Sulla stessa porta da cui avevo scrutato, intimorito, S. Anna, vidi un giorno una ragazza e chiesi a Luca, mentre sedevamo nel coro, chi fosse. Aveva un vestito rosa. Era con sua sorella più piccola, Tania. Nel 1984 ci giurammo amore eterno. Dieci anni dopo ci sposammo. In quella chiesa, ovviamente. Oggi siamo ancora insieme, avendo attraversato tempeste. Tanto di quel che vivemmo allora è rifluito nella nostra strana coppia. Nessun romanticismo. Solo uno sguardo lungo, retrospettivo.
Quegli amici, intanto, giocavano insieme sui campi di calcetto, crescevano. Stupore quando Giancarlo e poi Terenzio furono “chiamati”. Mi sembrò strano, mi sembra ancora oggi strano. Vedo ancora quei volti sudati sul campo della “Pietà”, le giovani coppie, le passeggiate sul Corso.
Ogni volta che ci vado suoni, parole, perfino odori colonizzano la mia mente.
Oggi sono andato a salutare Monica per l’ultima volta. Sentire una comunione di tanti cuori uniti nella preghiera e nel ricordo di una giovane donna coraggiosa, ascoltare i canti ha lenito il dolore. Le parole di Terenzio, di Nico sono state un balsamo.
Rivedo in un attimo quarant’anni oramai alle spalle. Quei giovani che lì si educarono ad abitare il mondo secondo giustizia e verità, insegnamento di cui sarò sempre grato, ora hanno i capelli bianchi. Sono padri, nonni. Il pensiero mi riempie nel contempo di sgomento e di... tenerezza. Malgrado il dolore, lo strazio, le perdite, l’insensatezza. Non posso far altro che ringraziare perché tutto questo è stato.
Non ho fede. Solo speranza. Che ci sia un altrove dove rivedere le persone che hanno dato senso e gioia alla mia vita.
Spero di rivederti, Monica, quando anch’io tra riti antichi e canti, in quella chiesa che ha dato forma alla mia anima, mi congederò dal mondo.


Nessun commento: