lunedì 24 aprile 2023

A Gianluigi Panarese sulla Resistenza [𝕙𝕚𝕤𝕥𝕠𝕣𝕚𝕒]

 


Caro Gianluigi, amico, ottimo collega, scrivi sulla tua bacheca Facebook in prossimità della festa della Liberazione:


«A proposito  della prevedibile canea di voci, sulla celebrazione del 25 aprile, che si accavallano in tv, sui giornali, sui social, si può notare che sono voci sempre identiche a se stesse da decenni, che ripropongono le solite frasi di circostanza,  la solita retorica dei soliti sacerdoti della mistica partigiana. 

In tutta questa celebrazione è rarissimo però ascoltare qualcuno che ricordi chi effettivamente  ci porto “la liberazione”. 

È stupefacente osservare come quasi nessuno  ricordi il sacrificio degli eserciti Alleati che lasciarono solo  sul suolo italiano circa 300.000 soldati tra morti, feriti e dispersi. Di questi più di 90.000 (novantamila!) furono americani,  i quali per fortuna  rifornirono di armi pure i nostri partigiani (quelli veri), altrimenti non ci sarebbe stata alcuna resistenza».


Provo a fare esegesi del tuo testo.

«Canea»: «inseguimento della selvaggina da parte dei cani da caccia, canizza, clamoroso contrasto di suoni, chiasso, strepito».

Non credi che mai come in questi anni, in questi giorni, in cui si tenta una “revisione” della memoria di ciò che fu sia necessario far sentire le proprie voci plurali ma egualmente antifasciste? Io non credo sia una “canea”. E mi spiace che quanto alcuni di noi fanno, scrivono, dicono sia valutato come vacuo strepito.

Accusi tali voci di essere sempre identiche. Probabilmente è vero. Come sempre identiche sono le voci dei docenti che, anno dopo anno, ripetono le stesse parole. Ma, evidentemente, è il contesto che cambia. L’Italia del 2023, che ha eletto, con una minoranza, a guidarla una coalizione che in alcuni suoi esponenti non si riconosce nel 25 aprile, evidentemente ha bisogno che queste parole vengano ripetute, perché non passi l’idea che a via Rasella fu sterminata un’innocua banda di riservisti o che la Costituzione italiana non sia antifascista. 

Parli, poi, di “sacerdoti” e di “mistica” resistenziale, anche qui, mi pare, con tono sprezzante. Dissento ovviamente anche in questo caso. Dall’interno dell’ANPI ti posso garantire che è fatica, lavoro, tempo sottratto ad impegni più ameni custodire (sì, religiosamente!) una memoria che rischia di diventare evanescente, di farsi anch’essa liquida come il tempo che abitiamo (per venire, dunque, liquidata). I “sacerdoti”, che reputi detentori di privilegi, sono umili custodi di una fiamma che rischia di spegnersi, e che invece deve essere consegnata alle generazioni future.

Infine, ti stupisci che non si ricordi il sacrificio degli Alleati. Ma ciò che si celebra, caro Gianluigi, è la Resistenza. Quella di inglesi e americani fu guerra, cui dobbiamo in parte la nostra libertà dal nazifascismo. Ovviamente potrei obiettarti che non si ricorda adeguatamente quanto tale libertà europea debba al sacrificio del popolo (bada bene: il popolo!) russo che pagò un mostruoso tributo di sangue. Ma il punto, ovviamente, non è questo, bensì tenere desta l’attenzione su quella virtuosa minoranza di italiani che salvarono l’onore della Patria, morta l’8 settembre, e crearono i presupposti per la nuova Italia che sarebbe nata nel dopoguerra.

Come uomo di scuola ritengo che ora più che in passato sia necessario che l’antifascismo sia denominatore comune della comunità educante, nella pluralità delle sue espressioni. Mi auguro, dunque, amico mio, che anche tu partecipi a questo sforzo collettivo, piuttosto che polemizzare. L’invito è ad esserci, dunque, domani alla manifestazione e al concerto, a partecipare, portando il tuo contributo di intelligenza e cultura, alle iniziative dell’Officina “Maria Penna”, contribuendo a rendere l’ANPI quel luogo plurale e aperto che da sempre ha inteso essere.


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